Lidia Poët, la caparbietà al servizio della legge

Le battaglie della prima avvocatessa d'Italia

Lidia Poet
Fulvio Gatti
Fulvio Gatti

Giornalista, networker e curatore di eventi, torinese per rigore e monferrino per flemma. Scrive da quasi 20 anni su testate locali e nazionali e ha all’attivo svariate pubblicazioni tra fumetto, divulgazione e cultura pop. Dal 2019 è presidente dell’Accademia di Cultura Nicese “L’Erca” di Nizza Monferrato.

  

Sulla sua lapide, in località S. Martino di Perrero, in Val Germanasca, è definita “prima avvocatessa d’Italia”. Lidia Poët diventò tale agli occhi della legge però solo a 65 anni, dopo un’interminabile battaglia, scaturita alla Corte d’Appello di Torino e che condusse il dibattito fino nel Parlamento dell’allora giovane Italia Unita.

Avvocatessa nonostante tutto

Lidia Poët
Lidia Poët

La sua storia è importante in quanto prima donna lungo un sentiero professionale che, in precedenza, era riservato ai soli uomini. Ma anche, forse, una testimonianza di quanto i riconoscimenti ufficiali possano diventare secondari nei casi in cui competenza, volontà e genuina passione sono già in abbondanza.

Lidia Poët lavorò in ambito legale, per decenni, con la complicità del fratello Enrico. Fu inoltre attivista per i diritti delle donne, nonché presidente del comitato che ne promosse l’ammissione al voto, forse come conseguenza dell’aver trovato così tante porte sbarrate lungo la strada. A ripercorrerne oggi la biografia, cogliendo la grande abilità oratoria lasciataci (per fortuna) per iscritto, lo spunto che scaturisce potrebbe apparire di primo acchito controcorrente. Se la signorina Poët potesse parlare oggi, con il senno di poi, forse il suo vero orgoglio non sarebbe l’essere stata la “prima avvocatessa”; bensì, l’aver fatto il proprio lavoro per anni, nel corso di una lunga vita, al meglio della propria energia e abilità.

Nata per studiare

Lidia Poët nasce nel 1855 a Traverse, borgata di Perrero, nella provincia torinese. La vallata all’epoca si chiama val S. Martino (oggi val Germanasca) e consiste in 11 comuni riuniti in consorzio. Impossibile non citare l’allora notevole sistema scolastico valdese nel Pinerolese (val Germanasca, val Pellice e bassa val Chisone): nel 1848/1849 vi si contano 169 scuole e circa 5 mila alunni. Un’eccellenza che si estenderà fino al 1911, quando l’istruzione diventerà per legge a carico dello Stato Italiano, creando a monte un humus culturale favorevole a una bambina, poi adolescente, particolarmente portata per lo studio.

Altro fattore senz’altro centrale è per la giovanissima Lidia la famiglia benestante. Il padre Giovanni Pietro e la madre Marianna Richard di Prali sono proprietari terrieri, il primo ricopre anche l’incarico di sindaco per quasi 30 anni. La famiglia sarà segnata da un prematuro lutto, la scomparsa del padre quando Lidia ha 17 anni. La parte agricola sarà poi ereditata dal figlio Federico (a sua volta primo cittadino), uno dei 5 fratelli maschi di Lidia (Alessandro, Alberto, Ernesto e il già citato Giovanni Enrico), oltre alle sorelle Adele e Caterina.

Ero nata per studiare e non ho mai fatto altro, in un secolo nel quale le ragazze si occupavano esclusivamente di trine all’ago e di budini di riso. Fu un male o un bene? Non so. Ma sento che se rinascessi tornerei daccapo.

Con queste parole Lidia Poët stessa, in un’intervista a Il Popolo del marzo 1949, spiega il proprio rapporto privilegiato con la conoscenza e l’apprendimento.

Una toga ribelle

È il ricco volume di Clara Bounous La toga negata a raccontarci come la componente ribelle della futura avvocatessa l’abbia portata a vivere gli anni tra i banchi in modo piuttosto burrascoso. Detestando la matematica, viene ammessa alla terza elementare con qualche difficoltà. Prende controvoglia il diploma da maestra per poi trasferirsi, su sollecito della famiglia, in Svizzera, ad Aubon.

Copertina de
Copertina de "La Toga Negata" di Clara Bounous, 1997.

Al suo ritorno a Pinerolo, inizia a frequentare l’alta società dell’epoca, non trovandovi particolare interesse. In misura di gran lunga maggiore appare stimolarla lo studio del latino e della filosofia: l’apprendimento di queste materie, in via privata, le permette di arrivare a sostenere l’esame di licenza. Dopodiché, prendendo tutti in contropiede, Lidia si iscrive all’Università di Torino, facoltà di legge.

Quando, matricola, Lidia accompagnata dal fratello varcò le soglie dell’Università, gli altri studenti facevano ala alla porta per vedere il fenomeno da vicino, una ragazza snella, agile, dal viso trasparente e con una testa bionda sotto il cappello a spilloni, era come una faraona nel cortile dei galletti.

Un elemento estraneo

Le parole di Clara Bounous sono gustose nel tratteggiare l’elemento estraneo, osservato con meraviglia e timore, di una giovane studentessa introdotta in un contesto prima solo maschile. Più avanti, nello stesso testo, la scrittrice menziona in modo altrettanto divertito come Lidia rifiutasse tutte le missive (forse a contenuto poëtico o romantico) provenienti copiose dai compagni di corso.

Nell’autore di questo articolo, i passaggi menzionati suscitano ora una piccola remora. Come vedremo, la parte strettamente privata della vita di Lidia Poët, il suo genere, fu anche il principale ostacolo nell’esercizio di una professione, o persino una vocazione, nei confronti della quale si sarebbe dimostrata ben più che all’altezza. Fino a che punto, perciò, parlando della prima avvocatessa d’Italia è lecito approfondirne gli aspetti personali? Sappiamo, per esempio, che non si sposò né ebbe famiglia. 

Palazzo dell’Università degli Studi di Torino, fotografia di Mattia Boero, 2010. © MuseoTorino
Palazzo dell’Università degli Studi di Torino, fotografia di Mattia Boero, 2010. © MuseoTorino
Morì a Diano Marina lucida e ancora in grado di leggere e scrivere senza occhiali il 25 febbraio 1949. 

Scrive Clara Bounous. Ecco, prendendo posizione nel “come” raccontiamo questa storia, scegliamo di lasciare fuori campo ogni possibile ipotesi sulle scelte cosiddette “di vita” della nostra avvocatessa.

Il fatto saliente, storico in senso letterale, dell’esistenza di Lidia Poët è la sua battaglia per l’accesso delle donne alla professione legale, nel contesto più ampio dei prodromi alle conquiste di parità di genere culminate nel Novecento (battaglie da condurre e consolidare ancora oggi). Di questo daremo cronaca a breve, cercando di rendere accessibile alla lettura quello che fu in sostanza uno scontro nell’applicazione e stesura delle leggi, quando non un confronto di arte oratoria tout court.

Scontrarsi con il rettore

Ci si consentano prima, a completamento del ritratto di figura illustre e in quanto tale quasi mitica, alcuni brevi aneddoti.

Da studentessa, ebbe risonanza il suo “scontro ravvicinato” con Cesare Lombroso, all’epoca rettore. A quest’ultimo chiese l’esonero dall’obbligo di frequenza al corso di medicina legale. Motivazione, gli eccessi di entusiasmo dei compagni di corso maschi per la sua sola presenza in aula. Lombroso, però, fu tranchant:

Quando si è incominciato, bisogna andar fino in fondo, signorina. Io non la esonero affatto! 
Cesare Lombroso
Cesare Lombroso

Anni dopo, nominata Officier d’Académie dal Governo Francese, a Parigi entrò invece in contatto con Guy De Maupassant e Victor Hugo. Un’informale dialogo con quest’ultimo, relativo a un dente caduto e al desiderio della signorina Poët di farlo sostituire, suscitò l’ironica indignazione dello scrittore francese:

Non lo faccia. Sarebbe la prima volta che Lidia Poët ha in sé qualcosa di falso.

Una battaglia storica

Lidia Poët si laurea in legge nel 1881. Il 25 luglio chiede l’iscrizione al registro dei praticanti, completando questa parte di percorso in un biennio allo studio Bertea. Un periodo di nuove conoscenze in cui entra in contatto, tra gli altri, con lo scrittore Edmondo De Amicis. Sfiora in seguito l’eccellenza la sua votazione conseguita, nel maggio 1883, agli esami per diventare procuratore legale. Di conseguenza, immaginiamo lo stato d’animo, nel momento in cui richiedeva l’iscrizione all’Albo degli avvocati e dei procuratori: trepidazione, certo, ma anche una placida consapevolezza delle proprie capacità.

Edmondo De Amicis
Edmondo De Amicis

Il primo ostacolo è dietro l’angolo, ma non così vicino come ci si aspetterebbe. Trattandosi di atti pubblici, di particolare rilevanza, abbiamo il verbale della seduta del Consiglio dell’Ordine di Torino, riunitosi per deliberare in merito alla domanda di Lidia Poët. A maggioranza, l’assemblea presieduta da Saverio Vegrezzi accetta l’iscrizione, in quanto la candidata è munita di tutti i requisiti stabiliti nella legge di costituzione dell’ordine stesso, datata 1874.

Nel testo mancava ogni riferimento al genere di chi si candidava. Inoltre, pur essendoci ancora norme restrittive, vedasi autorizzazioni del marito nel caso di donne coniugate, Lidia era nubile.

Attesoché risulta della laurea in giurisprudenza conseguita dalla signorina Lidia Poët fu Giovanni Pietro, nata a Traverse-Perrero residente a Pinerolo, in questa nostra Università lì giugno 1881, della pratica forense oltre il biennio, e dell’esito favorevole dell’esame teorico-pratico sostenuto nei giorni 14 e 16 maggio 1883. Visto il certificato di penalità negativo, ammette l’iscrizione nell’Albo degli avvocati di questo Collegio della signorina Lidia Poët predetta con l’anzianità dal giorno d’oggi, nonché la medesima si uniformi al disposto degli art. 3 e 4 del Regolamento del 26 luglio 1874 n. 2012. 

La legge non è cosa per donne

Mentre la notizia fa la sua comparsa sui giornali, 2 dei 4 consiglieri dell’Ordine che avevano espresso voto contrario si dimettono per protesta. Il dibattito pubblico si accende, con le consuete tifoserie opposte – siamo in Italia – ma è un gesto ben preciso a costringere la neo avvocatessa a rinunciare all’apparentemente già conquistato titolo: il procuratore generale del Re alla Corte d’Appello di Torino si oppone all’iscrizione.

A una donna il titolo e l’esercizio di avvocato non è ammissibile, per l’unico ma essenziale motivo che il titolo e l’esercizio di avvocato non possono essere assunti a tenore di legge dalle donne.
Il Tribunale di Torino, già sede del Senato, in un'immagine di fine Ottocento.
Il Tribunale di Torino, già sede del Senato, in un'immagine di fine Ottocento.

Altre motivazioni espresse, oltre a questa (troppo involontariamente comica per non essere riportata) sono che la legge non prevedeva l’accesso alla professione legale alle donne, laddove in altre occasioni tale “estensione di diritti” era stata esplicitata; nonché che un’eventuale avvocatessa avrebbe potuto ambire alla funzione di magistrato, cosa non possibile perché non era ammessa alle funzioni di giudice, né aveva diritto di voto. È la stessa Lidia Poët a smontare, punto per punto queste argomentazioni, mostrando abilità e lucidità notevoli: al timore di un suo ambire alla magistratura, rimarca che le due carriere sono distinte. La battaglia prosegue a colpi di ricorsi. È ancora Clara Bounous a sintetizzare mirabilmente. 

Il Pubblico Ministero sosteneva inoltre che la donna in campo forense non aveva dato segni di eccellenza, ma come poteva farlo, si chiedeva la Poët, se per secoli, le leggi l’avevano tenuta lontana dal foro per costumi, civiltà ed educazione diverse dai nostri giorni?

Il dibattito arriva in Parlamento

Agostino Bertani
Agostino Bertani

Esaminati ricorsi e controricorsi, la Corte d’Appello accoglie la richiesta del Pubblico Ministero. Il 28 novembre 1883 Lidia Poët fa così ricorso alla Corte di Cassazione. È ancora uno scontro di argomentazioni, sempre più ricche e puntuali, quello che conduce però il 18 aprile 1844 alla conferma della sentenza. Oltre a lodare il suo impegno e competenza, la Cassazione “passa la palla” al legislatore. Il dibattito, di suo, sarebbe giunto in Parlamento in ogni caso: ormai la vicenda è pubblica e coinvolge non solo gli addetti ai lavori.

Nella seduta pomeridiana della Camera dei Deputati del 2 giugno 1884, l’onorevole Agostino Bertani, di professione medico, interroga il Guardasigilli sulla vicenda Poët, tirando in ballo in parallelo la propria categoria:

Non siamo andati noi medici a disseppellire argomenti di sanzioni antiche o nuove, per contendere alle donne il diritto di esercitare l'ufficio o la funzione di medico, allorché vi si resero idonee, e noi le abbiamo riconosciute abili per le prove date, come le nostre leggi proscrivono. Noi le abbiamo infine accostate con rispetto, abbiamo sentito il loro parere dato con convinzione e con prova di capacità.

In quanto collega “di genere”, il lungo intervento di Bertani allevia un poco l’imbarazzo dell’autore di questo articolo grazie a un sapiente uso dell’ironia. 

Il senatore Jacob Moleschott.
Il senatore Jacob Moleschott.
La scienza non è teologica, non è isterica, ma razionale e positiva, e così soltanto dobbiamo considerarla. Essa quindi non può riconoscere che una sola funzione indissolubilmente diversa nei due sessi, e quest'una non corre pericolo di essere confusa.

Pragmaticità per pragmaticità, significativa la dichiarazione del senatore Jacobus A.W. Moleschott al passaggio della questione in Senato il 28 giugno: sarebbe stato più onesto, allora, dire alle studentesse di giurisprudenza che, anche al superamento delle prove, non sarebbero comunque potute essere abilitate alla professione forense.

Poiché l’intoppo è ormai legislativo, anziché giuridico, si deve attendere il 1 marzo 1904 per la riapertura del dibattito. Si arriva finalmente al testo di legge, ma l’ennesimo colpo di scena “all’Italiana” incombe. Una crisi parlamentare vede sciogliere la Camera e arenare i lavori.

Una battaglia per i diritti civili

Lidia Poët, nel frattempo, è divenuta esponente di spicco delle battaglie per i diritti civili. Prende parte al Consiglio Internazionale delle Donne a L’Aja e nell’aprile 1914 ne riporta le idee a Torino. A un mese di distanza rappresenta inoltre l’Italia all’assemblea dello stesso organismo in quel di Roma. Si occupa di carceri e diritti dei minori.

Costruite meno prigioni e più riformatori, meno riformatori e più case di educazione per i ragazzi abbandonati.

Durante la Grande Guerra entra a far parte della Croce Rossa. Presta cure sul fronte, mettendo a rischio la propria incolumità. Riceverà una medaglia d’argento. Nel 1919 una riforma nel diritto di famiglia permette finalmente l’accesso alle donne a tutte le professioni (tranne la magistratura). Il 20 novembre 1920 arriva la sanatoria che permette a Lidia Poët l’iscrizione all’Albo degli Avvocati. A luglio dell’anno prima, tra l’altro, la Camera aveva approvato una legge sul voto alle donne.

Congresso delle Donne Italiane, Roma, 1908.
Congresso delle Donne Italiane, Roma, 1908.

A Torino, la lezione politica della signorina Poët è germogliata nel 1906 nel “Comitato pro voto donne”, tra le fondatrici l’insegnante Emilia Mariani. Nel 1922 Lidia Poët ne diviene presidente; ma è lo stesso anno della Marcia su Roma, da cui prende il via il ventennio fascista.

Tra le eredi morali di Lidia Poët, impossibile non nominare Lina Furlan, laureatasi in legge nel 1926, tre anni dopo pronta a vestire la toga. Al primo processo di quest’ultima, a difesa di una giovane madre accusata d’infanticidio, Lidia Poët è presente in sala. Le cronache dicono che al termine le due donne si abbracciarono.

Il ricordo finale di Lidia Poët non può che essere nelle parole di Lina Furlan.

Lidia era una donna carina, dolce, intelligente, come tutte quelle che io chiamo razze privilegiate, che hanno dei principi saldi, che difendono e coltivano, che non urlano, e non aspettano riconoscimenti.

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Bibliografia

  • Atti Del Parlamento Italiano - Discussioni della Camera dei Deputati, XV Legislatura, lunedì 2 giugno 1884 (prima tornata pomeridiana): resoconto stenografico, Camera dei Deputati, Archivio storico.
  • Beretta L. Borgato R. e altre, Le donne diventano, Ufficio Formazione CGIL Lombardia, 2007.
  • Bounous C., La toga negata, Pinerolo, Alzani, 1997.
  • Guidetti Serra B. (con S. Mobiglia S.), Bianca la rossa, Torino, Einaudi, 2009.
  • Poët L., Studio sulla condizione della donna rispetto al diritto costituzionale e al diritto amministrativo nelle elezioni. Dissertazione per la laurea in giurisprudenza, Pinerolo, Chiantore & Mascarelli, 1881.
  • Poët L., Ricorso all'Eccellentissima Corte di Cassazione in Torino della signorina Lidia Poët laureata in leggi contro la decisione dell'Eccelentissima Corte d'Appello in data 14/11/1883, Torino, Stamperia dell'Unione Tipografica Editrice, 1883.
  • Poët L., Conferenza della sig.na Lidia Poët, dottoressa in giurisprudenza, Torino, Tipografia Il Risorgimento, 1914.
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