Il rapporto tra l’uomo e il regno animale è molto stretto; un esempio di questo legame è dato dal fatto che fin dagli albori della civiltà abbiamo proiettato sugli animali i nostri vizi e le nostre virtù: pensate alle favole di Esopo o di Fedro! Le lingue sono ricche di modi di dire o espressioni in cui il comportamento umano è esemplificato ricorrendo a un animale, eccone alcuni in piemontese: per ‘mangiare di buon appetito’ il Dizionario Elettronico Piemontese riporta mangé cum ün crin, ün lüv, n’urs, na lüdria (una lontra), ciascuno con una specifica sfumatura di significato; di contro, si può esprimere lo scarso appetito dicendo di mangé cum un pipì (pulcino); si applaude l’impresa sportiva di chi è fort cum ün leun o ün tor; nell’astigiano si intima ai bambini di non essere dispetus cum na vaca vegia.
Si rifanno al regno animale anche diversi nomi di luogo; questi prendono il nome tecnico di zootoponimi (dal greco zoon ‘animale’ e toponimo). Le motivazioni principali per cui possiamo riconoscere il nome di un animale in un toponimo sono diverse: la presenza dell’animale sul territorio, reale o presunta; la coincidenza tra le caratteristiche del luogo e le peculiarità di un animale; la coincidenza di un nome di animale e un antroponimo; la presenza della raffigurazione di un animale nel luogo denominato; la reinterpretazione paretimologica di una base lessicale opaca.
L’allevamento è una risorsa importante nelle economie tradizionali e ha lasciato ampie tracce di sé in toponimia. Se in un nome di luogo compare il nome di un animale allevato, ciò spesso è la conseguenza di come la comunità ha organizzato lo spazio in cui abita, per gestire al meglio le risorse naturali. Tenendo presente le diverse abitudini di ovini e bovini, per esempio, un pascolo delle capre o delle mucche (strutture molto frequenti nella toponimia popolare), può indicare un pascolo adatto a ciascuna delle diverse specie: in forte pendenza e arbustivo il primo; pianeggiante e più ricco di erbe tenere il secondo. Ecco che attraverso l’animale si possono quindi predicare le caratteristiche del luogo nominato.
Richiamano i bovini: Bovile, frazione di Perrero (TO), Cio la Vaccia nel territorio di Rorà (TO), Vaccheria frazione di Guarene (CN) e Vacceria, alpeggio presso Ceresole Reale (TO). Mandrogne (frazione di Alessandria) e Mandrino (frazione di Frugarolo, AL) rimandano a mandria, come Mandria, frazione di Chieri (TO); sono tutti derivati dal latino mandra ‘mandria, gregge, gruppo di animali’.
Rimandano agli ovini: Ripiano delle Agnelere, a Locana (TO), Volpedo (< vicus pecudis, AL), Oviglio (AL), Oviglia (nome di due località, una presso Lanzo Torinese TO e l’altra presso Capriglio AT) e Neviglie (CN); tutte e tre le forme derivano da ovilia (a sua volta da ovis, ‘pecora’). Troviamo ancora nomi di luoghi che si rifanno alle denominazioni piemontesi dell’animale: da fea (< fetum) ‘pecora’, per esempio, si hanno Rocca Fea (tra Garessio e Ormea, CN), la Fonte Feja a Castelletto d’Orba (AL), il Colle della Fea a Groscavallo (TO). Fea Nera, nel comune di Massello (TO), rappresenta invece un caso di paretimologia: il toponimo così segmentato sembra essere facilmente traducibile in ‘pecora nera’; però il toponimo occitano da cui deriva la forma cartografica è Fiouniro, voce che designa una qualità di trifoglio. Chi ha trascritto il nome non ne ha compreso il significato e lo ha così storpiato.
Richiamano i caprini: Costa della Capra a Bagnasco (CN), Caprezzo (< capricius, VB) Caprie (< capriae o capreae, col significato ipotizzato di ‘stalle di capre’; TO), Capriglio (AT) e Caprile (BI) < caprilia, Craveggia (NO) < capricula; Cravegna (frazione di Crodo, VB < caprinea), Crava (fraz. di Rocca de’ Baldi, CN), Capraglia (< capraria o capralia presso Isola Sant’Antonio, AL), il Monte Chabrière, tra Exilles e Salbertrand (TO), il Monte Civrari, sullo spartiacque tra la Valle Susa e la Valle di Viù (TO), Ciabrans a Massello (TO) e Chabriols a Torre Pellice (TO). Il richiamo ai caprini, e alla capra in particolare, ci può indicare l’asprezza di un luogo oppure la difficoltà di un passo: il Colle della Ciabra a Roccabruna (CN) e il Passo della Capra a Prali (TO) non sono che un paio di esempi. Per diversi toponimi citati va ricordato che essi potrebbero rimandare alle specie selvatiche della sottofamiglia, più che alla capra domestica: camosci, caprioli o stambecchi.
Pochi sono i toponimi collegati ai suini: Borgoregio, frazione di Torrazza Piemonte (TO), la cui prima attestazione è Porcaricia (è evidente la sonorizzazione delle consonanti sorde e, successivamente, la reinterpretazione paretimologica) e Procaria, frazione di Ceres (TO) (<porcaria).
Le aquile sono rapaci che nidificano in luoghi impervi: per questa ragione sono state dedicate loro diverse cime alpine, come la Punta dell’Aquila, sullo spartiacque che separa la Val Sangone e la Val Chisone (TO). Più ampio è il numero dei nomi di luogo in cui si sono cristallizzate, debolmente italianizzate, le denominazioni dell’aquila nelle diverse lingue locali: la Punta dell’Aggia a Monastero di Lanzo (TO), sullo spartiacque tra la Valle del Tresso e la Valle dell’Orco; la Cima Ghigliè al confine tra Italia e Francia, nel Parco naturale delle Alpi Marittime (CN); la Roccia Eigliera a Massello (TO) e la Pera d’Aigla a Cesana Torinese (TO). La somiglianza di alcune vette a parti del rapace ha suggerito altre denominazioni: il Becco dell’Aquila sullo spartiacque tra la Val Chisone e la Val Germanasca (TO), il Pitre de l’Aigle (letteralmente “il petto dell’aquila”) a Pragelato (TO).
Il lupo è di gran lunga l’animale selvatico più presente nella toponimia piemontese. In passato tale specie era ben più frequente sul territorio regionale e da sempre ritenuta pericolosa. Se proviamo a immedesimarci nella popolazione rurale del passato, che doveva difendere sé e soprattutto le proprie greggi dagli attacchi di questa specie, capiremo meglio perché molti luoghi portano il nome del lupo: era un modo per indicare di tenersi lontano da certe zone, in quanto era stata incontrata (o solo avvistata) la bestia. Presente inoltre in molte favole e fiabe come antagonista, diverse generazioni di mamme e nonne hanno fatto ricorso al lupo per tenere i bambini lontani da luoghi pericolosi, a mo’ di spauracchio: “non andare là perché c’è il lupo!”. Non va escluso che certi toponimi potrebbero derivare da questi usi, rendendo dunque concreta una presenza del tutto irreale.
Nella toponimia piemontese troviamo sia nomi perfettamente trasparenti, come Comba del Lupo a Coazze (TO), Croso del Lupo a Piode (VC), Motto del Lupo tra Meina e Arona (NO), Pian del Lupo a Roccaforte Mondovì (CN), e Rio Lupo, idronimo condiviso da ben tre ruscelli: uno è un affluente del Melezzo e scorre nel comune di Druogno (VB); un secondo segna in parte il confine tra Cessole e Loazzolo (AT); il terzo infine scorre nel comune di Saliceto (CN). Altri toponimi ripropongono una veste prossima a quella delle lingue locali, come Clot del Lup a Sauze di Cesana (TO), e Paraloup, la borgata di Rittana (CN) al centro dell’esperienza partigiana di Nuto Revelli, Rio del Love, affluente del torrente Orba che scorre a Molare (AL). Non mancano toponimi che si rifanno a voci derivate da lupo, come Lovera, frazione di Bonvicino (CN), Luvara, a Mombello Monferrato (AL), Luera, a Sessame (AT), Cannobio e Oggebbio (entrambi VB) e Bocchetto Luvera frazione del comune di Valdilana (BI) da confrontare con il latino luparia: possono indicare sia “posti da lupi” (eventualmente con il significato metaforico di luoghi isolati), sia zone in cui erano state predisposte trappole per catturare i lupi.
Era l’orso, anticamente, a essere considerato il re degli animali: almeno alle nostre latitudini, dove di leoni non ce n’erano. La rilevanza che l’orso ha avuto nelle culture indoeuropee è testimoniata dal fatto che il nome dell’animale è spesso tabuizzato; lo si chiama “il bruno” nelle lingue germaniche (is. björn, ted. bär, ing. bear), “il leccatore” nelle lingue baltiche (lit. lokys, let. lacis), “il mangia-miele” nelle lingue slave (rus. medved’). Il latino ursus, al pari del greco arktos e del celtico arthos, prosegue la radice indoeuropea originaria (*rks-os, ‘il distruttore’); di origine latina sono le voci che designano l’animale nelle principali lingue locali della regione. Presente nelle nostre montagne fin verso la metà dell’Ottocento, non manca nella toponimia piemontese, con motivazioni affini a quelle già illustrate per il lupo: Bosco dell’Orso a Entracque (CN), Bric Orso a Gottasecca (CN), Monte dell’Orso a Carema (TO), Passo e Serra dell’Orso a Oulx (TO), Rio dell’Orso a Pamparato (CN), Testa dell’Orso tra Crodo e Varzo (VB); Tana dell’Orso a Intragna (VB), mentre a forme derivate rimandano i toponimi Orsara Bormida (AL), Orsera a Malesco e a Premeno (VB), Monte, Colle e Laghetto dell’Orsiera a Roure (TO) < ursaria, Monte Orsaro tra Pareto e Spigno Monferrato (AL), Montarsello, località presso Granozzo con Monticello (NO) < ursarellum, Serole (AT) < ursariolae.
Il nome di diverse località piemontesi presenta una struttura del tipo canta + nome di un animale. Indicando solo la provincia in cui si trovano e la quantità di attestazioni, essi sono: Cantagallo (2 AL, 1 TO); Cantagrillo (TO); Cantalupo (4 AL, 2 AT, 1 CN, 3 TO), Cantalupa (1 NO, 2 TO), Cantalupi (1 NO), Chanteloube (1 TO) e Ciantaluba (1 TO); Cantamerlo (1 TO); Cantarana (2 AL, 1 AT, 4 CN, 1 NO, 3 TO), Cantarane (2 CN 1 TO) e Cantarano (1 TO). Nella maggior parte dei casi il significato di questi toponimi è interpretato come “il luogo dove canta X” — cioè dove X (l’animale) è presente. Alla stessa struttura rimandano anche toponimi al di là delle Alpi: in Francia si hanno forme del tutto equivalenti costruite con il verbo chanter ‘cantare’ (Chanteloube, Chantemerle…). Passando in rassegna questi toponimi, lo studioso Alain Nouvel suppone che l’interpretazione corrente possa talvolta essere paretimologica e ritiene più proficuo considerare il primo elemento chante- come una reinterpretazione della radice preindoeuropea *kan-t- ‘pietra’; allo stesso modo, molti dei nomi di animali possono essere reinterpretazioni di radici di sostrato: -lupo può essere accostato all’occitano loba ‘montagna’ (da una radice preromana *lap-); -merlo alla radice mal- / mar- ‘roccia’; Nouvel ricorda infine che il tipo cantagrillo può essere accostato all’occitano cantagrelh ‘terreno arido e pietroso’. Ovviamente tali ipotesi vanno tenute in considerazione anche per i toponimi “al di qua” delle Alpi che abbiamo citato.
Poiché l’alfabetizzazione di tutti gli strati della popolazione è una conquista relativamente recente, spesso in passato le attività commerciali (soprattutto osterie e locande) ricorrevano a insegne che raffiguravano oggetti (scudi, croci, corone ecc.) o animali per distinguersi. Qualche esempio dal mondo animale: ad Asti nel 1389 era attiva una locanda all’insegna del pesce e del moro; nel 1580 a Chieri troviamo le insegne del delfino, della cerva, del leone e del muletto; a Carignano le insegne dell’olicorno, del bove, dei tre conigli, del montone e del leone; a Savigliano della cerva, del cammello, del muletto, dell’orso e del falcone; alla fine del Settecento a Torino erano in attività locande con le seguenti insegne: Annia (anatra), Aquila d’oro, Bue rosso, I due buoi rossi, Caval Grigio, La colomba, Fagiano, I tre galli, Gambero d’oro, La merla, Il muletto, Papagallo, Struzzo. Spesso il nome transita dalla locanda alla via in cui l’esercizio si trova: ecco, sempre a Torino, Via del Gambero (ora sezione di Via Bertola), Vicolo dei Due Buoi (ora sezione di Via Monte di Pietà) e Via delle Tre Galline (ora Via Bellezia; la locanda esiste ancora). La pratica di nominare locande, ristoranti, birrerie con nomi di animali, veri o fantastici, perdura ancora oggi. Una certa ripetitività si alterna a guizzi di fantasia: si può cenare all’insegna del Cavallo Bianco a Pinerolo (TO), Dronero (CN), Locana (TO), Macrav (CN) e Novara; a quella del Gallo d’Oro ad Alessandria, Carpignano Sesia (NO) e Galliate (NO); all’Aquila Nera a Chivasso (TO), Ivrea (TO), Crissolo (CN), Asti, Sestriere (TO), Genola (CN), Arborio (VC), Brossasco (CN), Monterosso Grana (CN). Ci sono anche nomi più curiosi o esclusivi: segnalo il Polipo Ubriaco, il Carlino Ubriaco, l’Oca Fola (tutti a Torino), la trattoria al Gufo Nero (Ghemme, NO) e l’Osteria della Chiocciola (Cuneo); non mancano gli animali fantastici, richiamati per esempio da Il Cavallino Alato (Asti), La Fenice (Vercelli), la Taverna del Dahu (Bardonecchia, TO) e il Dahu a Torino. Nel folklore il dahu è un animale diff uso dai Pirenei alle Alpi; si tratta di un cervide caratterizzato da gambe più lunghe su una parte del corpo (destra o sinistra), che lo aiuterebbero a restare in equilibrio sui pendii montani.
L’antroponimia (l’insieme dei nomi che si danno alle persone, costituito da nomi personali, soprannomi e cognomi) è una componente importante in toponimia. Molti nomi di luogo contengono antroponimi: la loro funzione, solitamente, è indicare il proprietario dell’area denominata. E poiché diversi antroponimi si rifanno a nomi di animali — se ci concentriamo sui cognomi, in Piemonte troviamo diffusi: Ghi (il ghiro), Aiassa (la gazza ladra), Cane, Capra, Cravetto, Craviolo, Cravino, Fasano (fagiano), Lajolo e Laiolo (il ramarro) Gallo, Gal e Gai, Fea (la pecora), Griva (il tordo) Quaglia, Merlo e tanti altri — ecco che i nomi degli animali trovano un altro modo di manifestarsi in toponimia. Il fenomeno è molto ampio, e coinvolge in particolare quei nomi di luogo che designano case, borgate ed edifici. Un esempio antico può essere Gattinara (VC), alla cui base c’è il nome personale Gattinus, derivato da Gattus o Cattus (‘gatto’). Di formazione ben più recente sono Casa Laiolo presente a Castelnuovo Calcea, Monastero Bormida e Vesime, tre centri della provincia di Asti, epicentro del cognome Laiolo; Casa Capra è presente a Lu Monferrato (AL), Terzo (AL), Cessole (AT), Costigliole d’Asti (AT), Rocchetta Palafea (AT), San Marzano Oliveto (AT), Barbaresco (CN), Diano d’Alba (CN), Roddino (CN) e Sinio (CN); una Casa Aiassa compare a Cortazzone (AT) e a Poirino (TO), mentre una Cascina Aiassa si trova a Livorno Ferraris (VC); nel confinante comune di Cigliano (VC) troviamo una Casa Griva; Casa Fea sorge a Montaldo Scarampi (AT).
Ci congediamo con una rapida rassegna, che speriamo esser utile, almeno in parte, a dar conto della consistenza del fenomeno. Rivera du Cioc (da ciuc ‘gufo’) a Lessona (BI); Dughera (da dugu ‘gufo’) a Piode (VC) e Dughere Pila (VC); Fontana Moschina a Caltignaga (NO) e Gias delle Mosche a Valdieri (CN); Alpe della Volpe ad Armeno (NO); Monte Formica tra Miasino e Armeno (NO); Pizzo Ragno tra Druogno e Santa Maria Maggiore (VB); Colle Aragno Est e Ovest tra Cumiana e Cantalupa (TO); Passo del Gatto ad Alagna Valsesia (VC); Colle Serpentera a Chiusa di Pesio (CN); il Terpone (da terpun ‘talpa’) a Mongardino (AT); Quagliera a Usseglio (TO); Monte Parpaiola (forse da parpaiun ‘farfalla’) tra Villar Focchiardo, Pinasca e San Pietro Val Lemina (TO); Rocca del Fasan a Paesana (CN); Punta Marmottere a Novalesa (TO); Cicalara a Morbello (AL) e Bric Sigala (cicala) a Nizza Monferrato (AT); Bric Gheia (gazza) tra Cassinelle e Molare (AL); Gran Gavia (dall’occitano zhaio ‘pernice bianca’) a Chiomonte (TO); Groscavallo e Piedicavallo (TO).
Le fonti dei nomi trattati sono diverse risorse cartografiche on-line: Carta Tecnica Regionale del Geoportale Piemonte, Carta dell’Istituto Geografico Militare del Geoportale Italiano, Openstreetmap.
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SITOGRAFIA