Nel 1892 il vercellese Giovanni Faldella diede alle stampe uno “stravagante libro di villeggiatura”, come lo definì lo stesso Faldella, intitolato Verbanine, una corrispondenza fittizia tra il viaggiatore di commercio Apostolo Zero e la torinese Rosina. Nella prime lettere, inviate da Stresa e dintorni, l’attenzione del protagonista, solitamente refrattario al godimento delle bellezze paesaggistiche, è catturata da una maestosa costruzione:
“Dalla riva di Baveno mi si spiattellano innanzi le pareti rosate e le torri acuminate della villa Clara che l’ingegnere Henfrey dedicò alla propria moglie. La diresti un castello di un recente conquistatore normanno. E l’ingegnere Henfrey è un vero conquistatore venuto già dal Settentrione; ma non è un conquistatore della spada, della violenza, della ferocia; è un conquistatore della nobiltà nuovissima, che deriva dall’utile, dalla scienza e dal lavoro”.
Se è ancora possibile restare ammirati da Villa Clara (oggi Villa Branca), di Charles Henfrey è a malapena rimasta la memoria del nome. Su di lui le notizie scarseggiano: non esistono biografie, diari, foto o ritratti; eppure questo “conquistatore normanno” è stato un uomo di successo, con amicizie altolocate e un ottimo fiuto per gli affari. Oltre alla villa Henfrey costruì ferrovie, fu un collezionista d’arte, un filantropo e animò la vita sociale del piccolo centro di Baveno. Per saperne di più sulla sua vicenda terrena ci siamo rivolti a Laura Canella, laureata in Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Milano, che per anni si è occupata di Charles Henfrey ricostruendone la vita e soprattutto la preziosa collezione di dipinti rinascimentali.
Charles Henfrey nacque ad Aberdeen, in Scozia, nel 1818 da una famiglia inglese originaria di Worksop, nelle Midlands Orientali. A Worksop il padre, Henry Outram Henfrey, si era stabilito sposando in seconde nozze Harriet Hollinsworth. Il legame con la Scozia è presto spiegato: Henry era un ingegnere che commerciava in pietre da costruzione provenienti dalla Scozia. Era un uomo influente nel suo campo che si distinse in numerose opere pubbliche, tra le quali la sostituzione del London Bridge medievale con una nuova costruzione in pietra in società con lo scozzese John Rennie.
Henry Outram Henfrey si spense nel 1827 lasciando moglie e quattro figli. Il primogenito, Charles, e il terzogenito, George, proseguirono la professione paterna facendo apprendistato presso la società di John Rennie prima di trasferirsi a Manchester. Qui, nel 1843, si misero in affari con George Clarke Pauling – appaltatore, costruttore e mercante di legname della zona. Insieme a Pauling, i fratelli Henfrey ottennero proficue concessioni sulla linea ferroviaria Birmingham-Wolverhampton. Sempre a Manchester, gli Henfrey presero moglie: George portò all’altare Emily Gibbes, mentre Charles sposò la sorella, Ann, che morì poco tempo dopo. Il sodalizio tra i fratelli e Pauling durò fino al 1850, quando Charles e George si trasferirono in Piemonte attirati dai progetti di Cavour.
Cavour era intenzionato a modellare il sistema ferroviario piemontese su quello britannico: gli fu dunque naturale guardare Oltremanica in cerca di capitali e competenze. Ruolo chiave fu giocato da Thomas Brassey, scaltro businessman e impresario ferroviario che godeva della massima stima di Cavour. Brassey, in società con gli Henfrey e con William Jackson, accolse l’invito del Ministro delle finanze piemontese e, proprio attraverso Charles Henfrey, sottopose al parlamento sabaudo il progetto di costruzione della linea Torino-Susa. Il progetto fu approvato il 14 giugno 1852 e la linea fu inaugurata meno di due anni dopo, il 24 maggio 1854.
Nel 1856, in occasione della realizzazione della tratta Torino-Novara, Brassey ed Henfrey (questa volta senza Jackson) vinsero l’appalto per la costruzione della diramazione Chivasso-Ivrea. La linea fu aperta al pubblico nel maggio 1858 per il tratto Chivasso-Caluso, e nel novembre dello stesso anno per quello tra Caluso e Ivrea.
In Piemonte Charles aveva stabilito la propria dimora in via Goito, a Torino, dalle parti di Porta Nuova. Tuttavia, seguendo una moda diffusa, prese a frequentare il Lago Maggiore prediligendo in particolare Baveno. Non impiegò molto a fare del grazioso borgo sulla sponda piemontese del lago la meta preferita dei propri soggiorni. Nel marzo 1856 avviò le procedure di acquisto di alcuni terreni sui quali costruirvi una dimora. Il lavoro intanto chiamava: ultimata la realizzazione della Chivasso-Ivrea, nel 1859 Charles si trasferì in India per sovrintendere alla costruzione delle linee del Bengala orientale e alle tratte che collegavano Delhi al Punjab. A Lahore (oggi in Pakistan), il 19 aprile 1866 sposò in seconde nozze Clara Eliza Goodeve, figlia di un funzionario del governo britannico.
Benché lontano dal Lago Maggiore, Charles non smise mai di interessarsi della proprietà di Baveno. La costruzione della villa, dedicata alla moglie, prese avvio nel 1870 e si concluse due anni più tardi. Architetto era il londinese William Allen Boulnois, il quale operò secondo le indicazioni dello stesso Henfrey realizzando un’imponente dimora in stile New English Gothic, con mattoni rossi a vista, guglie altissime, abbaini cuspidati, ampi terrazzi e finestre in marmo bianco. Villa Clara si guadagnò subito elogi, ma attirò altresì critiche per lo stile eccessivamente eclettico e la scarsa sintonia con il paesaggio.
Nel 1873 Charles Henfrey fece realizzare anche una cappella ottagonale dedicata ai Santi Evangelisti. L’architetto incaricato questa volta fu Richard Pullan, il quale ideò e realizzò la maggior parte delle decorazioni che ricoprono le pareti e il soffitto – oggi purtroppo in uno stato di notevole deterioramento. Curiosamente, come ha scoperto Laura Canella, in questa cappella furono sepolte le salme di Charles e della moglie prima di venire traslate nel cimitero di Baveno, dove si trovano ancora oggi.
La villa divenne presto famosa per ospitare personalità d’eccezione, come il futuro imperatore di Germania e re di Prussia, Federico III, e la regina Vittoria, che soggiornò a Baveno tra marzo e aprile 1879. Già a gennaio dello stesso anno Vittoria aveva compreso di necessitare di un “change of scene”, come si legge nel suo diario: la figlia terzogenita, Alice, si era spenta nel dicembre 1878 dopo sei giorni di agonia, la principessa Louise si era trasferita in Canada, e la lunga vedovanza aveva reso la regina cupa e malinconica. Per provare a lasciarsi alle spalle tutto ciò, Vittoria scelse di trascorrere un mese in Italia, un luogo che aveva da sempre desiderato visitare.
A indirizzarla a Baveno furono i coniugi Bagot, i quali fecero da tramite tra la regina e gli Henfrey: Lady Bagot era un’amica comune, mentre il marito era Assistant Master of Ceremonies di Vittoria. Henfrey, dopo aver offerto con entusiasmo la propria villa, si era messo al lavoro per accogliere in maniera adeguata Vittoria e il suo seguito. La monarca lasciò Windsor il 25 marzo 1879 insieme a un nutrito corteo, del quale facevano parte, tra gli altri, l’ultimogenita Beatrice, il medico personale, il segretario privato e il fido servitore scozzese John Brown. Mentre era in viaggio, Vittoria fu raggiunta dall’ennesima notizia luttuosa: la morte del nipote undicenne, figlio della principessa Vittoria. Dopo aver raggiunto la stazione di Arona nel pomeriggio del 28 marzo, Vittoria si trasferì in carrozza fino a Baveno, per l’occasione addobbata a festa. Un comitato di accoglienza diede il benvenuto alla regina, che fu successivamente condotta a casa Henfrey.
Di Villa Clara amò da subito il loggiato, dal quale poteva godere dello scenario fiabesco offerto dal lago e dove poteva dipingere in piena tranquillità. Naturalmente non trascorse tutto il tempo in casa, ma si dimostrò interessata a visitare il paese e i suoi abitanti. Trovò molto belli i contadini, provò pena per le povere donne piegate dal lavoro e rimase sorpresa dai bambini che, vedendola in carrozza, la riconoscevano all’istante chiamandola “Regina d’Inghilterra”. La curiosità spinse la monarca a Stresa e Gravellona, e poi a Omegna, Orta, Pallanza e Intra, per arrivare, infine, a Cannero Riviera e a Locarno. Il 15 aprile fu a Milano, il 16 incontrò Elisabetta di Sassonia, duchessa di Genova, mentre il 18 aprile, a Monza, avvenne l’incontro con i reali piemontesi Umberto I e Margherita. Dopo aver trascorso un mese in serenità, il 23 aprile Vittoria provò una grande tristezza a congedarsi da Villa Clara. Ai padroni di casa lasciò regali di pregio: una scatola di brillanti per Clara e un candelabro tempestato di pietre preziose per Charles e la sua villa.
Dopo essere rientrato dall’India, Charles si era messo in affari con il fratello, il quale aveva nel frattempo stabilito la propria dimora nel Golfo della Spezia ed esteso i propri interessi al campo minerario attraverso la Victoria Mining Company, attiva in Liguria e Sardegna dal 1877. A questa seguì, nel 1882, la Giorgio Henfrey e C., un cantiere navale di Muggiano dedicato alla riparazione delle navi che trasportavano minerali dalla Sardegna.
Ma la vera passione di Charles erano i dipinti. Una passione che trovò terreno fertile nel corso degli anni torinesi allorché Henfrey poté frequentare James Hudson, ministro plenipotenziario britannico a Torino dal 1852 al 1861. Anche Hudson era un consumato collezionista il cui ufficio divenne un punto di riferimento per politici, aristocratici, ma soprattutto per mercanti e collezionisti d’arte inglesi – grazie alla posizione ricoperta era spesso Hudson a segnalare le opere interessanti da acquistare e a facilitarne l’esportazione. Oggi risulta impossibile ricostruire la pinacoteca privata di Charles Henfrey; tuttavia, Laura Canella è riuscita a identificare con certezza alcuni dipinti a lui appartenuti. Come si nota dell’elenco seguente, si tratta perlopiù di opere di autori lombardi o veneti del Cinquecento che avrebbero in seguito conosciuto percorsi piuttosto travagliati: il Ritratto di Girolamo Fracastoro di Tiziano Vecellio appartenne a Charles fino al 1858, quindi fu smarrito e rinvenuto solo di recente nei depositi della National Gallery di Londra; la Madonna con il Bambino, Santa Caterina da Siena e un monaco certosino, tempera su tavola realizzata da Ambrogio da Fossano tra il 1488 e il 1494, è attualmente custodita alla Pinacoteca di Brera; Loth e le figlie del veronese Alessandro Turchi fu venduto a Henfrey da Teodoro Lechi, collezionista bresciano e generale d’armata dell’esercito piemontese. Per un po’ del dipinto si persero le tracce: si seppe che venne trafugato dai nazisti, finì in una collezione privata in Germania prima di essere identificato e restituito agli eredi legittimi. Stando alle indagini della dottoressa Canella, tra i quadri posseduti da Lechi e passati nella collezione Henfrey ci sarebbero anche la Sant’Agnese del bolognese Alessandro Tiarini, la Maddalena penitente di Tiziano e la Susanna e i vecchioni di Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino. La Presentazione di Gesù al Tempio e l’Adorazione del Bambino sono invece di un autore piemontese, Defendente Ferrari, tavole donate da Henfrey alla parrocchiale di Baveno, dove si trovano ancora oggi – benché di questa donazione, dopo le ricerche di Laura Canella, non risulti alcuna traccia nell’archivio della parrocchia.
Secondo Canella, il caso più interessante riguarda il Ritratto di Fortunato Martinengo Cesaresco eseguito da Alessandro Bonvicino, detto il Moretto, intorno al 1542. Dalla collezione della contessa Marzia Martinengo Cesaresco, alla quale apparteneva in origine, l’opera passò in quella del conte Lechi nel settembre 1843. Al termine delle Cinque giornate di Milano, Lechi, in fuga dagli austriaci, trovò riparo a Torino portando con sé quanto rimaneva della quadreria di famiglia. La pubblicazione, tra il 1850 e il 1860, di tre cataloghi di vendita della collezione Lechi calamitò l’interesse dei collezionisti inglesi. Infatti, il 9 gennaio 1854 l’opera del Moretto fu acquistata da Charles Henfrey. Nel 1856 Otto Mündler (storico dell’arte e agente della National Gallery) vide il dipinto presso la dimora torinese di Henfrey, il quale, però, prima di partire per l’India, decise di disfarsene cedendolo a James Hudson. In effetti, durante un periodo di assenza da Torino del rappresentante britannico, Mündler ed Elizabeth Eastlake (moglie di Charles, primo direttore della National Gallery) affermarono di averlo visto esposto, insieme ad altre opere, a casa Hudson. Era l’agosto 1858, e di lì a poco il quadro avrebbe preso la via della National Gallery, dove si trova tuttora.
A Baveno i coniugi Henfrey non si limitarono a ricevere il jet set internazionale, ma si spesero anche a favore della comunità. Oltre alle tavole di Defendente Ferrari, Charles omaggiò i bavenesi istituendo l’asilo infantile che ancora oggi porta il suo nome. Quando Henfrey morì a Firenze nel 1891, la moglie lasciò Villa Clara per stabilirsi in un’abitazione più piccola, oggi a fianco dell’Hotel Lido di Baveno.
Nel giugno 1898 Villa Clara fu venduta a Maria Scala, vedova di Stefano Branca, figlio di Bernardino Branca, quest’ultimo nativo di Pallanza nonché inventore dell’omonimo liquore. Clara Henfrey si spense il 19 marzo 1927 e ottant’anni dopo, nel gennaio 2007, un incendio causò la distruzione del tetto e danni ingenti ai terrazzi e agli interni del secondo piano di Villa Branca. La ricostruzione integrale della villa, tra processi volti ad accertare eventuali responsabilità e lungaggini burocratiche, si è mantenuta fedele al modello originale ed è stata ultimata nel 2012.
👉 Un sincero ringraziamento a Laura Canella per la disponibilità e l’aiuto.
Canella L., Charles Henfrey, un collezionista tra Baveno e l’India, in Concorso. Arti e lettere, 11, 2018.
H.M.V., George Henfrey, in The Welsh Outlook, 3, 9, 1916.
Wright M., Un sogno luminoso. La Regina Vittoria a Baveno 1879, Intra, Alberti, 2010.