Cucire per rinascere: la sartoria popolare InTessere

Dal Gruppo Abele un progetto inclusivo dedicato a donne vulnerabili di ogni cultura e provenienza

Laureata in Scienze dei beni culturali, è una guida turistica non convenzionale, nota come La Civetta di Torino specializzata nella valorizzazione storico-artistica della città da un punto di vista insolito tombe, cimiteri, cripte e non solo.

  

Durante il XVI secolo l’umanista castelnovese Matteo Maria Bandello scriveva in merito alle donne piemontesi: le donzelle di Piemonte sono assai piacevoli et honeste et conoscono l’arte di ben accomodare ogni abbigliamento. Il gusto e la bravura nel cucire delle fanciulle piemontesi del Cinquecento furono ereditati dalle sartine che popolavano la Torino otto-novecentesca. Infatti, nella città considerata all’epoca centro propulsore della moda in Italia, le sartine formavano un quinto della forza-lavoro locale e soltanto in città se ne contavano oltre trentamila. La maggior parte di esse era di famiglia umile e arrivava dalle campagne, dalle regioni del Nord-Est o dal meridione alla ricerca di migliori condizioni di vita. Queste donne andavano a formare un elegante corpo di guardie della moda (citazione di Luigi di San Giusto del 1910), testimonianza tangibile dell’antico legame del Piemonte e di Torino con il mondo della tessitura e della sartoria.

Quel legame continua ancora oggi, ma le sartine della Torino del nuovo millennio provengono anche dall’Africa, dal Medio Oriente e dall’Est Europa. Come le predecessore, anch’esse hanno vissuto momenti difficili e ricercano nel lavoro l’indipendenza, l’emancipazione, la realizzazione di un progetto che le conduca a voltar pagina e a riscattarsi. Spesso un supporto esterno, unito alla tenacia e alla forza di volontà individuali, può fare la differenza per raggiungere questi obiettivi. È qui che entra in gioco la Drop House del Gruppo Abele, l’Onlus-Ong fondata nel 1965 da Don Luigi Ciotti.

Una drop house in Barriera di Milano

La Drop House si trova in via Giovanni Pacini 18, in Barriera di Milano. Questo quartiere popolare si formò alla metà dell’Ottocento, contestualmente alla cinta daziaria eretta per il controllo delle merci in entrata a Torino che separava la città dalle campagne circostanti. La barriera che dà il nome alla zona non ha nulla a che vedere con la Barriera descritta da George R. R. Martin nel romanzo Il Trono di Spade, la gigantesca fortezza oltre la quale si estende l’ignoto territorio abitato dagli Estranei e dai Bruti (anche se il quartiere potrebbe essere identificato così da banali pregiudizi). La barriera di Milano altro non era se non il casello, rivolto verso il capoluogo lombardo, dove veniva riscosso il dazio d’ingresso a Nord della città. In breve tempo qui sorsero molte fabbriche, attualmente riconvertite in abitazioni e servizi. Complice il costo più basso della vita e delle case rispetto al centro, la zona andò popolandosi di operai e migranti. Questi ultimi costituiscono tuttora un quarto dei residenti.

Drop House, fotografia di Andrea Guermani.
Drop House, fotografia di Andrea Guermani.

Dal 2008 il Comune di Torino ha affidato in gestione al Gruppo Abele la palazzina degli uffici della CEAT, la fabbrica produttrice di pneumatici attiva in Barriera di Milano dal 1939 al 1979. Proprio qui è stata installata la Drop House, un punto di riferimento per il quartiere. La Drop House nasce come centro diurno di accoglienza rivolto alle donne in situazioni di svantaggio socioeconomico. È uno spazio tutto al femminile, con tanto di asilo nido, che fornisce gli strumenti per favorire l’integrazione della persona nella società e nel mondo del lavoro grazie all’erogazione di vari servizi, tra cui corsi di formazione e laboratori pratici quali lingua italiana, informatica, economia domestica, cucina, riciclo creativo, bigiotteria... Ma non solo. È un luogo di aggregazione, in cui lo scambio relazionale diventa parte integrante di un processo di crescita e di arricchimento che non è a senso unico, ma coinvolge tanto le donne che frequentano la casa quanto le operatrici e le volontarie che vi lavorano. E questo scambio alla pari spesso può portare alla nascita di nuove realtà. In questo senso il corso di cucito della Drop House ha prodotto un ottimo frutto: la Sartoria Popolare In-Tessere.

Cucire per rinascere

Racconta la responsabile Teresa Giani:

All’inizio il corso si teneva ogni mercoledì, con solo tre macchine da cucire a disposizione, in uno spazio usato anche per altre attività, quindi regnava un po’ di confusione. Man mano la lista d’attesa delle persone interessate è diventata sempre più lunga e ci si è accorti che questa proposta rispondeva alle necessità degli abitanti del quartiere. È nata così l’idea di In-Tessere. Una vera e propria sartoria popolare in cui attivare corsi di cucito, da quello base (dal rammendo all’orlo) a quello più avanzato per chi ha già qualche competenza e vuole imparare ad usare la macchina da cucire per realizzare capi semplici come gonne o maglie, fino a corsi di livello più elevato tenuti da sarti professionisti. In-Tessere è stato pensato anche come un luogo messo semplicemente a disposizione di chi in casa non ha modo né spazio per sistemare i propri panni, dove poter trovare delle volontarie pronte a dare una mano.

Nel settembre 2019 è stata lanciata la campagna di crowdfunding per trasformare in realtà il progetto della sartoria, premiato dalla piattaforma Rete del Dono come miglior progetto creativo al Digital Crowdfunding Award 2020. In brevissimo tempo sono stati raccolti i fondi necessari grazie ai contributi di privati cittadini e dello spazio creativo Cucito Condiviso, del brand Chité Milano, del Museo del Tessile di Chieri e della Fondazione Enrico Eandi.

Il fine di In-Tessere non è di dare una solidarietà calata dall’alto, fine a sé stessa, ma di accompagnare queste donne ad intraprendere un percorso personale, consapevole e voluto, che porti al miglioramento delle condizioni di vita attraverso la formazione e il raggiungimento di un livello di professionalità che consenta di rimettersi in gioco con il lavoro.
Patrizia Ghiani

Le storie di Joy, Josephine e Sanaa

Purtroppo, la pandemia ha bloccato la completa attuazione del progetto ma, nel frattempo, con i fondi ricevuti è stato possibile ristrutturare il locale da adibire esclusivamente a sartoria. Inoltre tre donne, Joy, Josephine e Sanaa, hanno potuto seguire un corso avanzato tenuto dalla sarta Silvia Maiorana di Cucito Condiviso e finalizzato alla produzione di una linea personalizzata. Ed ecco un altro degli obiettivi di In-Tessere: la creazione di un marchio attraverso il quale realizzare prodotti da proporre in vendita, ma soprattutto offrire borse-lavoro e tirocini all’interno della sartoria alle donne che si sono formate in modo più specifico e che sono diventate in grado di maneggiare anche tessuti pregiati.

Joy, Josephine e Sanaa hanno seguito dapprima i corsi di cucito della Drop House e hanno accettato di investire nel progetto della sartoria popolare perché motivate dalla loro grande passione per la moda. Joy avrebbe voluto fare la modella. Nonostante il suo percorso migratorio sia stato molto faticoso, non ha perso il suo sogno e l’ha rimodellato diventando stilista. Grazie al corso professionalizzante promosso da In-Tessere e attivato con il crowdfunding, Joy è riuscita a creare una sua linea di abbigliamento, così come Josephine porta avanti la sua attività di confezione di abiti da cerimonia nigeriani, mentre Sanaa ha potuto affinare le sue tecniche eredi dell’antica tradizione sartoriale del suo paese, il Marocco.

Sanaa, Joy e Josephine con don Ciotti.
Sanaa, Joy e Josephine con don Ciotti.

Sostegno alle donne e reciprocità

Il fine di In-Tessere non è di dare una solidarietà calata dall’alto, fine a sé stessa, ma di accompagnare queste donne ad intraprendere un percorso personale, consapevole e voluto, che porti al miglioramento delle condizioni di vita attraverso la formazione e il raggiungimento di un livello di professionalità che consenta di rimettersi in gioco con il lavoro. Noi forniamo gli strumenti con cui le donne possono potenziare un talento, un’attitudine. Sta poi a loro svilupparli e portarli avanti, diventando loro stesse artefici, e non solo beneficiarie, del progetto che le coinvolge. Quando lanciammo il crowdfunding il fine era quello di uscire dalla concezione "poverine, aiutiamole" propria solitamente di chi osserva dall’esterno. Il disagio non è mai una condizione di partenza, è sempre una condizione che si subisce, imposta da un sistema più grande. Cerchiamo di immaginare, invece, persone che hanno avuto le loro sofferenze di vita, ma hanno avuto anche la forza di formarsi per cambiare il loro destino. Aiutiamole a sostenere un percorso scelto da loro in base al proprio talento. Saranno poi loro ad assumersi onori ed oneri di questo processo che noi possiamo solo sollecitare.

dice Patrizia Ghiani, operatrice della Drop House, seguita da Teresa Giani

Ci siamo armati di tanta determinazione per arrivare a realizzare questo sogno e ci sono voluti anni per avere un nucleo stabile di una decina di volontarie sarte che mettessero a disposizione quelle conoscenze che al giorno d’oggi si vanno perdendo. Siamo certi che la Sartoria Popolare possa essere una risorsa per il territorio e per le donne, perché qui tutti trovano sostegno e "intessono" relazioni. Le donne possono concretizzare le loro idee, mettere a disposizione le loro abilità, possono sentirsi utili a sé stesse e a noi. Dopo che abbiamo dato loro una mano, vogliono restituirci qualcosa. Si crea così una reciprocità alla pari, uno scambio che non è soltanto materiale, ma anche emotivo.

Le sartine del nuovo millennio

Continua Patrizia Ghiani:

In-Tessere vuol dire proprio questo: dare risalto alla capacità di intessere intesa come "mettere insieme". Il nome della sartoria gioca sul doppio livello del cucito come attività manuale e del luogo come spazio di formazione, di riscatto attraverso il lavoro e soprattutto di relazione.

Per rendere nota la riapertura della sartoria dopo lo stop forzato, nel dicembre 2021 è stata organizzata un’inaugurazione ufficiale con asta, per la raccolta di altri fondi. Dalle quote in denaro ai materiali (scampoli, bottoni, macchinari…) ricevuti da chi dismette il proprio magazzino o da chi aveva una madre sarta, le donazioni sono sempre ben accette. Finalmente le attività sono ripartite.

Tante le idee e i piani per il futuro, come la ripresa di collaborazioni interessanti quale quella con la RAI, per cui In-Tessere ha già realizzato i capi di biancheria utilizzati nella fiction Cuori. Per ora i prodotti confezionati dalle donne e dalle volontarie si possono acquistare nella bottega del Gruppo Abele, Binaria Centro Commensale, in via Sestriere 34. Ma si progetta l’ingrandimento della sartoria, con una bella vetrina comunicante con la strada, in modo da poter interagire più facilmente con l’esterno attraverso un punto vendita e la proposta di riparazioni sartoriali a prezzi popolari.

Le sartine del nuovo millennio sono tornate al lavoro!

👉 Si ringrazia per la disponibilità Teresa Giani e Patrizia Ghiani.

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Bibliografia

  • Gambarotta B., Modiste e sartine, in Castronovo V. (a cura di), Storia illustrata di Torino. Società e costume, vol. 11, Milano, Sellino Editore, 1994, pp. 3221-3239.

  • Maher V., Tenere le fila. Sarte, sartine e cambiamento sociale. 1860-1960, Torino, Edizioni Rosenberg & Sellier, 2007.

  • Moriondo C., Torino tempi d’oro, Torino, Daniela Piazza Editore, 1982.

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