Franco Andrea Bonelli, l'entomologo precursore di Darwin

Le teorie dello scienziato cuneese che anticipò di cinquant'anni l'evoluzione delle specie

Illustrazione dell’aquila del Bonelli (Aquila fasciata).

Laureato in lingue all’Università di Torino, ha una passione per tutto ciò che è cultura, arte, storia e scienza. Al fascino e alla curiosità per tutti i paesi vicini e lontani, e in particolare per quelli di lingua tedesca, unisce l’interesse ai ben più vicini angoli del natio cuneese.

  

Il percorso della scienza e delle scoperte tecnologiche procede a volte in maniera eccentrica e può capitare così che una stessa scoperta venga fatta contemporaneamente e in maniera più o meno indipendente da due o più persone. Così, ad esempio, l’invenzione dei fiammiferi moderni è attribuita generalmente a personalità di differenti nazioni, dall’inglese John Walker, al francese Charles Sauria, fino al tedesco Jakob Friedrich Kammerer, e arriva addirittura a includere due piemontesi, Sansone Valobra e Carlo Francesco Domenico Ghigliano, rispettivamente natii di Fossano e Dogliani.

Un caso ben più celebre è quello riguardante la teoria dell’evoluzione. Era il 1858 quando Charles Darwin, che da molti anni lavorava a una teoria che potesse spiegare lo sviluppo degli organismi viventi, ricevette una lettera dall’Estremo Oriente che gli fece perdere il sonno. Il suo autore, Alfred Russel Wallace, un naturalista fino ad allora sconosciuto, lo informava che durante le sue peregrinazioni tra Malesia e Indonesia a caccia di animali rari da spedire in Europa, era riuscito a venire a capo all’annoso problema dell’origine delle specie. A riprova di ciò, accludeva un articolo intitolato On The Tendency of Varieties to Depart Indefinitely from the Original Type che descriveva il processo di selezione naturale in maniera identica a quanto Darwin stava facendo nello stesso periodo. Dopo essersi confrontato con due colleghi, il geologo Charles Lyell e il botanico Joseph Hooker, Darwin decise di far pubblicare congiuntamente il lavoro di Wallace e un sunto delle sue ricerche sulla prestigiosa rivista della Linneian Society di Londra.

Il frontespizio dell'edizione del 1859 de 
Il frontespizio dell'edizione del 1859 de "L'origine delle specie".

L’anno successivo, con la pubblicazione dell’Origine delle specie, Darwin diede infine conto delle ricerche che l’avevano occupato per anni, provocando uno scossone tanto nel mondo scientifico quanto presso l’opinione pubblica. Era più o meno noto a Darwin, a Wallace e ai loro sostenitori, che vi fossero stati diversi predecessori ad aver abbozzato qualcosa di simile alla loro teoria dell’evoluzione. Alcuni, come il francese Lamarck, erano conosciuti, altri, come gli insospettabili Goethe e Schopenhauer, lo erano molto meno. Darwin provò a render giustizia ad alcuni di loro nella terza edizione del suo magnum opus. Gli sfuggì però un suo collega di Cuneo, morto ormai da trent’anni…

Più di una collezione

Per i cuneesi, Bonelli è soprattutto il nome di una scuola superiore sul Viale degli Angeli, in una delle zone più belle della città, ma l’uomo dietro quel nome, il naturalista Franco Andrea Bonelli, non è ben noto. Nato nel 1784 a Cuneo, dodicesimo figlio di una famiglia agiata, compì gli studi a Fossano e poi si trasferì a Torino col padre, senza però iscriversi all’università. Dopo un iniziale interesse per la meccanica e l’architettura, Bonelli passò alla storia naturale, incoraggiato anche dalle conoscenze che nel frattempo aveva fatto tra i naturalisti torinesi, dedicandosi a collezionare insetti e uccelli. Il suo non era un semplice hobby: tra un’escursione e l’altra, Bonelli aveva avuto modo di creare attorno a sé una vera e propria rete di conoscenze, entrando in corrispondenza con numerosi naturalisti italiani e stranieri, leggendo al contempo tutti i testi scientifici a sua disposizione.

Franco Andrea Bonelli, ritratto di Giovanni Battista Biscarra, 1830.
Franco Andrea Bonelli, ritratto di Giovanni Battista Biscarra, 1830.

Come Darwin decenni dopo, nel suo taccuino rifletteva criticamente sulla varietà degli animali che andava raccogliendo. Perché, si chiede in uno di questi, le anatre selvatiche che vivono in ambienti ricchi d’acqua hanno zampe appiattite adatte al nuoto mentre quelle domestiche, che hanno a disposizione molta meno acqua, hanno le zampe più rotonde? L’unica risposta possibile era che gli organi si fossero adattati alla forma di vita dell’animale, e non il contrario. Il primo risultato delle sue ricerche fu il saggio Specimen faunae subalpinae, dedicato alla descrizione di trenta specie di coleotteri, che venne pubblicato dalla Società agraria piemontese. L’anno successivo fu la volta dei ben più ambiziosi Observations entomologiques, sempre a tema coleotteri, pubblicato nelle Memorie dell’Accademia delle scienze di Torino, e del Catalogue des oiseaux du Piémont, dove vengono elencate oltre duecento specie di uccelli piemontesi con i loro nomi latini, francesi e piemontesi.

Le scoperte di Cuvier

I lavori di Bonelli arrivarono nel momento giusto: proprio nel 1809 divennero vacanti la cattedra di zoologia all’Università di Torino e un seggio all’Accademia delle scienze, posti che gli furono assegnati. Inoltre, nel 1810 Georges Cuvier venne in visita a Torino nel corso di una ispezione delle università e scuole italiane. Si era infatti in pieno periodo napoleonico e il Piemonte era divenuto parte integrante dello stato francese. Dopo aver conosciuto Bonelli, Cuvier lo invitò a venire a Parigi per un anno a perfezionarsi nelle scienze naturali. Per il naturalista piemontese non poteva esserci occasione migliore: Cuvier era la massima gloria scientifica francese, l’uomo che Darwin stesso considerava un suo modello. Aveva iniziato raccogliendo invertebrati sulle spiagge della Normandia e col tempo aveva acquisito una vastissima conoscenza dell’anatomia animale e dei rapporti tra le differenti parti del corpo. La sua capacità di ricostruire intere creature a partire da singoli frammenti gli valse il titolo di iniziatore della paleontologia e la notorietà in tutto il mondo.

Georges Cuvier
Georges Cuvier

Sotto i suoi occhi attenti sfilava un serraglio di creature che nessuno prima d’ora aveva mai potuto immaginare. Grazie a Cuvier il pubblico e il mondo della scienza fece la conoscenza dello pterodattilo, un rettile preistorico dalle ali membranose. Dalle descrizioni e dai disegni trafugati dalla Spagna ricostruì il Megatherium, un bradipo gigante del Sudamerica. Ibis mummificati, trovati dai soldati francesi in Egitto, furono portati a Cuvier che li usò a sostegno dell’idea dell’immutabilità delle specie. Si occupò anche di animali viventi affermando, nel 1812, che c’era ben poca speranza di trovare nuove specie di grandi mammiferi; ma già alcuni anni dopo dovette rivedere questa sua affermazione, quando il figliastro Alfred Duvaucel, in viaggio in Asia, lo informò dell’esistenza di una nuova specie di tapiro malese. Fu invece nel giusto quando, sulla scorta delle sue conoscenze anatomiche, escluse che un animale come l’unicorno potesse esistere realmente.

Scheletro di Megatherium americanum al Natural History Museum di Londra.
Scheletro di Megatherium americanum al Natural History Museum di Londra.

Ma soprattutto, fu il primo a capire un fatto che a noi oggi pare evidente: e cioè che le ossa fossili che iniziavano ad essere trovate e catalogate nella roccia non appartenevano a specie viventi, ma a esseri estinti prima dell’arrivo dell’uomo. Secondo Cuvier ogni strato roccioso aveva i suoi fossili tipici che corrispondevano ad un’epoca diversa. Ogni epoca era separata dalle altre da una catastrofe che aveva sconvolto il globo e annientato ogni forma di vita e a ogni catastrofe era seguita una nuova creazione di animali e piante indipendenti da quelli delle epoche precedenti. L’uomo e gli altri organismi facevano parte dell’ultima creazione, separati dalle creature dell’epoca precedente, che Cuvier stava studiando nelle sue Recherches sur les ossements fossiles, da una catastrofe ch’egli e i suoi seguaci chiamavano convenzionalmente “diluvio”. La “teoria delle catastrofi”, come fu chiamata, metteva la scienza dei fossili nella giusta direzione ma escludeva qualsiasi tipo di sviluppo o evoluzione delle specie, in quanto non poteva esserci nessun collegamento tra gli organismi di epoche diverse. E finché Cuvier fu vivo nessuno o quasi, almeno in Francia, osò parlare dell’uomo antidiluviano.

Il periodo parigino e Lamarck

Bonelli si trovò insomma nel bel mezzo dei giganti della storia naturale. Il loro quartier generale, il Jardin des Plantes, è ancora oggi fra le sedi del Museo di storia naturale di Parigi. Tra i savants cui Bonelli – che nel frattempo continuava a occuparsi di coleotteri – fece conoscenza, vi era Jean-Baptiste de Lamarck, che più di ogni altro lasciò tracce nel lavoro del cuneese. In una lettera alla famiglia del 21 settembre 1810, riportata nell’articolo di Fabio Forgione Evolution as a Solution: Franco Andrea Bonelli, Lamarck, and the Origin of Man in Early‑Nineteenth‑Century Italy, Bonelli scrive:

Il giorno otto feci visita al signor Lamarck che, trovandomi partigiano di qualcuna delle sue idee, mi prese in amicizia, mi istruì su varie questioni e mi accordò grandi agevolazioni per studiare gli animali invertebrati, poiché tale parte del Museo è sotto la sua direzione.
Veduta della Grande Galerie de l'Évolution e del Jardin des plantes a Parigi.
Veduta della Grande Galerie de l'Évolution e del Jardin des plantes a Parigi.

Lamarck era uno scienziato geniale ma incompreso: era portato a sostenere idee a volte innovative ma per l’epoca bizzarre, come i suoi pionieristici studi di meteorologia, a volte semplicemente false. Era salito agli onori della scienza l’anno prima per la sua Philosophie zoologique, in cui sosteneva che l’origine delle specie fosse dovuta a variazioni acquisite nel corso della vita dai singoli individui e poi trasmesse ereditariamente alle generazioni successive. Così la proverbiale giraffa lamarckiana avrebbe ottenuto il suo lungo collo tramite gli sforzi e la gola di generazioni di quadrupedi, decisi a banchettare con le foglie più alte degli alberi. La teoria lamarckiana, all’epoca non ancora evoluzionista ma più genericamente definita “trasformista”, fece rumore ma furono in pochi a scommettere sulla sua validità. Ancor più bruciante per Lamarck, era che il suo vecchio allievo Cuvier fosse tra i suoi più decisi avversari.

Ritratto di Lamarck.
Ritratto di Lamarck.

Rarità a Torino

Bonelli tornò a Torino nel 1811, portando con sé le conoscenze acquisite a Parigi e soprattutto i germi del pensiero evoluzionistico che avevano fatto breccia in lui. Ma ad attenderlo c’erano innanzitutto doveri di tipo accademico: quando non era occupato con gli studenti, era tutto preso a riordinare le collezioni di storia naturale del museo. La sua rete di conoscenze scientifiche gli servivano ora per accaparrarsi esemplari di specie esotiche e farle arrivare a Torino. Da Londra giunsero nel 1819 una grossa collezione di uccelli e più tardi un ippopotamo imbalsamato a cui lo studioso dedicò uno dei suoi pochi articoli. Si occupò anche di ricevere Fritz, l’elefante indiano che visse a Stupinigi dal 1827 al 1852, anno del suo abbattimento, recandosi a Genova al suo arrivo e stilando alcune note sulla sua alimentazione e comportamento.

Disegno dell' Elefante Fritz nella Real Villa di Stupinigi, 1827.
Disegno dell' Elefante Fritz nella Real Villa di Stupinigi, 1827.

Alberto La Marmora, che batteva allora la Sardegna studiandovi tutto quello che vi trovava, dalle tradizioni popolari ai nuraghi, dalle miniere ai mufloni, gli inviò diverse specie rare o del tutto nuove, specialmente di uccelli. Bonelli tuttavia non si preoccupò di descriverle ufficialmente, per cui molti di questi nuovi esemplari furono battezzati da studiosi francesi o olandesi. Tra questi nuovi uccelli, uno è indissolubilmente legato al nome del naturalista piemontese: è l’aquila fasciata, altresì nota come aquila del Bonelli (Aquila fasciata): si tratta di una specie che vive in Europa meridionale, Africa del nord e Asia. Per un triste caso, l’aquila è oggi rarissima in Sardegna, dove proveniva l’esemplare che La Marmora inviò a Bonelli; solo recentemente si è tentato di reintrodurla con qualche successo. Come nei casi precedenti, Bonelli non si preoccupò di descrivere il nuovo rapace, nonostante ne avesse la possibilità, lasciando l’onere ad altri studiosi. Questo non gli impedì di farsi ritrarre accanto alla “sua” aquila in un quadro che oggi è conservato presso l’Università di Torino.

Aquila del Bonelli
Aquila del Bonelli

Una posizione "scomoda"

Dal suo ritorno a Parigi, Bonelli pubblicò pochissimi lavori: complici i problemi di salute e alla vista che l’avevano costretto ad abbandonare i suoi amati insetti e a occuparsi di animali più grandi. Ma vi era forse anche qualcos’altro. Non aveva smesso di riflettere e di rimuginare sulla variabilità e lo sviluppo delle specie, sulla possibilità di una loro evoluzione, si direbbe oggi, ma gli mancava la platea adatta alle sue considerazioni. Sebbene vi accennasse durante le lezioni all’università, non osò mai parlarne ai colleghi dell’Accademia delle scienze, che non l’avrebbero capito. Si era allora in piena Restaurazione, e l’idea che anche in natura potessero avvenire rivoluzioni e rivolgimenti era pericolosa. Da Parigi, Cuvier affermava ex cathedra che la discendenza degli animali attuali da altri più antichi era impossibile. E Lamarck, vecchio e oramai cieco, non poteva ribattere alcunché.

Bonelli mise per iscritto le sue riflessioni e si arrischiò a parlarne con qualche collega: già in una lettera del 1813 espose dettagliatamente le sue vedute a un naturalista viennese, Franz Andreas Ziegler. Dopo aver criticato l’idea di una natura statica ed immutabile, idea allora ancora in voga tra gli scienziati, e dopo aver rimproverato a Lamarck un eccesso di speculazione a danno delle prove empiriche, che davano alla sua teoria un’aria poco scientifica, Bonelli sostenne che a guidare l’evoluzione fossero due forze nettamente distinte, la susceptibilité e il développement. La susceptibilité era la capacità degli organismi di adattarsi all’ambiente circostante, mentre il développement era la tendenza degli esseri viventi a perfezionarsi nel corso del tempo.

A questo punto Bonelli collegava la sua teoria con la religione: per lui, nell’invito divino a crescere e moltiplicarsi, il “crescere” era da intendersi come un riferimento allo sviluppo delle specie, e quindi al concetto di développement, poiché le specie animali erano già state create adulte. Nonostante le concessioni che fa alla religione, Bonelli sa che le sue idee lo pongono in una posizione scomoda. Scrivendo a Ziegler, il naturalista piemontese tiene a sottolineare che crede in un Dio onnipotente e prega il suo interlocutore di rispedirgli la sua lettera. Le riserve di Bonelli non gli impedirono di riflettere su di un tema ancora più scottante, ovvero il posto dell’essere umano rispetto agli altri animali. Anche l’uomo, non diversamente dalle altre specie, doveva essere soggetto alle stesse leggi della susceptibilité e del développement. Solo così, sosteneva, era possibile comprendere la varietà della nostra specie e accettare le verità delle Sacre Scritture, per cui la creazione dell’uomo era stata una sola, e dunque unica era la sua origine.

Precursore darwiniano

Charles Lyell
Charles Lyell

La comprensibile cautela di Bonelli gli impedì di organizzare in maniera più organica le sue idee, e non fece in tempo a vedere la loro ascesa per mano di altri scienziati. Riuscì ancora a conoscere Charles Lyell, l’ex avvocato divenuto geologo, amico e ispiratore di Darwin, durante un suo viaggio in Italia nel 1829, e a raccogliere una vasta collezione di molluschi fossili, su cui stava preparando un nuovo lavoro scientifico che non vide mai luce. Morì infine nel 1830, a causa di una malattia. Quello stesso anno, a Parigi, l’ormai vecchio Cuvier si scontrò con il valente collega Étienne Geoffroy Saint-Hilaire, uno dei pochi continuatori di Lamarck, dibattendo su idee non diverse da quelle che Bonelli aveva dovuto tenere per sé. E a Saint-Hilaire andò il plauso di Balzac e di Goethe, che da Weimar seguiva con attenzione la querelle. Ma si dovette aspettare ancora tre decenni per assistere alla nascita e ascesa della moderna teoria dell’evoluzione per mano di Darwin e Wallace: solo allora si tornò a parlare di origine delle specie anche a Torino e nel resto d’Italia. Il lavoro da precursore di Bonelli era pressoché sconosciuto e si dovette attendere un secolo e l’opera di un altro zoologo di Torino, Lorenzo Camerano, perché ritornasse alla luce. E così anche il nostro naturalista trovò il suo posto in un ideale albero genealogico che partiva dalle vaghe idee di Lamarck e finiva con On the Origin of Species di Darwin. E il ragazzo che si divertiva a collezionare insetti finì finalmente nei libri di biologia.

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Bibliografia

  • Aimassi G., The original description of Bonelli’s Eagle Aquila fasciata Vieillot (Aves: Accipitridae), Zoological Bibliography, 4(1), 2015.

  • Bonelli F. A., Description d'une nouvelle espèce de poisson de la méditerranée appartenant au genre trachyptère: avec des observations sur les caractères de ce même genre, in Memorie della Reale Accademia delle scienze di Torino, Tomo 24, Torino, 1820.

  • Bonelli F. A., Intorno all'ippopotamo di recente acquisto al Museo di Torino: osservazioni, in Memorie della Reale Accademia delle scienze di Torino, Tomo 29, Torino, 1825.

  • Bonelli F. A., Descrizione di sei nuove specie d'insetti dell'ordine dei lepidotteri diurni, raccolte in Sardegna dal sig. cav. Alberto Della-Marmora negli anni 1822 e 1823, in Memorie della Reale Accademia delle scienze di Torino, Tomo 30, Torino 1826.

  • Forgione F., Il potere dell’evoluzione. Il dibattito sulla variabilità delle specie nella Torino dell’Ottocento, Milano, Franco Angeli, 2018.

  • Forgione F., Evolution as a solution: Franco Andrea Bonelli, Lamarck and the Origin of Man in Early-Nineteenth-Century Italy, in Journal of the History of Biology, 53, 2020.

  • Passerin d’Entrèves P., Sella Gentile G., Franco Andrea Bonelli zoologo trasformista, in Studi Piemontesi, vol. XIV, 1 (1985).

  • Wendt H., Cercai Adamo, Milano, Aldo Martello Editore, 1954.

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