Gli antichi fasti dei Grand Hotel piemontesi

Il turismo di lusso del passato e gli imponenti edifici abbandonati del presente

L’Hotel Miramonti a Garessio in una cartolina dell’epoca.
Danilo Alberto
Danilo Alberto

Canavesano, fonde l’attività lavorativa d’ambito scientifico con la passione per la storia e la tradizione piemontese, l’amore per la montagna e la musica. È tra i promotori dell’associazione culturale Mattiaca e della Via Romea Canavesana Onlus di cui è attualmente presidente. Ha ideato e scritto la sceneggiatura del film indipendente ambientato in Canavese dal titolo Il Tesoro di Ypa presentato nel 2021. Nel 2022 pubblica il romanzo giallo “Istantanea nell’ombra” ambientato in Piemonte, vincitore del concorso letterario “Premio Nazionale Images” 2022.

  

Sono il pallido ricordo di un’epoca che non esiste più: imponenti e solenni, ma anche freddi e lontani dalla quotidianità che li circonda. Quasi sempre sono sorti in luoghi che fanno trattenere il fiato per la loro bellezza e, per quanto possano essere cadenti e in rovina, rimarcando così il trascorrere del tempo, riescono a suscitare in chi si trova al loro cospetto un riguardoso rispetto: sono i Grand Hotel o Grandi Alberghi, che caratterizzano o nel passato hanno contraddistinto con la loro presenza molte località turistiche e non della nostra penisola.

Quando nacque l'ospitalità di lusso?

Fu lo spostamento per affari indotto dalla rivoluzione industriale d’inizio Ottocento che fece scaturire la richiesta di strutture adeguate a ospitare viaggiatori d’élite, mitizzando così l’idea romantica di viaggio. Prima si spostavano mercanti e pellegrini piuttosto che artisti, ovvero categorie sociali che certo non ricercavano il lusso nell’ospitalità. Anche i nobili si muovevano, quasi sempre per ragioni diplomatiche, ma facevano tappa nei castelli o nei palazzi dei loro pari; qualcuno addirittura in previsione di un viaggio acquistava, o faceva costruire dimore per soggiornare lungo il percorso previsto.

L’industrializzazione, volano di grandi cambiamenti economici e sociali, impose la nascita dei primi alberghi. Si ispiravano come modello costruttivo alle ville gentilizie, ovvero le classiche residenze a cui i potenziali avventori erano abituati. Certo le esigenze erano ben diverse dalle attuali, poiché ogni cliente ricreava in albergo il comfort della propria dimora portando con sé il personale di fiducia, oltre a corredi sterminati che occupavano spesso diverse stanze; a conti fatti gli enormi Grand Hotel ottocenteschi avevano un piccolo numero di clienti, perché moltissime stanze erano occupate appunto dalla servitù e dai guardaroba. Questi giganti in mattoni e cemento cominciarono a sorgere dapprima nelle grandi città e poi, seguendo le mode delle varie epoche, nelle località che offrivano le maggiori attrattive, quali i centri che ospitavano teatri, le località lacustri, la montagna, il mare, diventando di fatto un vero fenomeno sociale e un punto di riferimento per la classe dirigente.

L’arrivo della Belle Époque, che coincise di fatto in Italia con l’età umbertina e la successiva età giolittiana accrebbe ancor di più la “vita d’albergo”. Questo fenomeno cominciò a cambiare nel secondo dopoguerra: vennero infatti finanziate importanti revisioni alle strutture, rendendo utilizzabili per gli ospiti anche i locali comunemente riservati alla servitù, accorpando molte piccole stanze e creando bagni privati. Si avvertiva che le tendenze stavano mutando e molte di queste strutture avevano, senza saperlo, terminato il loro naturale ciclo di vita. Parleremo qui di alcune di esse, in territorio piemontese, ricordandone i fasti passati e recuperandole per un attimo dall’oblio a cui furono condannate a seguito dell’abbandono.

Panorami e relax in un borgo all’avanguardia

Le Valli di Lanzo scoprirono quello che oggi chiameremmo “turismo di prossimità” verso la metà del XIX secolo, quando nobili, banchieri, ricchi commercianti, politici e la dirigenza del neonato Regno d’Italia cominciarono a trascorrere in quel territorio i meritati periodi di villeggiatura.

Ceres, borgo di media valle, grazie alla sua posizione strategica alla confluenza tra la Valle Grande e la Valle di Ala, era una meta molto apprezzata, tanto che fu collegata alla linea ferroviaria che già metteva in comunicazione Lanzo con la città di Torino. Il progetto, datato 1910, vide la sua completa realizzazione solo nel 1916, poiché nella vallata la linea assumeva caratteristiche di ferrovia di montagna vera e propria. Fu posta subito allo studio la possibilità di elettrificare il tratto ferroviario, sia per la maggiore elasticità offerta dalla trazione elettrica sia perché all’epoca, incredibile a credersi oggi, il costo di quest’ultima era di gran lunga inferiore al carbone. Audacemente il progettista Alberto Scotti, già direttore dell’Azienda Tranvie Municipali torinese, decise di intraprendere, con successo, una strada mai sperimentata al mondo: quella di elettrificare la tratta a 4.000 volt in corrente continua, il che attirò le visite di tecnici da tutto il mondo per accertare come l’esperimento fosse riuscito.

La stazione finale della linea ferroviaria a Ceres.
La stazione finale della linea ferroviaria a Ceres.

I villeggianti raggiungevano pertanto in treno la pittoresca stazione in stile svizzero di Ceres, poi con le carrozze si spostavano verso il Grande Albergo Miravalle. In rigoroso stile Liberty, era stato costruito in posizione predominante, proprio accanto alla torre campanaria del XII secolo salvatasi dalla frana che distrusse l’antica chiesa parrocchiale nel XVI. L’albergo venne edificato nel 1870 e, rispetto ad altri hotel, la sua attività coprì un arco di tempo assai maggiore. Durante il boom economico ne cominciò il lento declino, poiché molti preferivano affittare un’abitazione per l’intera stagione piuttosto che soggiornare tra le sue mura. Le ultime notizie di operatività risalgono all’ormai lontano 1977, quando su La Stampa apparve un articolo in cui si ricercava personale per la stagione estiva. Nel 1992 si tentò poi di trasformarlo in una comunità per persone con disturbi psichici, ma dopo quattro anni il progetto venne abbandonato definitivamente e ora il complesso giace scheletrito nel più completo stato d’abbandono.

L'Hotel Miravalle in una cartolina dell'epoca.
L'Hotel Miravalle in una cartolina dell'epoca.

Il Grand Hotel Miramonti di Garessio

Borgo della Val Tanaro che profuma di Liguria e conta circa tremila anime, Garessio è soprattutto conosciuto per la sorgente che dà vita all’acqua San Bernardo e per la sagra delle castagne, ma voce rilevante del settore economico del comune è stata, a partire dal primo dopoguerra, quella turistico- alberghiera; elemento di spicco di tale vocazione fu il Grand Hotel Miramonti, posto sul bel poggio che domina il paese.

Guida di Garessio del 1931 in cui è pubblicizzato l'Hotel Miramonti. In copertina una fotografia che raffigura l’allora chiesa di Santa Maria Extra Moenia, già Santa Maria in Ripis al Borgo, le cui vestigia sono ancora visibili oggigiorno nelle ex Colonie Alpine Catechistiche Savonesi “Padre Cocchi”.
Guida di Garessio del 1931 in cui è pubblicizzato l'Hotel Miramonti. In copertina una fotografia che raffigura l’allora chiesa di Santa Maria Extra Moenia, già Santa Maria in Ripis al Borgo, le cui vestigia sono ancora visibili oggigiorno nelle ex Colonie Alpine Catechistiche Savonesi “Padre Cocchi”.

L’edificio, uno dei primi in Italia in cemento armato, fu realizzato tra il 1924 e il 1928 dalla società ligure Beni Stabili nel luogo in cui, nel primo decennio del XVII secolo, venne fondato un convento di frati Cappuccini, trasformato poi, nel 1873, in caserma, sede estiva di una compagnia di artiglieri alpini. Il Miramonti disponeva di cinque piani più un seminterrato dove si trovavano le cucine ed entrò in funzione nel 1929. Le pubblicità del tempo ricordavano i “160 letti, 40 bagni privati, acqua corrente calda e fredda in tutte le stanze, vasto giardino, tennis e garage”, a cui si dovevano aggiungere anche l’ascensore in noce, il riscaldamento centralizzato, i pavimenti in legno, il biliardo, la sala lettura, un salotto per il bridge e un grande salone da ballo oltre, chiaramente, al terrazzo panoramico da cui “ri-mirare i monti”. Era a quei tempi uno degli hotel più lussuosi d’Italia. Un tracollo finanziario travolse la Beni Stabili e su pressione dei federali di Cuneo e Genova l’edificio venne rilevato dalla Società delle fonti San Bernardo e nel 1934 affidato a Mario Lambertini, figura di grande esperienza nel settore, che fece letteralmente decollare la fama e la fortuna dell’Hotel.

La tipica giornata degli ospiti di questa struttura ricorda un po’ quella che è oggi la vita su una grande nave da crociera. Una delle attrattive principali per recarsi a Garessio erano le cure idropiniche, terapie basate sull’ingestione di acque minerali dalle proprietà curative. Alle cinque del pomeriggio gli ospiti d’élite potevano recarsi in un angolo del parco dove era stata attrezzata una stalla rustica con un paio di mucche, un pergolato con alcuni tavoli e ragazze negli abiti tradizionali del luogo, per sorseggiare tè e il latte appena munto. Quasi tutte le sere nel salone (riccamente affrescato da Mario Giugiaro, padre di Giorgetto) si svolgevano grandi feste da ballo. Furono diverse le personalità che soggiornarono al Miramonti e tra queste una giovane Rita Levi Montalcini, che pare sia stata più volte ospite della struttura.

Gran lusso per una leggendaria maledizione

Nell’ottobre del 1942 l’Hotel ebbe in sorte di diventare un campo di concentramento, nel quale furono internati circa 330 ex ufficiali del disciolto esercito jugoslavo; fuggiranno dopo l’armistizio, ma per il Miramonti la guerra non era ancora terminata. Il 26 febbraio del 1944 vi fu un intenso scontro tra le truppe partigiane e 400 tedeschi asserragliati nella struttura e poi ancora il 27 e 28 luglio le truppe tedesche dopo un rastrellamento rinchiusero 200 abitanti nell’albergo: cinquanta di questi verranno deportati in Germania e cinque giustiziati nel primo pomeriggio del secondo giorno.

La fine del secondo conflitto mondiale non portò fortuna alla grande struttura, che rimase chiusa e vandalizzata per anni. Nel 1963 sembrò ripartire un progetto per ripristinare l’attività alberghiera, ma i lavori di restauro si fermarono e nel 1986 giunse l’ultimo atto: alle 23.00 del 16 agosto, divampò un furioso incendio, domato solo alle 8 del mattino successivo, che distrusse la copertura e fece crollare gli ultimi due piani rendendo pericolante l’intero edificio. A tutt’oggi sono ignote le cause; anche se l’ipotesi più attendibile è quella del dolo.

C’è chi sostiene che la triste fine del complesso fosse facilmente prevedibile: secondo costoro ogni edificio non religioso realizzato in luoghi precedentemente occupati dai monaci sarebbe destinato a fallire miseramente. A Garessio si contano clamorosi esempi di insuccesso in tal senso, m questa è un’altra storia che potremo approfondire magari in futuro. Siamo dinnanzi a una maledizione? Può trattarsi piuttosto del fatto che la storia di un edificio così imponente si presti quasi inevitabilmente a essere rivisitata in chiave leggendaria. In fondo la struttura, con i grandi arconi vuoti che osservano dall’alto il paese, non si discosta molto dai castelli che sovrastano i centri abitati e ai quali è stata quasi sempre attribuita una storia più o meno goticheggiante che si è trasformata in leggenda.

Cosa è rimasto dell'Hotel Miramonti dopo l'incendio.
Cosa è rimasto dell'Hotel Miramonti dopo l'incendio.

Un piccolo promontorio dimenticato

Pallanza è una località industriale di 3200 ab, in una deliziosa contrada ricca di ville, di fronte alle isole Borromee e con una bella vista su queste ultime e sul lago. Essa è prevalentemente frequentata come stazione invernale dagli Inglesi e dai Tedeschi. Come Lugano è una stazione intermedia particolarmente per quelli che vanno in direzione del Mediterraneo o ne ritornano.

Questo è quanto riportavano le guide dell’editore Baedeker, realizzate tra il 1860 e il 1870. Furono le pubblicazioni turistiche che distinsero quel lontano periodo storico, fino alla nascita della Guida d’Italia del Touring Club Italiano nel 1914. Queste pubblicazioni si rivolgevano a un pubblico colto di intellettuali, aristocratici e alta borghesia, rimarcando così la bellezza e l’importanza per i visitatori d’élite della località posta sulle sponde piemontesi del Lago Maggiore e oggi parte del comune di Verbania; non stupisce pertanto che qui cominciassero a nascere strutture ricettive molto esclusive.

Si iniziò a costruire nel 1869 e in soli quattordici mesi nacque il Grand Hotel Pallanza, oggi noto come Majestic, posto lungo la strada provinciale che porta ad Intra costeggiando il lago. Proprio di fronte all’edificio si trovava una interessante meta turistica: lo Stabilimento Orticolo dei fratelli Rovelli. Fondato nel 1848, il giardino vantava piante rarissime provenienti da tutto il mondo, e fu esempio e modello per la realizzazione, qualche anno più tardi, del parco di Villa Taranto.

La richiesta turistica continuò a crescere e una decina d’anni dopo, precisamente il 20 gennaio 1880, Giacomo Garoni presentò domanda per la costruzione di un nuovo edifico ad uso alberghiero; si decise di costruire in uno dei punti più belli della zona: la cima della Castagnola, un promontorio prospicente sul lago. Il progetto, firmato dall’architetto Bottini, prevedeva tre piani fuori terra e alcuni locali sotterranei. Un ulteriore piano venne aggiunto nel 1886, dando così al complesso un aspetto decisamente imponente.

Cartolina raffigurante l'Hotel Eden a Pallanza.
Cartolina raffigurante l'Hotel Eden a Pallanza.

Dall'Eden allo sfacelo

Il Grand Hotel Garoni disponeva di una delle posizioni più invidiabili per la riva piemontese del Lago Maggiore, sulla collina con una perfetta esposizione al sole e contornato da un parco di ventiduemila metri quadrati contenenti ogni sorta di fiori e piante. Fu per tale ragione che, quando negli anni Novanta del XIX secolo passò di proprietà, il nome venne cambiato in Grand Hotel Eden; stava per iniziare il periodo più fortunato per l’albergo. Furono davvero molte le personalità di spicco che soggiornarono tra le sue mura. Assieme al non lontano Grand Hotel Pallanza ponevano il territorio alla ribalta nel panorama turistico nazionale ed internazionale, quantomeno per quella fascia di persone che si potevano permettere lunghi viaggi e soggiorni che potevano protrarsi per alcuni mesi.

Stampa antica di una pubblicità dell'Hotel Eden, 1895.
Stampa antica di una pubblicità dell'Hotel Eden, 1895.

Il notevole afflusso, soprattutto di stranieri, fece sì che nel 1907 si procedesse ad un ulteriore ampliamento: i piani divennero cinque, con un sottotetto abitabile che in pratica costituiva il sesto piano. Ci furono poi dei passaggi di proprietà: il primo, purtroppo già nel 1908, a causa della morte improvvisa del proprietario, e un secondo nel 1919, quando la struttura fu rilevata dalla Società Immobiliare Nava, la quale dopo soli due anni dichiarò fallimento, trascinando nel disastro anche il Pallanza, acquisito insieme all’Eden. Fu quindi il cavalier Omarini a rilevare la struttura, gestita fino al 1929, quando giunse ancora una volta la fine, questa volta per l’Omarini’s Grand Eden Hotel.

Il complesso alberghiero era costituito da un fabbricato secondario ad uso scuderie, stalla e fienile e dall’albergo vero e proprio; quest’ultimo, a pianta rettangolare, aveva l’ingresso volto verso il lago preceduto da un ampio porticato a colonne con terrazzo sovrastante. Gli interni dell’edificio furono affrescati dal pittore Antonio Dolcini, il quale soggiornò a Pallanza durante i lavori e poi, incantato dal territorio, decise di trasferirvisi stabilmente, facendo costruire, proprio nei pressi dell’albergo, una villa cui diede il nome Elena, oggi bellissima casa vacanza.

I novantanove locali che componevano l’albergo videro l’avvicendarsi di turisti fino agli anni Trenta del secolo scorso, quando la struttura venne convertita a istituto di cura e poi chiusa definitivamente negli anni Settanta. Ora si trova in completa rovina, i piani più alti, senza la dovuta manutenzione, sono collassati l’uno sull’altro, e occorre davvero molta fantasia per rievocare in quell’ossatura spettrale i fasti di un centinaio d’anni fa. Sono diversi gli articoli che parlano di recupero della struttura, anni fa partirono addirittura dei lavori, ma al momento quello che dovrebbe essere un vero fiore all’occhiello del turismo lacustre piemontese giace nascosto dalle alte fronde di alberi secolari che cercano di occultare tanto sfacelo.

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Bibliografia

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