Un viaggio a ritroso, sulle tracce lasciate da Gabriele D’Annunzio in Italia è arduo. Le molteplici soste e le innumerevoli missive spedite a centinaia di destinatari rendono ostico qualsiasi tipo di resoconto. Tuttavia, i rapporti con Torino e il Piemonte rappresentano un terreno meno battuto e, proprio per questo, entusiasmante da percorrere alla scoperta delle mille sfaccettature del mito dannunziano.
Partiamo dal leggendario appetito dannunziano e dal motivo che lo lega, indissolubilmente, al Piemonte. Immaginiamo il Poeta, in visita a Torino nel 1925, seduto a un tavolo dell’appena aperto Bar Mulassano in Piazza Castello, intento a bere un vermouth accompagnato dagli adorati marron glacé e dai piccoli tea sandwich, la cui fama viene importata dall’America dai proprietari e coniugi Angela Demichelis e Onorino Nebiolo (di origini torinesi) appena tornati dagli Stati Uniti. Il Vate, tuttavia, non si accontenta (fedele alla sua abilità di coniare neologismi) di chiamarli all’americana come vorrebbe la Demichelis e inventa il termine tramezzino, probabilmente ispirandosi al tramezzo del soffitto della casa natia di Pescara, vedendolo come delizioso momento di stacco, fra i pasti principali.
L’amore per i prodotti tipici piemontesi in D’Annunzio non si ferma, però, al Caffè Mulassano e al tramezzino, ma passa per le già citate castagne glassate, fino a giungere all’imprescindibile tartufo, accuratamente scelto per non mancare mai sulle suntuose tavole del Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera, per arricchire la ricetta di cui era ghiotto: pernice fredda in gelatina. Tuttavia, le tavole imbandite venivano lasciate agli ospiti, poiché D’Annunzio considerava il cibarsi un atto intimo e inelegante che preferiva portare a compimento nella solitudine del suo studio.
L’originale excursus piemontese alla ricerca di tracce dannunziane "tangibili" inizia al Museo del Risorgimento di Torino, il quale espone uno splendido ritratto fotografico del Vate ad opera di Mario Nunes Vais del 1906, utilizzato dai Fratelli Treves Editori per pubblicizzarne le opere. Si prosegue con il Bistrot del Ristorante Carignano, le cui tovagliette riportano celebri messaggi lasciati sul libro firme dell’Hotel Sitea (di cui fa parte). In questo modo, scopriamo un’accorata missiva del Vate destinata alla splendida attrice vastese Elena Sangro, con preghiera di inviargli una parola e di rivedersi presto. Prima di lasciare il centro del capoluogo piemontese, è bene concedersi una pausa per ammirare la collezione del Museo della Reale Mutua, il quale espone la polizza autografa di D’Annunzio, fra i tanti oggetti di interesse storico. Utile anche un salto all’Associazione Volontari di Guerra, di cui D’Annunzio fu Comandante d’Onore, per osservare lo scritto tramite il quale affidò ai Volontari di Guerra la Bandiera di Spalato.
Spostandosi sulla collina, si raggiunge il Parco della Rimembranza, dal quale godere – in giornate terse – di una splendida vista sulla città e la catena delle Alpi. Il fulcro d’interesse si trova al centro del parco stesso, rappresentato dal maestoso monumento, noto come Faro della Vittoria o Faro della Maddalena, opera scultorea in bronzo nata per mano di Edoardo Rubino e commissionatagli – nel 1928 – da Giovanni Agnelli. Il Senatore lo donò alla città in occasione del decimo anniversario della vittoria dell’Italia nella Prima guerra mondiale e riporta un’accorata epigrafe di D’Annunzio, sulla facciata del basamento. Per finire, allargando il raggio d’azione alla provincia, è possibile ammirare cimeli molto interessanti al Museo dell’Artiglieria di Pinerolo, che ne celebra le gesta eroiche con particolare riguardo al Volo su Vienna del 1918, esponendo fotografie d’epoca.
Faro della Vittoria con epigrafe (foto © Luigi Chiesa e Gianni Careddu).
Ricca di interesse, in questo percorso dannunziano è, altresì, la collezione del Museo del Cinema di Torino, con un’intera sezione dedicata al film Cabiria. Realizzato tra il 1913 e il 1914, è da considerarsi come il primo blockbuster della storia del cinema in costume. Trionfo della messa in scena in cui si fondono macchina da presa e arti in toto, accostando elementi musicali, letterari, pittorici e architettonici. Il Museo del Cinema, oltre a un ricco allestimento, possiede la più grande raccolta di materiali in merito e ha curato il restauro delle copie sonorizzate del 1931 (non risultano copie della versione originale del 1914), versione presentata nel 2006 a conclusione delle Olimpiadi della Cultura, per poi essere proiettata in tutto il mondo.
Il kolossal diretto da Giovanni Pastrone – interamente girato a Torino per il costo, stratosferico per l’epoca, di un milione di lire – venne ideato seguendo il principio dannunziano dell’avvicinare cultura borghese e popolare, aggiungendo alla pellicola delle didascalie letterarie per le quali Pastrone stesso volle al suo fianco il Vate. D’Annunzio accettò, poiché già sommerso dai debiti, e iniziò con la scelta del titolo, Cabiria (nata dal fuoco) proseguendo con la cernita di termini aulici per le didascalie, in modo da donare al grande pubblico un’esperienza unica nel suo genere. Dannunziana anche l’idea di utilizzare una pregevole xilografia dell’amato pittore De Carolis per il libretto d’accompagnamento al film, raffigurante un cavallo azzannato da un lupo, simboli di Cartagine e Roma. Oltre alle "didascalie vergate" (così definite dal Poeta), D’Annunzio contribuì – per la prima volta nella storia del cinema – alla realizzazione delle musiche che avrebbero accompagnato l’intera trama.
Analizzando ora i passaggi fisici del Vate nella regione piemontese, si parte dal più celebre, benché remoto, soggiorno di D’Annunzio a Torino risalente al 1901 per la prima assoluta della presentazione della Canzone di Garibaldi. Torino, culla del Risorgimento, salutava a gran voce il Vate per celebrare quello che si annunciava essere il "poema epico nazionale" per eccellenza. Visto come il primo e più importante avvenimento del Secolo, venne largamente commentato dal quotidiano La Stampa. La Notte di Caprera è, infatti, una narrazione epica di presa popolare, resa ancor più leggendaria dalla lettura dell’autore stesso, tenutasi al Teatro Regio di Torino, dove venne accolto vivacemente dal pubblico, ammaliato dal fascino del divo che sempre lo contraddistinse e dalle liriche mitologiche da lui ideate.
Il poeta abruzzese tornerà sulle assi del Regio un anno dopo per la terza presentazione nazionale della Francesca da Rimini, dopo Roma e Firenze. Evento del tutto fuori dal comune, in vero stile dannunziano, poiché decise di prendere alloggio all’Hotel d’Europe in Piazza Castello, insieme a Eleonora Duse (all’epoca sua compagna e interprete della pièce) e qui ricevette l’intellighenzia torinese, preparandosi a dirigere lui stesso le prove dello spettacolo. Rappresentazione che si rivelò un successo immediato, con una prima gremita a tal punto da necessitare di sedie aggiuntive.
La collaborazione con i teatri torinesi prosegue con La Figlia di Iorio (musicata con il torinese Alberto Franchetti) e Il Ferro, il quale ebbe la sua prima al Teatro Carignano di Torino il 27 gennaio 1914. Dai critici considerato il miglior teatro dannunziano, recensito per La Stampa da Domenico Laura, che ne elogiò lo stile squisitamente lirico, l’interpretazione di Nera Carini e le quindici chiamate al proscenio.
I rapporti di D’Annunzio con il Piemonte non si fermarono a registi e musicisti, ma coinvolsero anche scultori di fama, a partire da Leonardo Bistolfi, autore del Crocefisso Brayda (1901, Tomba Brayda di Villarbasse), lavoro fuso in bronzo e donato a D’Annunzio per essere collocato sul Colle degli Eroi, al Mausoleo del Vittoriale, ma consegnato e posizionato solo dopo la morte del Poeta, il 3 aprile 1938. Il Mausoleo si trova alla sommità della dimora di Gardone Riviera ed è stato realizzato dall’architetto bresciano Giancarlo Maroni alla morte di D’Annunzio, in stile etrusco-romano. È costituito da tre gironi a rappresentare le vittorie degli Ultimi, degli Artieri e degli Eroi e la salma del Poeta giace al centro, attorniata dai legionari fiumani a lui più vicini. All’interno del Mausoleo, a sottolineare il massimo raccoglimento per i visitatori, è posto il crocefisso del Bistolfi, eterno custode del ricordo di eroiche gesta.
Il Vittoriale degli Italiani il Mausoleo posto alla sua sommità.
La Madonna della Pace, sempre ad opera del Bistolfi è, invece, conservata nella Stanza del Lebbroso del Vittoriale, dove riprende mirabilmente il dipinto di Guido Cadorini alle sue spalle, raffigurante D’Annunzio nudo e monocolo. La posizione della Madonna bronzea colta nello stesso gesto riservato al Bambino Gesù è voluta ed è da leggersi in concerto con l’Annunciazione, posta sopra al letto. Il sodalizio, poco vissuto di persona fra i due artisti celava, tuttavia, un grande affetto, come dimostrano le parole di Bistolfi in una lettera del 1923, nella quale gli si rivolse come: "Mio grande e amato fratello […]". La reciproca stima risaliva al 1905, anno in cui D’Annunzio, in occasione della Personale dello scultore alla Biennale di Venezia, si sperticò in lodi elogiando la sua arte con un sonetto dedicatogli.
Il rapporto privilegiato tra D’Annunzio e gli scultori operanti in Piemonte, coinvolse anche un collaboratore assiduo del già citato Rubino: Gaetano Orsolini. A testimonianza dei loro svariati contatti anche una foto d’epoca, custodita in un archivio privato di Montegiorgio (città natale di Orsolini), la quale mostra i due scultori in studio con D’Annunzio. Proprio durante questi incontri nacque la piccola statua in bronzo, raffigurante il Poeta e custodita a Montegiorgio che lo raffigura in tutto il suo intramontabile fascino, elegantemente abbigliato e con il capo rivolto verso lo spettatore, sfrontato e senza timore alcuno.
Il verbanese Paolo Trubetzkoy, invece, ebbe modo di conoscere D’Annunzio a fine Ottocento, grazie a un articolo del Vate su Il Messaggero, in cui il Poeta elogiava la sua effige di Garibaldi. Restio per natura a quanto riportato dalla carta stampata, Trubetzkoy decise di conoscere D’Annunzio in ogni caso, instaurando con lui una duratura amicizia e realizzandone un ritratto scultoreo nel 1892, straordinario lavoro dalle fini trame psicologiche, in grado di cogliere la profondità dello sguardo penetrante e inquisitore del Poeta, con il tipico guizzo malizioso e nostalgico. Al Museo del Paesaggio di Verbania, dove risiede la Gipsoteca Trubetzkoy, è possibile ammirare – altresì – un secondo ritratto a figura intera, eseguito a Parigi, dove lo scrittore si era stabilito per fuggire dai creditori. Il nuovo incontro con lo scultore avvenne, presumibilmente, nel 1911 alla rappresentazione francese del dramma dannunziano: Il Martirio di San Sebastiano.
Al di là, del suo coinvolgimento nell’entourage delle arti, D’Annunzio amò profondamente il Piemonte, anche grazie alle automobili FIAT. Nel 1915, infatti, salì per prima volta sulla FIAT Torpedo T4, color rosso e – l’11 settembre 1919 – raggiunse Ronchi come tenente colonnello. In quegli anni nacque un amore viscerale per i prodotti dell’azienda torinese e un fitto rapporto epistolare con il già citato senatore Agnelli. Tuttavia, in occasione della Mille Miglia del 2019 a Imola, tornò a galla un dibattito risolto dalla brillante penna del Vate all’inizio del XX Secolo, quando le prime automobili macinavano chilometri ed erano vittime di una certa confusione grammaticale riguardo al loro genere. "Automobile" è un lemma entrato a far parte del vocabolario italiano grazie a un termine francese che, in quanto aggettivo, poteva essere concordato al maschile e al femminile; ma i problemi lessicali si presentarono a fine Ottocento, quando si iniziò a usarlo come sostantivo. D’Annunzio, intervenne, come spesso accadeva, e riuscì a plasmare la pubblica opinione con una lettera al Corriere della Sera, datata 27 ottobre 1923 e indirizzata proprio al Senatore Agnelli:
Mio caro Senatore,
in questo momento ritorno dal mio campo di Desenzano, con la Sua macchina che mi sembra risolvere la questione del sesso già dibattuta. L’Automobile è femminile. Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità d’una seduttrice; ha, inoltre, una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza. Ma, per contro, delle donne ha la disinvolta levità nel superare ogni scabrezza. Inclinata progreditur. Le sono riconoscentissimo di questo dono elegante e preciso. Ogni particolare è curato col più sicuro gusto, secondo la tradizione del vero artiere italiano. Per consacrare l’accertamento del genere masc. o fem., ormai determinato dalla novissima macchina, Mastro Paragon Coppella, orafo del Vittoriale, osa offerire alla Sua figliuola e alla Sua nuora questi infallibili talismani.
Le stringo la mano.
Il Suo Gabriele d’Annunzio
Ennesima prodezza linguistica che chiude la questione in un sol colpo e concentra, in poche righe, le passioni più sentite di D’Annunzio: i motori, la lingua italiana e il gentil sesso.
La FIAT, ad ogni modo, non fu l’unica industria di automobili vicina al cuore del Vate, il quale possedette anche una Alfa Romeo 6C 2300. Modello unico e personalizzato, costruito nel 1932, griffato da Vittorio Jano, progettista di San Giorgio Canavese, noto per il suo eclettismo. A D’Annunzio giunse nel 1935 e la utilizzò negli ultimi tre anni di vita per ricevere gli ospiti di Gardone, in arrivo dalla stazione di Desenzano. Inoltre, vi fece decorare, da Marussing, la traslazione della Santa Casa della Madonna di Loreto (patrona dell’aviazione) e la ribattezzò: Soffio di Satana. Battuta all’asta nel 2019 per circa mezzo milione di euro, è rientrata al Vittoriale nello stesso anno, a confluire nel recente museo L’Automobile è Femmina, nato nel 2017 per ospitare anche la già citata T4, nonché l’Isotta Franchini Tipo 8B.
In questo lungo itinerario dannunziano non poteva mancare un accenno agli assidui incontri e scambi epistolari con Casa Savoia, in particolare con Vittorio Emanuele III, il quale creò per il Vate un titolo nobiliare motu proprio per sottolineare l’importanza delle di lui gesta militari: "Principe di Montenevoso" (dall’omonimo monte sloveno). Il titolo venne concesso in data 15 marzo 1924, giorno scelto in onore dell’annessione di Fiume all’Italia. Uno dei tanti momenti-simbolo di un letterato, militare e trendsetter ante litteram che, ancora oggi, è in grado di appassionare, nello svelare dettagli inediti del suo vivere inimitabile.