Nel nostro Piemonte è molto presente il senso dell’identità, il legame con le origini, le tradizioni, i riti e i miti; sicuramente questo legame è ancora più forte in tutte le vallate alpine e collinari. Ancorati nelle radici che affondano nella cultura contadina si collegano subito alla terra che, per ciascuno di noi, è quella in cui siamo radicati, quella che ci ha plasmati, nutriti con i suoi prodotti, quella che ci accompagna ancora oggi. Dunque il cibo, il mangiare, la terra sono l’essenza della vita, intimamente legati agli elementi primari, primordiali, fondamentali per noi come la fame, il ciclo delle stagioni, la vita, la fede. Riflettiamo sul rapporto strettissimo che c’è tra agricoltura, mondo contadino e religione: una scansione di eventi temporali con festività, scadenze, preparazione di prodotti, lavori, scambi e contratti, miti e riti.
Perché il mangiare è uno dei processi più complessi, non solo fisiologici, di sensi, di percezione, bensì anche di conciliazione e riconciliazione, di appropriazione del mondo, di convivialità e di amore. Il mangiare è anche una grande rappresentazione, un elogio del rito della bellezza estetica della tavola apparecchiata, in modo tale che essa diventi il luogo degno di ospitare quello che la natura offre. Di questa dignità, di questa bellezza ne devono essere consapevoli e all’altezza i commensali che, come fedeli al tempio, partecipano alla rappresentazione. Possiamo arrivare così a comprendere il significato ampio del cibo, dei prodotti della terra e anche dello spirito che anima una Confraternita, che ci riporta al “gusto della vita” e salvaguarda tradizioni; al percepire che cosa siamo, quali siano le nostre radici, quali valori intendiamo trasmettere. Parlando di prodotti della terra e della loro autenticità parliamo di cibo e del suo legame con la memoria, possiamo trasmettere qualcosa di bello e nel contempo fare cultura.
In sostanza è questo lo scopo per cui nacque cinquantacinque anni or sono la Confraternita denominata dell’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini di Alba.
Nacque da una costola della Famija Albèisa, storica Associazione che aveva tenuto la sua prima assemblea costituente il 1° giugno 1955 alla Tavernetta dell’Hotel Savona di Alba. Luciano de Giacomi ne divenne il suo Vicepresidente nel 1960 e il Presidente dal 1963 al 1969, sfornando una serie di iniziative memorabili: il Concorso enogastronomico Il Piatto d’oro — di cui narreremo più avanti — il Premio Amici di Alba, prestigiose e splendide pubblicazioni per citarne solo alcune. Dicono avesse un caratteraccio, ma lo si dice sempre di quanti smuovono le acque, fanno pensare, riflettere e agire, costringono chi è preposto a operare e decidere, a farlo in fretta e bene. Non sempre è un difetto. Rigoroso con i suoi principi lo era in tutto quanto faceva. In apertura del suo libro-testimonianza Confidenze di un Gran Maestro riteneva
[…] di essere una parte di questa terra che mi ha dato i natali. Lo sento in primavera quando su ogni collina prorompe la nuova vita degli alberi, dei prati, delle vigne. E in estate, quando la terra raccoglie il sudore di chi lavora per gli assolati i vigneti e nella poesia incomparabile dell’autunno, che ricopre i crinali di colori inimitabili, mentre il profumo del mosto già aleggia nell’aria. Così come lo sento in inverno, sotto la neve che tutto ricopre, nella nebbia protettrice, nella pioggia assordante che trasforma in pozzanghere senza fine ogni collina […].
Luciano de Giacomi era orientato verso una soluzione originale e operativa strutturata in modo da consentire la realizzazione di obiettivi immediati o di lungo termine limitando l’azione al campo preciso e circoscritto dell’enogastronomia. Tutto ebbe inizio il 18 febbraio 1967 quando una ventina di potenziali soci fondatori si ritrovò alla Trattoria di Ravera Giovanni ai piedi del castello di Grinzane Cavour per la fondazione dell’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini di Alba. I Cavalieri intendevano così confermare uno degli impegni previsti nel loro statuto: “difendere e diffondere in tutto il mondo la genuina gastronomia di Alba”. Due erano i motivi che avevano spinto quei generosi e nobili cavalieri a rispondere all’appello di De Giacomi. Il primo: la costatazione che fosse un’azione organica continua e sentita, per la propaganda della cucina e dei vini di Alba e mai intrapresa. Il secondo motivo era dettato dalla convinzione, ormai condivisa da una parte dell’opinione pubblica, che i prodotti di questa terra piemontese e la tradizione gastronomica contadina e borghese rappresentavano un capitale di grande valore: bastava citare alcuni prodotti come i vini Barolo e Barbaresco, i formaggi, i tartufi, i funghi, la variegata cucina contadina delle Langhe e del Monferrato.
Ancora oggi l’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini di Alba utilizza una terminologia e una struttura cerimoniale antica e raffinata. Conta duemila associati con centinaia di collari in tutto il mondo e delegazioni sparse tra Svizzera, Hong Kong, New York, Napa e San Francisco Bay Area, Taiwan, Austria e Dubai e, in Italia: Milano e Verona. Organizza eventi di risonanza internazionale come l’Asta Mondiale del Tartufo Bianco d‘Alba e pubblica e ristampa libri ormai rari.
Prendono il nome di Capitoli le riunioni che l’Ordine organizza nel corso dell’anno (in genere una al mese), durante le quali si discutono argomenti di carattere enogastronomico e vengono presentati piatti tradizionali, preparati secondo le ricette autentiche accompagnate dai vini selezionati da una rigorosa Commissione di Degustazione.
I Capitoli si svolgono al castello di Grinzane Cavour nella suggestiva cinquecentesca Sala delle Maschere, allestita per accogliere ospiti illustri e per le cerimonie di Investitura dei neo Cavalieri, detti "Postulanti". Chi “viene al mondo” su queste colline di Langa e Monferrato, ne nasce già con il senso del bello e della storia; lo ha “dentro”, lo ha davanti agli occhi nella vita, nel paesaggio che lo circonda, anche se lui ancora non lo può sapere. L’ambito paesaggistico nel quale il castello di Grinzane è collocato rimanda di certo ai valori legati alla materialità agricola, come la fatica fisica nel lavoro, la strenua applicazione delle proprie forze e del proprio ingegno al ciclo imperfetto delle stagioni; la lenta costruzione del territorio nel tempo attraverso le colture e i coltivi; la sagacia imprenditoriale e poi il sentirsi protagonisti su di una strada percorsa da continui viandanti e artigiani della vita e dell’operosità. Una naturale e antica arteria di intensa comunicazione come la “via del sale”. Tutti questi ambiti si sono fatti nel tempo anche immagini: ritratti dall’obiettivo indagatore di fotografi, poeticamente evocati e narrati nelle pagine di scrittori, raffigurati da pittori ed esaltati (a volte, forse, con eccessiva enfasi) da ammirati operatori turistici.
Vi è un tale concentrato di eventi, presenze, inventiva e sfide della mente e dell’ingegno su queste colline “paesaggio dell’anima e della mente” che val la pena essere narrato attraverso il racconto dell’Ordine dei Cavalieri che ha sede nel castello di Grinzane Cavour, non a caso riconosciuto come patrimonio UNESCO, insieme ai suoi storici vigneti. Patrimonio UNESCO è stata anche decretata nel 2021 la ricerca del tartufo con la nuova iscrizione nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale. Si tratta infatti della “Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali”. La storica decisione è stata presa dal Comitato Intergovernativo per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale a Parigi il 18 dicembre 2021. Ma il successo di queste colline parte da lontano.
Ancora una volta le segnalazioni delle principali guide gastronomiche del 2022 hanno posto le colline del vino in testa ai distretti italiani della buona tavola, con riconoscimenti d’eccellenza per molti locali che sono sparsi tra Langa e Monferrato. Le intuizioni di quei primi venti cavalieri fondatori dell’Ordine hanno dato i frutti sperati. Ne è nata un’economia che fa dell’eccellenza della tavola e dell’accoglienza turistica un motore oggi gratificante, rivolto alle nuove generazioni che hanno raccolto messaggi e testimone. Quello di Langa e Monferrato è il paesaggio-gastronomico oggi più “stellato”. Un risultato spettacolare per un territorio di limitata estensione ma con un evidente e spiccato talento.
La Langa albese gode a buon diritto di particolare preminenza nella fama della buona cucina provinciale. Dovizia di carni squisite, secolari tradizione di salse e di intingoli, riserva di selvaggina ambite, robusto appoggio di vini generosi, mistero di formaggi affogati nell’olio, trionfo di frutti e, potente sopra tutti, la tirannia del tartufo: tutto un mondo di vergini sensazioni per una scoperta nuova.
Così troviamo scritto all’inizio dell’estate 1961 quale commento conclusivo al lancio di una grande sfida in terra di Langa alla ricerca del migliore ristorante. Proprio in quell'anno varie associazioni con in testa la Famija Albéisa, bandivano il Concorso denominato Il Piatto d’oro rivolto ai ristoranti con lo scopo di valorizzare la gastronomia e i vini tipici delle Langhe e incrementarne il turismo.
Siamo d’accordo anche noi che le sole correnti turistiche non potranno risolvere il problema economico della nostra terra: occorrono strade, acqua, difesa dei prodotti agricoli, scuole e via di questo passo. Però non ci sentiamo di negare che proprio queste nostre terre non posseggano patrimonio di prodotti, di luoghi, di attrattive naturali sufficiente a dar vita ad una corrente turistica di medio valore, priva di esteriorità scintillante, ma sostanziata di genuinità.
Queste asserzioni che Vittorio Riolfo scriveva all’epoca su Le nòstre tor giornale portavoce della Famija Albéisa, appaiono ancora oggi di una straordinaria attualità e sottoscrivibili. Immaginatevi un po’ come potevano essere accolte nella società piemontese di quegli anni, che sperava invece in una fabbrica su ogni collina, piuttosto che un albergo o un ristorante! Oggi il riconoscimento UNESCO porta un notevole flusso turistico: il secondo in Piemonte dopo il Distretto dei Laghi.
Dal 1° agosto al 31 ottobre 1961 si svolse dunque la prima selezione che individuò i sei ristoranti migliori; nella seconda fase, tenutasi l’anno successivo nello stesso periodo, venne scelto il locale vincitore tra i sei finalisti a cui consegnare il Piatto d’oro. Il punteggio di ogni ristorante si otteneva sommando diverse voci di giudizio che comprendevano anche aspetti quali ospitalità, prezzo e servizio oltre alla qualità di vivande, vini e alla presentazione dei piatti. Dobbiamo quindi ammettere che la popolare trasmissione dei “4 ristoranti” di Alessandro Borghese non ha inventato a tutt’oggi nulla di nuovo. All’opera in quel tempo c’erano le commissioni segrete, a cui si aggiungeva il giudizio dei consumatori, espresso a mezzo di apposite cartoline che i ristoranti consegnavano ai loro avventori alla fine del pasto. I sei migliori ristoranti allora individuati per alterne vicende familiari oggi non esistono più — eccetto uno solo — ma vale la pena citarli: da Felicin a Monforte; dell’angelo a La Morra; Italia a Mango; Corona Grossa a Cortemilia; Il Diana a Diano d’Alba, Il Bellavista a Bossolasco. Uno per ciascuno dei sei mandamenti in cui erano state suddivise le Langhe ai fini del concorso. L’anno successivo, ovvero nell’estate autunno del 1962, i sei finalisti si cimentarono ciascuno in un banchetto-esame di fronte a una giuria composta da cinque membri dell’Accademia Italiana della Cucina tra cui il celebre commendatore Luigi Carnacina.
Due anni occorsero per assegnare il “Piatto d'oro”. In due anni migliaia di clienti avevano votato al termine di un pranzo, inaugurando una singolare referendum a base di verità! Ed ecco, come scriveva la gloriosa testata torinese della Gazzetta del Popolo
[...] al limite estremo della Langa, Ercole Olivieri ha ricevuto il Grand Prix della gastronomia sfornando un menù in armonia con la natura e arricchendolo con la famosa torta nocciola. Il menù era il seguente: insalata di funghi trifolati, valigette di griva cortemiliese (un piatto prelibato che prende il nome dagli uccelli che si cibano di ginepro), tagliatelle della nonna spruzzate con farina di meliga, fonduta con i tartufi, faraona alla salsa langarola, torta di nocciola e frutta. Il tutto condito con Grignolino, Dolcetto amaro (ironia delle definizioni e bisticcio verbale), Barolo, Bracchetto e grappa.
Il Piatto d’Oro era del valore di 500 mila lire ma quelli d’argento, assegnati alle varie categorie in concorso, non erano da meno!
Si chiudevano così due anni di intenso lavoro alla riscoperta dei piatti tradizionali di Langa e Monferrato e della loro corretta preparazione. Cucina della memoria ritrovata, certezze enogastronomiche rivalutate, coscienza della grandezza di un patrimonio di gusti e sapori per anni soltanto nota a palati raffinati: era il grande risveglio dell’arte “del mangiare bene” troppe volte contaminato e stravolto dall’ondata del modernismo dilagante in quegli anni. Infatti fu così, purtroppo, che gli antichi banconi delle osterie in solido legno di quercia e di ciliegio, i monumentali tavoli dove intere generazioni di langhetti avevano consumato acciughe al verde e minestrone di trippe, le cristallerie e le piattaie (nel dialetto stagere e buffèt) in stile povero ma onesto e decoroso, e tante altre suppellettili cedettero il posto a mobili anonimi e brutti dove la fòrmica (laminato plastico) e l’acciaio inox imperavano in un connubio decisamente di cattivo gusto. Tutti i concetti che oggi tornano prepotentemente. Ebbene in questo spirito i Cavalieri iniziavano il loro lavoro tra le mura del castello che fu del conte Camillo Benso di Cavour a Grinzane. Il Grande libro della cucina albese è stato poi un ulteriore atto d’amore verso le colline di Langa e Monferrato realizzato ancora una volta dalla Famija Albéisa.
Il secondo filone di attività e di impegno dell’Ordine riguarda le manifestazioni organizzate per presentare e propagandare i vini locali: a questo proposito occorre ricordare la Selezione dei vini dell’albese. Il 1975 fu l’anno della prima Selezione dei Vini, scelti fra le cantine aderenti alle Strade del Vino tra Langa e Monferrato e che, attraverso una Commissione speciale, seleziona ogni anno le bottiglie delle cantine partecipanti e offre il meglio della produzione al palato dei consumatori alla ricerca della migliore qualità non soltanto in Piemonte ma in tutto il mondo. Del resto la cerimonia di investitura dei “postulanti cavalieri” è un piacevole rito che richiede minime e felici competenze come quella di saper degustare un calice di Barolo e annusare il profumo del tartufo; poi come in un rito di medievale e nobile cavalleria si viene toccati sulle spalle da un ceppo di vite e si avrà l’onore di indossare il collare dopo una breve formula rituale che vincola a essere fedele ai principi dell’Ordine.
È un merito dell’Ordine dei Cavalieri quello che riguarda l’attività editoriale volta alla ricerca di testi antichi e moderni inerenti gastronomia, enologia e viticoltura, dei quali viene stampato o ristampato un numero limitato di copie. Dei circa trenta titoli editi ne proponiamo qui soltanto alcuni tra i più significativi.
Tra le opere riedite una particolare menzione riguarda la pubblicazione della Storia naturale dei vini uscita in prima edizione a Roma nel 1559, della quale è autore il medico scienziato Andrea Bacci: nato nel 1534 a Sant’Elpidio a Mare in provincia di Ascoli Piceno, archiatra di papa Sisto V e operante sotto la protezione del cardinale Ascanio Colonna, al quale l’opera è dedicata. Si tratta di sette volumi tradotti dal latino. È un’autentica miniera di informazioni sul vino, sulla sua storia, sulle sue proprietà e i suoi effetti, sulla produzione, sulla conservazione, sui modi di servirlo e di berlo, non soltanto in Italia ma anche in Germania, Francia e Spagna. Per fare comprendere l’importanza di quest’opera si consideri che per essa l’Office International de la Vigne et du Vin ha conferito all’Ordine dei Cavalieri il premio 1993 nella sezione “storia, letteratura e per le arti”. La giuria del premio, riunita a San Francisco, ha ritenuto encomiabile l’edizione anastatica e la traduzione della Storia, conferendole tale ambìto riconoscimento internazionale. Nella Biblioteca Pubblica di New York, all'interno della prestigiosa sezione dedicata a libri e documenti rari, era conservata una copia originale della Storia naturale dei vini. Nel 1960, quando fu scoperto questo tesoro, il volume era in condizioni precarie: i margini delle pagine si sbriciolavano, affetti da ingiallita vecchiaia. Segnalato questo inconveniente al Dirigente della Biblioteca, l’Andrea Bacci è stato ricondizionato, rilegato, rimesso in perfette condizioni a disposizioni di chiunque desideri consultarlo. Nei libri del Bacci, la cultura greca e latina scorre come un fiume; il vino diventa il filtro dell’antichità acquisendo un profumo di mitologia, di mistero e di poesia.
Con la ristampa del volumetto Confetturiere piemontese si ripropone poi l’elaborazione accurata dei frutti più dolci della terra che un confetturiere torinese dell’Ottocento potesse proporre al goloso pubblico dell’epoca. Rimane ancora oggi una miniera di informazioni e una sfida di qualità e di originalità per imparare
la maniera di confettare frutti in diverse maniere, per fare i biscottini, marzapane, canestrelli, acquavite, sorbetti e molte altre cose appartenenti a tal Arte.
Correva l’anno 1790 ed era un’arte pertinente all’addobbo della spettacolare mostra della mensa, protagonista fino all’Ottocento di ogni cerimonia conviviale. Con argenti, porcellane e scintillii di cristalli, l’arte del banchetto, venuta di Francia, trionfava anche alla corte di Torino che all’uopo stipendiava artisti e acquistava preziose suppellettili persino sui mercati che importavano dall’Oriente. Un’arte in cui lo zucchero era protagonista insieme ai frutti e ai fiori e dava luogo alle confezioni liquide, a quelle secche, alle marmellate, alle gelatine, alle confetture e conserve ai frutti i canditi e ai confetti. Lo sa e lo insegna con abilità il nostro Confetturiere piemontese allorché decide di dare alle stampe in Torino presso Beltramo Antonio il suo bel libro.
Leggendo l'edizione de Le lettere del fattore di Cavour da Grinzane 1847—1852, costituite da 310 corrispondenze, ci si accosta a un parlare molto semplice e modesto proprio della quotidiana vita agricola di una classe sociale che nel secolo scorso diede impegno e intelligenza per una migliore coltivazione e maggiore produzione della terra mettendo in atto le applicazioni delle prime tecniche agrarie. Nella loro viva schiettezza le lettere che Giovanni Bosco, agente della tenuta dal 1845 al 1853, scriveva a Carlo Rinaldi segretario di casa Cavour a Torino, consentono di conoscere, visivamente e concettualmente, l’ambiente economico e sociale di una ragguardevole azienda rurale, il carattere di alcuni avvenimenti, l’aspetto umano di talune situazioni. Qui ci viene presentato quello che fu lo stato dell’agricoltura della collina piemontese nella prima metà dell’Ottocento per mezzo della corrispondenza di un uomo, pressoché sconosciuto, che se non sapeva di lettere era però un coltivatore capace e un esperto osservatore. Ne è venuto fuori un memoriale di un’epoca nella quale avvenne una profonda trasformazione dell’orientamento agronomico e delle strutture che regolavano il più antico sistema rurale. L’autore delle Lettere sovrintendeva alle famiglie coloniche, teneva aggiornato il libretto dei conti relativi alle singole unità poderali, conferiva con il segretario di casa Cavour sulla condizione della tenuta, sulle spese necessarie, sulle compere, sulle vendite e sulla vita agreste con tutti i suoi drammi e speranze.
Geometra di Monforte d’Alba, Lorenzo Fantini redige la Monografia sulla viticoltura ed Enologia nella Provincia di Cuneo presumibilmente nel 1895 per l’Esposizione Provinciale di Cuneo. L’opera, scritta a mano, in bella calligrafia, è d’interesse eccezionale per la completezza, per le tavole dei vari sistemi di coltivazione, per i conti colturali, per la suddivisione delle zone d’origine dei vini, per i commenti sagaci e mordaci, per le indicazioni sulla strada da seguire per migliorare la qualità e la conquista di nuovi mercati. Significativo è l’elenco delle cantine dell’epoca descritte con il fervore del cronista; stupendo è il racconto dei vini, delle zone d’origine, con tanto di Crus. Nell’anno 1879 il Ministero dell’Agricoltura aveva bandito un Concorso denominato Inchiesta Agraria per Monografie agricole circondariali e il Fantini lo vinse per il Circondario di Alba. Fortunosamente rintracciata nell’archivio dell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Cuneo, questa monografia avvalora la tesi che vuole la viticoltura e l’enologia albese, benché colpite dai tre più funesti flagelli che la vite abbia sinora subito (l’oidio, la peronospera e la filossera), splendidamente aggiornate e attente nel panorama vitivinicolo fin dalla seconda metà del secolo scorso. Possiamo considerare questo lavoro come precursore delle indicazioni qualitative delle nostre zone, una fortunosa ricerca di elementi che documentano le tradizioni delle nostre terre.