La carrozza napoleonica di Gustavo Rol, donata dal sensitivo torinese all’Ordine Mauriziano e pervenuta ora dalla sua sistemazione originaria di Stupinigi alla Scuderia Grande della Reggia di Venaria, è una capsula del tempo, davvero preziosissima, una vera rarità, per chi ama il periodo napoleonico. La berlina di Napoleone, dallo scorso 5 maggio, è una delle attrazioni della Reggia, inserita nel percorso di visita Teatro di Storia e Magnificenza. È collocata in un’apposita sala con altri preziosi cimeli napoleonici; sulle pareti eleganti pannelli raccontano la vicenda del recente restauro, che ha confermato una delle storie più avventurose accadute a una carrozza di Jean-Ernest Auguste Getting. Il restauro è stato deciso in concomitanza con l’anniversario dei duecento anni della morte di Napoleone: il raro oggetto non era mai stato studiato scientificamente e ha rilevato invenzioni interessanti e informazioni inedite sulle vicende storiche della magnifica voiture impériale.
Le carrozze di Napoleone ricordano allo storico una serie di attentati atroci: il primo, quello più famoso, il 24 dicembre 1800, l’Attentat de la rue Saint-Nicaise, noto come “conspiration de la machine infernale”, dove miracolosamente il cocchiere “César”, un veterano della Campagna d’Egitto, si accorse del pericolo e salvò il generale da morte certa, svoltando improvvisamente per Rue de la Loi. La carrozza più celebre dell’Imperatore, quella da lui usata a Waterloo, diventò una preda di guerra, ma ebbe un destino infelice: regalata dai prussiani al Principe di Galles, fu comprata da William Bullock, mostrata al pubblico londinese con grande successo nel 1816, poi conservata al museo di cera Madame Tussauds, dove, però, bruciò interamente in un incendio nel 1925.
Oggi, visitare la carrozza di Napoleone alla Reggia di Venaria è per noi un modo per capire come viveva, sfarzosamente, l’Imperatore. In questo siamo simili ai londinesi, che ammiravano la carrozza del "grande sconfitto" di Waterloo, e soprattutto gli oggetti del nécessaire, spesso esotici, accompagnati dal bidet in argento e mogano. Le carrozze dell’Imperatore erano di due tipi: per i voyages de guerre e per i viaggi all’interno dell’Impero. Napoleone, infatti, si allontanava da Parigi per ispezionare i vari dipartimenti e spesso era in Italia. Di quest’ultima tipologia è la carrozza napoleonica appartenuta a Rol.
La voiture dans laquelle montait l’Empereur était une berline très simple, à fond vert ; l’Impératrice s’asseyait auprès de lui et les places de devant restaient ordinairement vacantes. Dans l’intérieur, on ménageait des tiroirs et des compartiments pour recevoir un choix de livres, le nécessaire, le portefeuille de l’Empereur, les papiers qu’il emportait avec lui et ceux qu’il pouvait recevoir en route. Une lampe lacée sur le derrière de la caisse pouvait jeter dans l’intérieur toute la clarté dont on avait besoin la nuit.
Così la descrizione di Agathon-Jean-François, barone Fain, storico, segretario e archivista francese del gabinetto di Napoleone. Ogni carrozza appartenuta a Napoleone era diversa. Non era, infatti, una semplice berlina, ma un mezzo versatile, funzionale, a rapida e altissima trasformabilità. Spesso erano progettate da lui stesso, costruite poi da un carrozziere di genio. Avevano ogni confort e lusso, soprattutto per la scelta dei materiali e per il senso estetico.
Gli spostamenti in carrozza erano poi delle vere e proprie cerimonie e uno spettacolo per l’appassionato flâneur di turno. Sul sedile davanti, accanto al postiglione, si sedeva il mammelucco Roustan (guardia del corpo e aiutante fidato dell’Imperatore), mentre sul sedile posteriore i due primi valets de pied. Accanto alla portiera, sul lato destro, cavalcava l’écuyer de service, mentre sulla sinistra vi era il generale della guardia imperiale che comandava la scorta, solitamente composta dagli eleganti cacciatori a cavallo.
Napoleone solitamente aveva due vetture al suo seguito: una era occupata dal gran maresciallo di palazzo, il gran scudiere, l’aiutante di campo e il ciambellano di servizio. Nella seconda venivano ospitate le dame che accompagnavano l’Imperatrice, ovviamente a condizione che quest’ultima partecipasse al viaggio. Il convoglio principale dell’Imperatore era solitamente anticipato e posticipato da due carrozze a distanza di due ore. A volte, il corteo di carrozze portava più di sessanta persone tra marescialli, furieri, ciambellani, prefetti di palazzo, scudieri, segretari, maggiordomi per la toilette e per la tavola.
Oggi, la carrozza che servì a Napoleone e a Giuseppina per il loro viaggio, nel 1805, da Parigi a Milano (con passaggio a Torino e Alessandria, per celebrare il quinto anniversario della vittoria di Marengo), dove l’Imperatore dei francesi fu incoronato re d’Italia con la corona ferrea, è finalmente giunta alla Venaria Reale.
Le notizie sulla carrozza di Rol sono poche, frammentarie, a volte immaginifiche e improbabili. Se prendiamo per vera la vicenda del 1805, l’unico dato è l’abbandono della carrozza nel tragitto verso Torino, poiché si ruppe la struttura che univa le ruote e probabilmente, non avendo né il tempo né gli attrezzi per ripararla, i palafrenieri delle scuderie imperiali riconobbero più conveniente sostituirla con un’altra vettura.
Un’altra versione della storia racconta che la carrozza si ruppe a Marengo e che lì fu dimenticata fino alla Restaurazione. Dopo la caduta di Napoleone, le autorità austriache la cedettero a Giovanni Antonio Delavo. Qui, però, occorre aprire una parentesi e chiedersi se questa variante della storia sia davvero attendibile. Gli austriaci, infatti, al momento della Restaurazione depredarono molti oggetti dell’avventura napoleonica. Tipico è il caso del generale asburgico e conte Laval Nugent von Westmeath, che sottrasse la colonna di Marengo e l’aquila francese collocata sul campo di battaglia nel primo anniversario della vittoria francese. L’importanza delle sue memorie, infatti, invogliò il conte Laval Nugent von Westmeath — generale austriaco di discendenza irlandese, all’epoca nel corpo degli ingegneri del Genio, addetto allo Stato Maggiore delle truppe austriache — ad “approfittarsi”, per così dire, dell’abbattuta colonna, trasportandola, come trofeo di guerra, a Tersatto presso Fiume, nel proprio castello, collocandola vicino al sepolcro gentilizio dei de Nugent.
Oggi, a Marengo, dal campo di battaglia, dove quasi tutto è rimasto fermo al 14 giugno 1800, dal fiume Bormida verso Tortona, da Alessandria, con il "Platano di Napoleone" si procede attraverso la trafficata strada provinciale a Spinetta Marengo, verso la Torre di Teodolinda, vestigia medievale di fronte al Museo napoleonico di Marengo, costituito da una parte recente, con tanto di piramide, e Villa Delavo, fatta costruire nel 1846, in pratica il primo museo al mondo interamente dedicato a Napoleone e inaugurato il 14 giugno 1847, con una festa cui parteciparono, secondo le cronache, più di diecimila persone.
Giovanni Antonio Delavo, innamorato di Marengo e appassionato cultore delle memorie napoleoniche, fece costruire accanto al bivio che era stato al centro della battaglia, una villa in stile neoclassico. Ne recinse il vasto cortile con una cancellata sorretta da colonnine a foggia di fasci repubblicani. Al centro collocò una statua marmorea, opera del grande scultore Benedetto Cacciatori, che ritrae Napoleone come primo console. La sola statua di Napoleone, con il suo piedistallo e tutti i suoi accessori di ferro, costò a Delavo sessantaquattromila franchi. Nel parco fece poi innalzare una cappella nella quale furono riuniti i resti di molti caduti di Marengo e, accanto a questa, pose una stele con un busto del generale Desaix.
È risaputo che Napoleone adorasse ricordare Marengo e ogni volta che passava in Italia ci tornava, come nel caso dell’incoronazione di Milano nel maggio 1805. Tra l’altro Napoleone entrava solennemente a Milano da Porta Ticinese, attraverso l’arco che era stato elevato in gloria di Marengo. Rol raccontò che la carrozza di Napoleone fu acquistata all’asta, ma restano un po’ di mistero e incongruenze nella sua narrazione. Poi, nel 1947 (ma dev’essere dopo il 1950), fu acquistata da lui e, nel 1953, Rol l’aveva infine donata all’Ordine Mauriziano perché fosse destinata al museo della Palazzina di Caccia di Stupinigi. Così precisa la biografa di Rol e mia carissima amica Maria Luisa Giordano. L’epistolario di Rol, però, ci fornisce altre date e altre informazioni. Cercando le notizie sulle vicende della carrozza di Napoleone, troviamo altre fonti più attendibili.
Interni della carrozza (© Consorzio delle Residenze Reali Sabaude).
Nel 1899, ad Alessandria, sorse un comitato internazionale con lo scopo di celebrare il centenario della battaglia di Marengo. Il progetto fu elaborato dallo studioso napoleonico Alberto Lumbroso e da Francesco Gasparolo. Organo del comitato fu un Bollettino, uscito in due numeri assai rari. È interessante notare che (oltre al Congresso internazionale di studiosi di storia napoleonica, oltre un’esposizione di cimeli napoleonici, cui avevano promesso di partecipare, fra tanti, gli stessi membri della dinastia napoleonica, con a capo la vedova di Napoleone III, l’Imperatrice Eugenia, oltre a una solennissima tornata accademica da tenersi nella villa di Marengo la sera del 14 giugno, e dove Carducci aveva già accettato di tenere il discorso d’occasione) si era pensato addirittura di far ritornare da Tersatto la colonna di Marengo e l’aquila sottratte dal generale Laval Nugent von Westmeath. Della “carrozza di Marengo”, però, non si parla. Le elezioni amministrative avvenute ad Alessandria il 25 giugno 1899, tuttavia, troncarono improvvisamente tutti i progetti fatti e che dovevano essere attuati.
Ad ogni modo, la berlina di Napoleone si trovava ancora a Marengo all’inizio del Novecento, come testimoniano le numerose cartoline d’epoca. Era "oggetto d’ammirazione di tutti i visitatori", come scriveva La Stampa del 1° febbraio 1906. Quell’anno la carrozza fu esposta a Milano alla Mostra Retrospettiva dei Trasporti, realizzata nell’ambito dell’Esposizione internazionale che celebrava l’apertura del Sempione. Intanto, nel 1922, l’aquila francese rubata dal generale Laval Nugent von Westmeath fu riportata ad Alessandria, ma le sorti del museo napoleonico furono sfortunate: la sede del museo fu venduta al barone Cataldi di Genova, il quale la passò alla Montedison. Nel 1947, infatti, la villa dove era allestito il museo fu venduta alla Montedison. La collezione fu donata al Museo Civico di Alessandria, ma — inspiegabilmente — non la carrozza.
Si narra che la carrozza fu addirittura dimenticata in una cascina di Marengo, trasformandosi in un rifugio per le galline. Della voiture impériale sappiamo poi che passò in possesso dell’antiquario Edilio Cavanna di Novi Ligure. Cavanna — raccontava a La Stampa del 1° luglio 1950 — espose la berlina in "un camerone, fra attrezzi da campagna e altri veicoli fuori uso", dove chi voleva poteva "visitare il cimelio dando una piccola mancia". Sembrava che la carrozza fosse allora destinata a lasciare l’Italia per far ritorno in Francia, dove alcuni musei erano interessati al suo acquisto. Neppure i francesi riuscirono a strappare il cimelio dall’atroce destino: il responsabile del Museo di Nizza propose un progetto per il recupero della berlina imperiale di Napoleone, ma senza ottenere alcun successo. Poi avvenne la felice svolta di Rol.
Chi scrive conobbe da vicino il medium torinese e non può dimenticare l’ingresso della sua casa in via Pellico. Su un tavolino c’era un originale busto di Napoleone giovane, vestito da primo console. L’aveva trovato a Parigi, negli anni Trenta, in una cantina. Rol era anche un appassionato collezionista di mobili e gioielli di Giuseppina di Beauharnais. Ogni volta che si recava a Parigi, all’Hôtel des Invalides, al suo passaggio le bandiere francesi si mettevano a sventolare come per un saluto.
Rol possedeva anche dei tamburi dell’esercito napoleonico e dei bottoni delle giubbe di ufficiali dell’epoca. Me ne infilò due nella tasca della mia giacca, dopo una seduta del 1992. Rol era così! Grazie all’ausilio prezioso della Soprintendente alle Gallerie per il Piemonte Noemi Gabrielli, la carrozza di Rol passò poi in proprietà dell’Ente Ordine Mauriziano, che dal 1955 la espose nella Palazzina di Caccia di Stupinigi.
Gli interventi di restauro e gli approfondimenti scientifici sulla carrozza "detta di Napoleone", sono stati curati dal Centro di Conservazione e Restauro La Venaria Reale e cofinanziati dal Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Torino. Finalmente, dopo il restauro, possiamo parlare della storia parmigiana della carrozza.
L’insegna imperiale napoleonica, infatti, che già a una prima analisi risultava ridipinta, denunciava disomogeneità e stratificazioni che lasciavano supporre strati sottostanti. Con l’ausilio di riflettografie all’infrarosso, solitamente utilizzate per lo studio dei dipinti, potenziate per lettura più in profondità (IR3 a 2700 nanometri), si è potuto andare oltre il visibile senza bisogno di rimuovere la superficie ridipinta. Di sotto all’arma imperiale non originale, è emerso in modo nitido lo stemma di Maria Luisa d’Asburgo, seconda moglie di Napoleone, chiamata dai parmigiani, dopo la Restaurazione, Maria Luigia d’Austria. L’Asburgo, infatti, fu duchessa di Parma dal 1814 al 1847. Una preda e un souvenir della duchessa di Parma? Oppure, e questa potrebbe essere una ipotesi, la voiture impériale in questione fu quella usata nel secondo matrimonio di Napoleone, cioè quello con Maria Luisa d’Austria? Una cartolina uscita per il primo centenario della battaglia di Marengo, nel 1900, ci offre questa descrizione: "Voiture qui servit pour le mariage de Napoléon I avec Marie Louise d’Autriche".
Analizzando ulteriormente, attraverso le analisi multispettrali e microprelievi stratigrafici è stata documentata un’ampia area abrasa di sotto lo stemma di Maria Luigia con piccole porzioni di colore che consentono di affermare la presenza di una raffigurazione araldica precedente a quella della duchessa di Parma, probabilmente riconducibile all’originale stemma napoleonico. Similmente, il resto della superficie aveva subito variazioni cromatiche, frutto di verniciate eseguite per uniformare i segni d’incisioni, abrasioni e cadute di colore. La doratura aveva una pesante patina di vernici pigmentate che il restauro ha diminuito. Sulla cabina, oggi dipinta in nero, sono emerse tracce di una coloritura blu intensa, così come il verde delle ruote e del treno doveva originariamente apparire in tonalità azzurro chiaro. I colori originari della carrozza dovevano quindi essere interamente nelle tonalità dell’azzurro e dell’oro in pendant anche con i tessuti originali dell’interno della carrozza in seta e velluto.
Gli stemmi imperiali oggi visibili, eseguiti per esigenze di mercato al momento della vendita alla metà del XIX secolo, furono sicuramente integrati al momento del restauro della carrozza nel maggio del 1955, prima del passaggio alla Palazzina di Caccia di Stupinigi. L’attuale restauro ha affrontato per la prima volta in modo scientifico lo studio della voiture impériale e la scelta è stata di mantenere traccia del passaggio di tutte le fasi della vita dell’opera: dalla prima versione decorativa alla musealizzazione come cimelio napoleonico.
Carrozza di Napoleone, particolari (© Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale e © Consorzio delle Residenze Reali Sabaude).
Il restauro, conferma, quindi, che la carrozza fu realizzata a Parigi nei primi anni dell’Ottocento da Getting, carrozziere di Napoleone e della sua corte. A Getting si deve anche la berlina usata nel 1804 per l’incoronazione imperiale a Parigi. Tra 1803 e 1815 egli costruì almeno quindici carrozze di diverso genere per l’Imperatore, fra cui cinque berline di gala. Jean Louis Libourel ha definito questa "témoin de la carrosserie du premier empire, un élément précieux du patrimoine hippomobile". Portata da Parigi in Italia, secondo alcuni sarebbe stata compresa nella rievocazione della battaglia di Marengo, il 5 maggio 1805, e nel corteo per l’incoronazione a Milano di Napoleone come re d’Italia, il 26 maggio 1805. Per altri, invece, sarebbe stata realizzata per il matrimonio dell’imperatore con Maria Luisa d’Asburgo, celebrato a Parigi il 1° e il 2 aprile 1810. Quest’ipotesi, tuttavia, appare meno probabile e non spiegherebbe la sua presenza in Italia.
Dopo il 1815 la berlina era, comunque, in possesso di Maria Luigia, duchessa di Parma, che tolse simboli e armi napoleoniche e vi fece apporre il suo nuovo stemma. Intorno al 1845 la carrozza fu acquistata dal farmacista Delavo. Risale probabilmente a quest’epoca lo stemma imperiale posto su quello di Maria Luigia per “rinapoleonizzare” la berlina. Questa rimase a Marengo per un secolo, divenendo una delle attrazioni principali del museo. La carrozza imperiale appare per la prima volta nel 1854, riprodotta nel volume di Delavo Marengo et ses monuments, edito in una Parigi dove i Bonaparte erano ormai tornati sul trono con l’imperatore Napoleone III. Eppure furono gli anni, quelli di Napoleone III, in cui il progetto di primo museo napoleonico al mondo di Delavo naufragò lentamente e tristemente. Occorre aprire una parentesi per ricordare questo personaggio legato al mito del grande Napoleone e di Marengo.
Stemma prima e dopo il restauro (© Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale).
Delavo è un personaggio misconosciuto eppure importantissimo per il collezionismo napoleonico, senza di lui, d’altro canto, non avremmo avuto la carrozza di Napoleone, finita inaspettatamente, dopo Marengo, a privati come Cavanna e Rol. Oggi è possibile definire con maggiore precisione la figura di Delavo, grazie alla consultazione dei documenti notarili conservati presso l’Archivio di Stato di Alessandria e soprattutto grazie al rinvenimento presso una libreria antiquaria del suo libro pubblicato a Bruxelles nel 1861: L’ingratitude de Napoléon III. Appel adressé à l’opinion publique par Jean Delavo fondateur du Monument de Marengo (riedito e tradotto in italiano da Edizioni Falsopiano).
Giovanni Antonio Delavo nacque il 26 dicembre 1806 ad Alessandria, da Giuseppe, commerciante di ferramenta, e da Lucrezia Barozzi, figlia di un facoltoso banchiere alessandrino. Il padre era nativo di Ligomena, attuale frazione del comune di Plesio in provincia di Como. Dal 1820, il fratello maggiore Baudolino esercitò la professione di speziale-farmacista, dopo aver conseguito l’abilitazione alla professione presso l’università di Torino. Il più giovane Giovanni Antonio, in un primo momento, collaborò nella gestione del negozio sito in piazza Santo Stefano.
Giovanni Antonio si sposò con Carolina Zani, figlia dell’avvocato Giovanni Bartolomeo. Il matrimonio fu breve perché la moglie morì ad Alessandria il 12 giugno 1846. Non rimane comunque vedovo a lungo, perché, il 12 giugno 1848, si risposò con la "Damigella Rosa Dezza fu signor avvocato Pietro", nativa di Broni. Essendo però la sposa minorenne, si richiese per il consenso l’intervento del giudice del mandamento di Broni, il consiglio di famiglia con verbale del 7 giugno 1848 e il consenso anche del signor Stefano Prata, tutore della minore con costituzione di dote di lire 25 mila, una grande somma per l’epoca. Ma anche la seconda moglie morì prematuramente il 21 maggio 1850 a soli ventuno anni. Più che farmacista, Delavo, ottenuta la sua parte di eredità, manifestò una particolare attitudine a investire i suoi capitali nella compravendita di terreni, di case e di cascine, come risulta dai numerosi atti notarili, rintracciabili presso l’Archivio di Stato di Alessandria.
La costruzione della villa a Marengo, dove Delavo radunò diversi cimeli delle campagne napoleoniche, assorbì quasi tutte le finanze del grande collezionista. Per questo motivo, con l’ascesa di Napoleone III, Delavo accarezzò l’idea di offrire alla Francia il suo museo. Nel 1852, dopo due viaggi a Parigi, ottenne la Legione d’onore, ma nessuno si fece carico della gestione del primo grande museo dedicato al mito napoleonico, come aveva sperato il collezionista. La situazione economica di Delavo peggiorò rapidamente a tal punto che la villa, insieme a tutta la tenuta di Marengo, a causa del fallimento sopraggiunto, il 28 luglio 1857, fu venduta all’asta e acquistata dai fratelli Giuliano e Giuseppe Cataldi di Genova al prezzo concordato di lire 121 mila. Visse a Parigi, Spa e Liegi. Tornare in Piemonte, ridotto in povertà, gli pareva atroce. Si ammalò e visse di stenti. Quando Napoleone III visitò la piana di Marengo, durante la Seconda guerra di indipendenza, nel 1859, Delavo tentò un ultimo disperato tentativo di sensibilizzare l’imperatore ma senza ottenere nessun riscontro tangibile. La villa, veduta da Napoleone III, era stata completamente spogliata dai fratelli Cataldi.
Delavo morì a Parigi, il 12 ottobre 1889, a causa delle complicanze dovute alla frattura della gamba destra. La giunta comunale di Alessandria, nonostante gli inviti del console d’Italia a Parigi, si rifiutò di pagare le spese del funerale.
👉 Si ringraziano il Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale e il Consorzio delle Residenze Reali Sabaude per la gentile concessione delle immagini. Divieto di riproduzione.
Bianchi P. e Merlotti A., Andare per l’Italia di Napoleone, Bologna, Il Mulino, 2021.
Delavo G. A., L’ingratitudine di Napoleone III. Appello all’opinione pubblica, Alessandria, Edizioni Falsopiano, 2018.
Giordano M. L., Gustavo Rol. Una vita per immagini, Torino, Edizioni L’Età dell’Acquario, 2005.
Palumbo P., La carrozza di Marengo, in Revue du Souvenir Napoléonien, n. 2, 2020.