La casata Falletti nelle terre di Langa

Successi, ascesa e declino dei potenti marchesi Falletti tra feudi, torri e castelli

Veduta del Castello Falletti a Barolo (oggi sede del Museo del vino “WiMu”) con affaccio sui vitigni.

Laureato in archeologia medievale all’Università di Torino e con un master presso la milanese Fondazione Feltrinelli, è docente di italiano e storia nelle scuole secondarie e libero professionista. Dal 2013 collabora con l’associazione Ambiente & Cultura nell’ambito del progetto Alba Sotterranea, nella valorizzazione del museo civico “F.Eusebio” e del centro culturale “San Giuseppe” di Alba. Nato nel Roero nel 1991 ma ormai albese, lettore bulimico e sportivo con non troppa costanza, pur parlando di storia, tenta di essere chiaro senza annoiare le persone che ne leggono o ascoltano le parole.

  

Langhe, anno 1277.

Giacomo Falletti acquista dal comune di Alba a titolo allodiale i territori di Barolo e della Volta, coi rispettivi castelli. Parallelamente, coi Peruzzi, i ricchi banchieri fiorentini, risulta interessato alla fiera di Troyes. Nello stesso anno, Bartolomeo Falletti era il console del comune albese e, al tempo stesso, il suo nome compare in un’ordinanza per le fiere di Nîmes.

Chi erano i Falletti? Come avevano accumulato quel potere e quel denaro da permettere loro di essere attivi in Francia, di acquistare a pieno titolo porzioni di colline ritenute strategiche da un comune e di poter trattare con alcune delle più importanti banche dell’epoca?

La sete di indipendenza che emerge dalle parole che ancora nell’Ottocento campeggiavano all’ingresso dei castelli di Barolo e della Volta – Neminem cognosco preater Deum (“non conosco nessuno, tranne Dio”) – è un filo rosso che unisce i numerosi capitoli della storia dei Falletti: un insieme di vicende intricate che attraversano interi secoli e territori, tra i cui meandri si snodano operazioni finanziarie, manovre di potere, castelli, acquisizioni terriere e alleanze politiche che, nel loro insieme, porteranno questa famiglia nella più alta schiera della nobiltà piemontese fino al XIX secolo.

Le origini

Famiglia molto antica, dei Falletti si incomincia a parlare in alcuni documenti di carattere politico riguardanti i comuni di Asti e Alba: in quest’ultima, sono attestati dal 1198 con Raimondino; ad Asti, dal 1150 con Wiaz (o Gui). La loro attestazione in fonti di argomento così alto testimonia come essi fossero già una famiglia in vista a quel tempo. Sin dal XII secolo, i Falletti ebbero quindi un ruolo politico di primo piano nella città di Alba. Nel 1282, poi, i Falletti nel consiglio comunale cittadino saranno ben cinque.

Acquisizioni territoriali e politica

Ma come arrivarono i Falletti a Barolo?

Come tutte le altre famiglie astigiane di banchieri, anche i Falletti riuscirono a costruirsi un grande patrimonio terriero principalmente in due modi: da una parte, l’acquisto di beni allodiali, ossia in piena proprietà, e, dall’altra, grazie al prestito di denaro a signori, comunità ed enti monastici che poi dovevano rinunciare a castelli, feudi e diritti signorili per saldare i propri debiti coi Falletti. Si servirono del primo mezzo per acquisire Barolo e del secondo per Serralunga, Castiglione (Falletto), Benevello, Pollenzo, Bra, Pocapaglia e La Morra. Quest’ultima fu data in pegno dal comune di Alba – che nel secolo precedente l’aveva fondata – nel 1340 a Petrino Falletti in seguito a un mutuo di ben 3.000 fiorini aurei. Con tale somma di denaro, il comune avrebbe pagato gli Angioini affinché controllassero le vie di comunicazione verso la costa ligure, fondamentali per i commerci albesi.

Il ricetto di Barolo arrivando da Alba.
Il ricetto di Barolo arrivando da Alba.

I tempi in cui ogni comune era pronto a tutto per preservare la propria autonomia erano infatti ben lontani. A partire dalla seconda metà del Duecento, in Piemonte si diffonde infatti la convinzione per cui, per tutelare al meglio i propri interessi, è necessario rinunciare a molte libertà e accettare la protezione di uno dei principi interessati alla regione: dagli Angioini ai Monferrato fino, più tardi, ai Savoia. Le dinastie che di volta in volta si alternarono consideravano le Langhe una periferia dei loro domini e, vista l’impossibilità di controllare al meglio queste colline di frontiera, favorirono la crescita di alcune potenti famiglie locali a cui delegare il controllo della regione. Nelle Langhe, lungo le valli dei torrenti Talloria, nel cuore di quelli che oggi sono i Paesaggi vitivinicoli patrimonio dell’Umanità, emersero i Falletti.

Il simbolo del loro potere era, ovviamente, racchiuso nei loro imponenti castelli. Se, per quanto riguarda quello di Barolo, poco si conserva dell’originale in virtù delle ricostruzioni ottocentesche, spicca quello di Serralunga d’Alba, ancora oggi conservato nel suo aspetto originario. Allo scrivente piace immaginare che Pietrino Falletti si fosse ispirato ai castelli visti in Francia durante le spedizioni commerciali sue e dei propri predecessori. Effettivamente, la sua verticalità e le sue caratteristiche costruttive lo rendono molto simile a un donjon: un’alta torre attorno alla quale si sviluppano più piani con passaggi spesso stretti che nascondevano trappole per i nemici, tra cui un terribile pozzo delle lame oggi chiuso al pubblico. Tuttavia, prima di trasferirsi a Barolo, il cuore del potere dei Falletti era il castello della Volta, chiamato così a causa del crollo del soffitto che impressionò profondamente gli uomini dell’epoca. Taluni interpretarono questa sciagura addirittura come un intervento di Satana volto a punire i costumi troppo rilassati dei suoi abitanti. Studi più recenti hanno in realtà messo in luce i suoi gravi problemi strutturali che, tuttavia, non ne comportarono il definitivo abbandono.

Una delle torri del donjon di Serralunga.
Una delle torri del donjon di Serralunga.

La nascita di una fortuna

Tutto ciò però richiedeva molto denaro: i Falletti se lo procurarono grazie al commercio e al prestito, un’attività che cominciarono molto presto. La prima testimonianza risale effettivamente al 1226 quando Giacomo Falletti di Alba cedette ad Arrigo di Diano un credito pari a 60 soldi in moneta di Asti. Tuttavia, per comprendere a fondo le origini della loro fortuna, è necessario abbandonare i dolci rilievi della bassa Langa e raggiungere il mar Mediterraneo, con i porti liguri come sbocco naturale dei loro traffici. Infatti, negli anni 1259 e 1260 un Oggero Falletti di Alba risiedeva nel quartiere genovese di Tunisi e, nella vivace città musulmana, concludeva affari con tale Andreolo di Roccatagliata del quale risultava debitore.

Alcuni anni dopo, la cospicua attività finanziaria dei Falletti ruotava attorno a Genova. Qui essi operavano già dall’ultimo quarto del Duecento, quando i fratelli Giacomo e Raimondo investivano sul mercato cambiario internazionale attraverso alcuni intermediari. Le dimensioni degli affari di questa ancora unita famiglia era tale però da oltrepassare le Alpi occidentali, poiché gran parte delle transazioni effettuate dai Falletti a Genova avevano come meta finale le fiere di Champagne, uno dei polmoni economici dell’Europa medievale, presso cui lavoravano di persona o tramite loro procuratori. Il successo economico della famiglia, nel corso del Duecento, si accresce ulteriormente e, nel XIV secolo, raggiungerà il suo apogeo.

A sinistra lo stemma più antico dei Falletti e a destra quello più recente.

Successi, guerre e divisioni

Al loro potere economico presto cominciò ad affiancarsi un crescente potere politico. Tra il secondo Duecento e per l’intero Trecento, si ha l’impressione di avere a che fare con una famiglia che poco guarda ad alleanze politiche durature, se non, magari, con altri nuclei familiari anch’essi in ascesa. Essa mira piuttosto a sfruttare congiunture temporanee per trarne i maggiori vantaggi possibili, specie di tipo fondiario. Così, i Falletti non sembrano legarsi né ai Savoia (o al ramo cadetto dei Savoia-Acaja), né ai marchesi del Monferrato e di Saluzzo, né realmente agli Angiò.

Con questi ultimi, vi fu tuttavia un certo avvicinamento che durò per gran parte della loro dominazione in Piemonte, dal 1259 al 1340. Agli iniziali accordi commerciali seguirono collaborazioni sempre più strette, soprattutto al tempo di Roberto I. Durante il suo regno, i figli di Giacomo Falletti, Gioffredo, Simondino, Manuele, Pietrino e Leone ottennero il pagamento di 1.000 lire che Alba doveva loro per la custodia e il restauro del castrum di Monforte. Tra loro, cinque rimarranno perennemente nella Svizzera francese, mentre Gioffredo rimarrà ad Alba, definendosi mercator Albae.

Negli anni Trenta del XIII secolo, il legame tra i Falletti e Roberto I d’Angiò raggiunse il suo acme. Fu in effetti ai Falletti che il sovrano chiese la concessione di un mutuo di 1.538 once d’oro per le truppe mercenarie stanziate in Piemonte che, tra le varie cose, assicuravano anche Alba e le rotte mercantili che la collegavano alla costa ligure. Pertanto, il comune di Alba, col suo vicario Accorsino della Torre, e Roberto I ricevettero questa somma ipotecando la località albese di La Morra. Un decennio dopo, Roberto I andrà a definire i Falletti di La Morra addirittura foederati, un termine usato in genere in rapporto a città o comunità, non a famiglie. Un’ulteriore conferma della fiducia che legava il re angioino ai Falletti fu la sua decisione di affidare a Petrino la custodia del marchese Tommaso II di Saluzzo, suo prigioniero nel castello di Pocapaglia.

L'attuale torre campanaria di La Morra costruita sulle fondamenta del demolito castello.
L'attuale torre campanaria di La Morra costruita sulle fondamenta del demolito castello.

Tuttavia, il legame tra la famiglia albese e la stirpe provenzale venne meno in seguito alla sconfitta patita da questi ultimi nella battaglia del Gamenario del 1345 contro i ghibellini del marchese di Monferrato, sostenuto da Asti. Dal 1346, quindi i Falletti si schierarono dalla parte di Giacomo di Savoia-Acaja, apertamente quindi contro gli ex alleati, riuscendo così a mantenere Alba. A causa di una breve riscossa angioina, i Falletti vengono però cacciati dalla città e costretti a rifugiarsi nella chiesa di San Pietro a Pollenzo ove stetero 24 hore senza mangiar né bever ma, in seguito alla definitiva sconfitta del re provenzale, essi furono di nuovo liberi.

È da questo momento, il 1347, che l’unità della famiglia tramonta definitivamente: alcuni decisero di tornare ad Alba; altri si rifugiarono a Castiglione (Falletto) e a Pocapaglia, dando vita a dinastie destinate a scomparire nel Seicento; un’altra parte si rifugerà nel Saluzzese, presso l’attuale Villafalletto. Favoriti dalla vicinanza territoriale dei loro possedimenti lungo i torrenti Talloria e dalla possibilità di controllare direttamente i possedimenti di Barolo, saranno i Falletti di Barolo ad avere una maggiore fortuna nei tribolati anni successivi.

Il Cinquecento e le guerre d’Italia

Nel 1429 Eustachio Falletti di Barolo decide di ridurre le imposte alla comunità e, dopo questo gesto generoso, muore, lasciando spazio ai suoi figli che continueranno a garantire ai propri sudditi le libertà, le immunità e le franchigie concesse dal padre. Nello stesso secolo, nonostante l’instabile situazione politica, i Falletti commissionano alcuni importanti manufatti artistici e, in particolare, l’Assunzione della Vergine e santi, conservata nella Galleria Sabauda ma che in origine adornava la scomparsa chiesa di San Francesco ad Alba, il cui altare di destra diventava talvolta luogo di sepoltura dei membri di questa famiglia.

"Assunzione della Vergine e santi", Gandolfino da Roreto, 1493 (foto © Musei Reali Torino).

Il Cinquecento, con il caos provocato delle guerre d’Italia, sarebbe stato un secolo ben più tempestoso. Il giorno del Corpus Domini, nel giugno del 1531, di fronte alla chiesa di San Damiano nella via Maestra di Alba viene ritrovato il corpo senza vita di Girardo Venta, un consigliere della città. Era stato un gruppo di rivoltosi guidati da Giovanni Antonio Falletti, del ramo di Castiglione, ad ucciderlo. Dopo altri saccheggi, la rivolta viene sedata e il marchese, con alcuni rivoltosi, è condotto al carcere di Casale da dove, però, riesce a evadere. Ricostituito il gruppo di ribelli, il Falletti assale il castello di Pocapaglia dove risiede un suo parente, Andrea che, dopo essere stato catturato, riesce a rifugiarsi nel castello di Serralunga. Desideroso di rivalsa, Andrea organizza un gruppo di milizie che, replicando quanto fatto da quelle di Giovanni Antonio, razziano il territorio di Pocapaglia e cercano di uccidere il marchese ribelle. Col benestare del vescovo di Asti, per sbarazzarsi di Andrea, Antonio decide quindi di cedere parte del castello, dei beni e dei terreni di Pocapaglia al marchese di Saluzzo. A dispetto di ciò, Andrea decide di aprire le porte del quasi inespugnabile castello ai francesi e il vescovo riuscirà a recuperarlo solo con grande fatica, quando ormai i soldati di oltralpe avevano asportato i viveri lì accumulati dalla comunità in previsione della guerra.

Tutto era cominciato di fronte alla chiesa di San Damiano, non distante da palazzo Serralunga, in precedenza appartenuto ai Falletti. Tra i suoi muri sarebbe stato ospitato pochi anni dopo Carlo V. Tra una trattativa e l’altra, l’imperatore avrà avuto modo di ammirare i soffitti a cassettoni dipinti con immagini che rappresentavano cavalieri giostranti, scene di caccia e animali più o meno realistici che i Falletti, all’apice del loro potere nel 1335 – un’altra epoca – avevano fatto realizzare.

Intanto, le guerre d’Italia continuavano a seminare morte, distruzione e discordia in tutto il Piemonte e i Falletti non ne furono risparmiati. Infatti, da una parte, Giacomo e Scipione Falletti si erano schierati coi francesi, dall’altra, Giovanni e il figlio Manfredo con gli spagnoli e coi Savoia. In più, questi personaggi, oltre a barcamenarsi nelle vicende belliche che portarono alla distruzione completa del castello di La Morra e a quella parziale di quelli di Barolo e La Volta, dovettero anche affrontare le rivendicazioni della comunità barolese che fece loro promettere, nel 1546, di registrare a catasto tutti i loro possedimenti.

Enrico Gonin.
Enrico Gonin. "Castello di Barolo, nella Provincia d'Alba", 1849. Stampa litografica, Lit. Iunck, Torino.

Il Seicento

Nel corso del Seicento, i Falletti si dividono ulteriormente. Infatti, il ramo di Barolo si stacca da quello di La Morra e Rodello e, a partire da questo momento, cominciano una serie di dispute che coinvolgono i vari rami della famiglia. Addirittura, il podestà di La Morra lamenta che i Falletti di Rodello

hanno commesso, e di continuo commettono in detto loco delitti enormissimi, havendo sacheggiato e demolito case e cassine, uvvido giorni sono due poveri vechi che andavano al mercato di Bra e présoli i danari, sparato e ferito d’archibugiata [altre persone del luogo].

Detto ciò, Carlo Lodovico Falletti, nel 1690, compila il testamento per il figlio Gerolamo IV e arriva a comprendere un alto numero di località, tra cui il castello e il feudo di Barolo, quella della Volta con le tre cascine, la Morra, la Cassinotta di Alba, 2/3 di feudo e giurisdizione di Serralunga e, infine, parti di altre località come Rodello, Pocapaglia, Borgomale, Villafalletto, Neive e Castagnole Monferrato.

L'ingresso di Palazzo Falletti-Cordero a La Morra con lo stemma dei Falletti visibile in alto a sinistra.
L'ingresso di Palazzo Falletti-Cordero a La Morra con lo stemma dei Falletti visibile in alto a sinistra.

L'estinzione della casata

Nella generazione successiva spicca Gerolamo IV. Con lui, la famiglia si traferì a Torino presso il palazzo di via delle Orfane e il castello di Barolo sarebbe diventata gradualmente la residenza estiva dei marchesi. Oltre all’episodio che portò sua moglie a suicidarsi gettandosi dal balcone del palazzo torinese, nell’arco della sua vita riuscì ad elevare Barolo in marchesato e fece un’importante carriera militare sotto i Savoia che lo portò a diventare viceré di Sardegna, dove era arcivescovo suo fratello, e di Corsica. Tra fine Seicento e inizio Settecento, saranno molti i Falletti a sacrificarsi per lo stato sabaudo: in particolare, fece impressione l’episodio in cui Giuseppe Falletti, nel 1744, durante la guerra di secessione austriaca, patì le conseguenze delle ferite presso i passi della Battagliola e della Bicocca, per poi morire nove giorni dopo a Saluzzo. Rispetto a questi ultimi signori e, in particolare, a Ottavio Giuseppe e al suo erede, sorprende come in essi imperasse la paura di essere colpiti da morte apparente e di come, di conseguenza, prima di morire ordinassero di lasciare esposto il cadavere per 48 ore nel palazzo di Torino prima di essere condotti a Barolo per la sepoltura.

Nella capitale sabauda, Carlo Tancredi Falletti, che nell’arco della sua vita si distinguerà per la sua sensibilità sociale, sposa nel 1806 Juliette Françoise Victurnie Colbert de Maulévrier, la cui storia è ben nota. Con la morte di Tancredi Falletti il 4 settembre 1838, la famiglia Falletti si estinse. Di questa famiglia oggi, oltre alla nobile Opera Pia, rimangono molti ricordi nella toponomastica albese e langarola, e quelli che per molti secoli furono i loro castelli e palazzi che, anche se in maniere completamente diverse, rimangono centrali nella vita e nelle vite dei luoghi di Langa.

Ritratto di Carlo Tancredi Falletti di Barolo, Pietro Ayres, 1848.
Ritratto di Carlo Tancredi Falletti di Barolo, Pietro Ayres, 1848.

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Bibliografia

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  • Barbero A., Storia del Piemonte. Dalla Preistoria alla globalizzazione, Torino, Einaudi, 2008.
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  • Molino B., Presenze patrimoniali dei Falletti tra Langhe e Roero (XIV-XVI secolo). Luci e ombre, in I Falletti nelle terre di Langa. Tra storia e arte: XII-XVI secolo, Cuneo, Studi Storici Archeologici, 2003, pp. 31-44.
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  • Rosso A. S., Castelli, urbanistica e territorio: le Langhe dei Falletti, in I Falletti nelle terre di Langa. Tra storia e arte: XII-XVI secolo, Cuneo, Studi Storici Archeologici, 2003, pp. 81-88.
  • Scarcia G., Origini e ascesa dei Falletti (XII e XIII secolo), in I Falletti nelle terre di Langa. Tra storia e arte: XII-XVI secolo, Cuneo, Studi Storici Archeologici, 2003, pp. 19-30.
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