Melazzo, Cereseto, Castagnole e gli altri

Come la flora ha plasmato alcuni nomi di località piemontesi donandoci un racconto dal passato

Alberto Ghia
Alberto Ghia

Astigiano, è dottore di ricerca in Linguistica italiana, cultore della materia presso l’Università di Torino e redattore dell’Atlante Toponomastico del Piemonte Montano. I suoi campi di ricerca sono la dialettologia, la geografia linguistica e l’onomastica. Nel tempo libero viaggia all’insegna della curiosità, per strade di carta o di asfalto, cercando bei paesaggi, storie interessanti, tradizioni quasi dimenticate e formaggio.

  

La vegetazione offre plurimi spunti per la creazione di toponimi: essa infatti è un elemento piuttosto stabile del paesaggio, e quindi si presta bene a suggerire quegli elementi caratterizzanti che si cercano nel momento in cui si dà per la prima volta il nome a un luogo. Ricordando poi che molte specie vegetali sono sfruttate per le loro proprietà – hanno principi attivi medicamentosi; producono frutti commestibili; trovano impiego nell’artigianato – ecco che un nome di luogo che richiama una pianta, oltre a descrivere il luogo nominato, svolge anche un’altra funzione: fornire informazioni sulle risorse principali di un certo territorio.

Un repertorio non così ampio

Queste premesse potrebbero lasciar pensare a un repertorio di fitotoponimi (questo il nome tecnico dei nomi di luogo derivati da nomi di piante) molto alto; tuttavia, Alda Rossebastiano, professoressa emerita dell’Università di Torino, qualche anno fa ha calcolato che solo il 7,05% dei toponimi comunali del Piemonte era collegato a nomi di piante, una percentuale piuttosto modesta, che cresce di poco se si aggiungono quei nomi che richiamano in modo meno preciso la vegetazione (bosco, prato, ecc.). Se però scendiamo di scala, e dai “macrotoponimi” passiamo ai “microtoponimi” (usiamo le virgolette perché si tratta di una ripartizione di comodo; un nome è sempre un nome, dal punto di vista linguistico: l’estensione dello spazio denominato non conta!) ne troviamo un numero ben più cospicuo.

Panorama di Pomaretto. Il nome rimanda a pum o pumé (che può indicare anche in generale ‘frutteto’)
Panorama di Pomaretto. Il nome rimanda a pum o pumé (che può indicare anche in generale ‘frutteto’)

Non va dimenticato che il toponimo è una fotografia dello spazio denominato nel momento in cui il nome si è imposto – e non dell’ambiente attuale. Ciò consente, con la dovuta cautela, di usare i fitotoponimi anche per studiare come è cambiato il paesaggio vegetale del nostro territorio.

È ora di vedere assieme alcuni nomi; ci concentreremo qui sui fitotoponimi connessi con i nomi di piante e a quelli che richiamano il concetto di bosco. Ovviamente non di soli alberi e boschi è ricca la toponomastica: anche altre formazioni vegetali, curate e non, come i prati, gli orti e i gerbidi fanno parte della categoria dei fitotoponimi; e allo stesso modo i nomi di luogo possono richiamare anche direttamente nomi di specie vegetali minori, come arbusti, erbe e fiori, per ragioni simili a quelle illustrate per i nomi di piante. Esploreremo queste altre tipologie di nomi in un'altra puntata della nostra rubrica.

Piante da frutto

La presenza di un impiantamento di una specie arborea lascia tracce significative nel paesaggio, spesso registrate a livello toponimico. Diversi toponimi conservano, al loro interno, la denominazione di una pianta che produce frutti eduli: eccone una breve rassegna. Rimandano al melo Melazzo (AL) e, attraverso la denominazione piemontese (e occitana), pum o pumé (che può indicare anche, più in generale, ‘frutteto’) Pomaretto (TO); Pomaro Monferrato (AL); Pomarolo, gruppo di case nel comune di Boccioleto (VC); Pometto, frazione di Guarene (CN) e Pian Pomè, borgata di Valgioie (TO).

Rimandano al ciliegio (ciresa) Cereseto, comune della provincia di Alessandria e frazione di San Donato Vercellese (VC); Ceresetta, borgata del comune di Sparone (TO) e Ceresole, primo elemento di due toponimi comunali (in provincia di Torino e Cuneo) e di una piccola borgata di Chiaverano (TO); l’elemento è presente anche in Trucca Ceresole, un rilievo (piemontese trüc ‘altura’) nel comune di Frabosa Sottana (CN) e Valle Ceresole, nel comune di Limone Piemonte (CN).

Mura del castello e Chiesa di San Bartolomeo, Melazzo (AL).

Alla presenza di noci (nus) rimandano Nucetto (CN); Noceto nome di località di Cassine (AL), Priero (CN) e San Salvatore Monferrato (AL); Nosè, borgata di Sparone (TO); Nosei, località lungo l’Erro, a Cartosio (AL) e la Val Nosserio a Costigliole d’Asti (AT). Rimandano alla nocciola (ninsulè; linsulè) Lenzolé, a Locana (TO); dal nome latino della pianta, corylum, derivano invece Colleretto Giacosa (TO) e Colleretto Castel Nuovo (TO).

La civiltà del castagno

Il castagno merita un capitolo a sé: per moltissimo tempo questa essenza è stata fondamentale per l’uomo, tanto che qualche studioso ha proposto la definizione di “civiltà del castagno”. I suoi frutti sono commestibili e potevano essere essiccati e conservati, per poter essere consumati durante l’inverno; ridotti a farina, potevano essere impiegati nella panificazione. Il suo legno è particolarmente duro e resistente, e per questa ragione poteva essere impiegato nell’edilizia, oltre che in agricoltura (pali per le vite, manici di attrezzi, doghe, per la sua resistenza all’acqua, e così via).

Le tracce toponimiche sono parecchie: ricordiamo i toponimi comunali Castagnole delle Lanze e Castagnole Monferrato, entrambi in provincia di Asti; Castagnole Piemonte e Castagneto Po, in provincia di Torino; Castagnito in provincia di Cuneo; e ancora San Rocco Castagnaretta, frazione di Cuneo, Castagneretto frazione di Villar Focchiardo (TO) e Castanedo frazione di Domodossola (VB). Tali toponimi risultano costituiti dal nome latino della pianta, castanea; altri toponimi rimandano a specifiche varietà di castagne, come per esempio Marunere località di Ala di Stura (TO) e Pratomorone, frazione di Tigliole (AT), che richiamano i succulenti marroni.

Castagnole delle Lanze, veduta aerea.
Castagnole delle Lanze, veduta aerea.

Le fagaceae

Un numero ben maggiore di toponimi indica la presenza di piante accudite per il loro legname. Importantissima è la famiglia delle fagacee. Al suo interno troviamo diversi generi; rivestono particolare importanza per il Piemonte il genere delle castaneae, di cui fa parte il castagno di cui abbiamo già parlato, le quaercaeae, a cui appartengono roveri, cerri e lecci, e le fagoideae, a cui appartiene il faggio. Tra le querce, le specie più importanti sono la rovere, pi. rul (o ru), da lat. robur, (attenzione: rul in piemontese può indicare anche l’intero genere, mentre il coetimologico rovere italiano indica solo la specie) e il cerro, pi. ser.

Da rul derivano i toponimi Roletto, comune del torinese e frazione di Vanzone con San Carlo (VB); Roledo, borgo di Montecrestese (VB); Rollieres, frazione di Sauze di Cesana (TO); Monte Rolei, tra Corio e Balangero (TO); Rolassa a Calliano (AT). Rimandano a una variante ru(r) invece Rorà (TO); Roure (TO); Roreto, nome di frazioni o piccoli borghi nei comuni di Cherasco (CN), Monteu Roero (CN), Chiaverano (TO), Campiglia Cervo (BI) e San Paolo Solbrito (AT); Roracco, frazione di Villanova Mondovì (CN), Rore, frazione di Sampeyre (CN); Roeto, località di Mombercelli (AT). Il cerro è la pianta più presente a livello di toponimi comunali; ricordiamo Cerrina Monferrato (AL); Cerreto d’Asti (AT); Cerreto Grue (AL); Cerretto Langhe (CN); Cerrione (BI), a cui aggiungiamo Piancereto, frazione di Cabella Ligure (AL) e Sereia a Invorio (NO).

Cerreto Langhe in una cartolina d'epoca.
Cerreto Langhe in una cartolina d'epoca.

I nomi di luogo legati al cerro sono parecchi, e questo fa pensare che l’essenza, un tempo, avesse una diffusione ben maggiore di quella attuale. Richiama il leccio (lat. ilex), altro sottogenere della quercia, il toponimo Lessona (BI). Rimandano infine al faggio (lat. fagus; pi. fo) Bric dei Faggi, a Gottasecca (CN); Campofei a Castelmagno (CN); Faione, località presso Castell’Alfero (AT); Feisoglio (CN) e Pianfei (CN).

Altre famiglie

Proseguiamo con una rapida rassegna delle principali famiglie arboree per poi analizzare le caratteristiche dei nomi che abbiamo riportato.

Betulacee: ontano (pi. verna, parola di origine prelatina, o continuatori di lat. alnus): Vernante (CN); Verna frazione di Cumiana (CN); Vernai località a Viù (TO); Vernetto frazione di Ceres (TO); Vernetta nome di due località cuneesi, una a Castino e l’altra a Feisoglio; Vernè a Angrogna (TO); Vernei a Prarostino (TO); Agneto frazione di Carrega Ligure (AL); Rio dell’Auna a Coggiola (BI); Oneglie a Sagliano Micca (BI); Agnona a Borgosesia (VC). Ontanello verde (pi. droza, voce di sostrato): Sasso Drosa a Valle Canobina (VB) e forse Valdrosso, frazione di Quattordio (AL). Betulla (pi. biula): Bioglio (BI), Bric Biula a Saliceto (CN), Bioletto a Curino (BI) e Biolla a Montegrosso d’Asti; *birca (germanico): Mombarcaro (CN); Mombercelli (AT); Barchera, frazione di Refrancore (AT); va però ricordato che, in alcune località, barca ha il valore di ‘pagliaio’. Carpino (pi. cherpo): Carpeneto (AL); il lago Carpineta a Cessole (AT); il Monte Cherpo di Feisoglio (CN); il Rio di Carpanea a Rocca d’Arazzo (AT).

Caprifoliacee: sambuco: Sambuco (CN); Sambughetto, a Valstrona (VB).

Conifere: abete rosso (lat. picea; pi. pessa): Pecetto, frazione di Macugnaga (VB); Pessione, frazione di Chieri (TO); Pezzea, località di Bossolasco. È possibile tuttavia che alcuni dei toponimi rappresentino esiti del latino medievale peciam ‘pezza (di terra)’; sono sicuramente da escludere dal novero dei fitotoponimi Pecetto Torinese e Pecetto di Valenza (AL), che si trovano a una quota troppo bassa rispetto all’habitat dell’abete. Pino mugo (pi. arulla, voce prelatina): Arola (VB). Larice, attraverso una radice tardolatina *melicem ‘miele’ (l’albero che produce miele – o, meglio, resina): Melezet, frazione di Bardonecchia; Melezzo, località di Trontano (VB) e Pian Melezè, a Bellino (CN); da pinus ‘pino’ Pinerolo (TO) e Pinasca (TO).

Cornacee: corniolo: Cornalea, frazione di Rocchetta Tanaro (AT); Cornaley, località di Settimo Vittone (TO); Val Cornale, a Mombercelli (AT).

Carpeneto (AL), veduta aerea.
Carpeneto (AL), veduta aerea.

Oleacee: olivo: Olivola (AL); San Marzano Oliveto (AT). Frassino (pi. frasso; fragno in area galloromanza): Frassineto Po (AL); Frassinetto (TO); Freis a Castelnuovo Don Bosco (AT); Pian del Frais a Chiomonte (TO); Fragnei a Ceres (TO).

Salicacee: salice (pi. sars): Saliceto (CN), Sauze d’Oulx (TO) e Salza di Pinerolo (TO); pi. gura (voce prelatina): Gorreto, località di Ormea (CN); Bric Gorrei a Cassinelle (AL); lat. vincum, con diversi suffissi: Vinchio (AT); Vanchigia quartiere di Torino; Vinzaglio (NO). Pioppo (pi. albra o arbra, lat. arborem): Albaretto della Torre (CN); Alberoni frazione di Castello d’Annone (AT); Albra località di Ormea (CN); Albaretta località di Garessio (CN) e Alberasca località di Stazzano (AL).

Sapindacee: acero campestre (pi. piai  o obi, forse da collegare a lat. populum ‘pioppo’, con caduta di p- iniziale, tipico fenomeno celtico): Cascina Obbiate a San Pietro di Mosezzo (NO); Piai, Brozolo (TO).

Tigliacee: tiglio (pi. tei): Tigliole (AT); Ponte Teia a Gurro (VB); Casa Tiglietto a Coazze (TO), Punta del Tillio tra Alagna Valsesia e Campertogno (VC); Cima del Tiglio tra Carcoforo e Alto Sermenza (VB); Rio Tiglieretto a Venaus (TO); Tiglietto, borgo di Ronco Canavese (TO). Non si può escludere che alcuni dei nomi elencati possano invece rimandare alla voce latina titulus ‘segno, marca (di confine)’, come Tiglione (affluente di destra di Tanaro, AT) o da voci alterate con suffisso diminutivo, come in Montiglio Monferrato (< monticulus).

Ulmacee: olmo (pi. urm): Pralormo (TO); Ormea (CN); Olmetto, frazione di Bagnolo Piemonte (CN); alla radice celtica *limo- rimandano invece Limone Piemonte (CN) e il Rio dei Limoni, che segna in parte il confine tra Mombasiglio e San Michele di Mondovì (CN).

Un plurale costante

Come si può notare, la maggior parte dei toponimi che abbiamo evocato derivano dai fitonimi piemontesi. Ovviamente: queste denominazioni sono nate perlopiù dalla lingua parlata e poi sono state italianizzate. Un altro aspetto notevole è che le piante sono citate perlopiù al plurale, oppure si tratta di derivati, in cui è possibile isolare un suffisso collettivo. Tra i suffissi più diffusi troviamo i continuatori del lat. -etum; da esso derivano i suffissi , -ei, -ai, -edo, -eto. Anche -etto fa parte degli esiti: non si tratta di un suffisso diminutivo ma è un’ipercorrezione. Una caratteristica dell’italiano parlato nel nord Italia è quella di scempiare le consonanti doppie: con questo presupposto si è pensato che la singola -t- di -eto (forma corretta) fosse invece un errore, e quindi ne è stata aggiunta un’altra. Di uso in uso, la forma ipercorretta si è fissata nei documenti ed è giunta fino a noi. È il caso, per esempio, del Vernetto di Chianocco (TO): il toponimo francoprovenzale Vernei, raccolto dall’Atlante Toponomastico del Piemonte Montano, ci consente di capire che l’-etto italiano è ipercorrezione, visto che nel toponimo orale si trova -ei (continuatore di -etum).

Alberi sacri e demarcatori

In alcuni toponimi il nome della pianta si è invece fissato al singolare. In questi casi i toponimi informano sempre della presenza dell’essenza sul territorio, ma si tratta di una presenza eccezionale, per diverse ragioni: le sue dimensioni, ad esempio, oppure la sua funzione. Leggendo diversi documenti antichi, ci si accorge che nel medioevo spesso si professano giuramenti e si stringono patti presso specifici alberi. Si tratta, perlopiù, di essenze che prima del cristianesimo erano venerate nei culti pagani. Faggi e querce, in tal senso, hanno tradizioni antichissime; nel mondo romano e gallico era anche diffuso il culto degli olmi, mentre il mondo germanico risulta legato al tiglio. È possibile che traccia di questi culti si sia conservata nei toponimi: l’albero sacro si fa elemento caratterizzante di un’area.

Non va poi dimenticata la funzione spesso svolta dagli alberi come demarcatori di confine (forse proprio in virtù di una loro sacralità, almeno in origine, che si è poi stemperata e scaduta in usanza con l’affermarsi del cristianesimo). Chi frequenta le campagne si sarà già imbattuto in alberi maestosi, talvolta secolari, al bordo dei campi: ecco spiegata la loro funzione. Con questa funzione vengono usati anche i gelsi (pi. mur), impiantati per favorire l’allevamento dei bachi da seta.

Nomi come Fobello (VC), Robella comune in provincia di Asti e nome di due borgate, una a Trino (VC) e una a Sanfront (TO); Cerrabello località di Tonengo (AT) Cerro Tanaro (AT), Pralormo (TO), Olmo Gentile (AT), Teglia a Ornavasso (VB) potrebbero essersi fissati proprio per la presenza di un “albero sacro”, e forse anche Tricerro (VC): il valore magico-sacrale del numerale tre è abbastanza diffusa nelle culture indoeuropee.

Veduta del borgo antico di Olmo Gentile (CC BY-SA 3.0)
Veduta del borgo antico di Olmo Gentile (CC BY-SA 3.0)

Toponimi dei boschi

Abbiamo finora visto denominazioni che rimandano a essenze specifiche; ma ve ne sono molte che, invece, indicano più genericamente la presenza di un bosco. I toponimi sono frequenti, anche per zone che oggi boscose non sono: ricordiamo che il nome richiama sempre la condizione del luogo quando esso è stato denominato. Tra i toponimi piemontesi che richiamano il bosco troviamo basi lessicali di diversa origine; *leuko-, per esempio, è un elemento prelatino, e da esso  derivano i toponimi Lequio Tanaro (CN) e Lequio Berria (CN); la voce probabilmente va messa in rapporto con il latino lucus ‘bosco sacro’, da cui invece deriva Lu Monferrato (attestato Lucus e Lugus nel X secolo), ex comune e ora frazione di Lu e Cuccaro Monferrato (AL).

Il latino conosceva diverse voci per indicare il bosco: oltre a lucus, troviamo saltus, nemus e silva. Ciascuna di queste voci ha riflessi nella toponimia piemontese: segnaliamo a mo’ di esempio Salto, frazione di Cuorgnè (TO); Nembro, frazione di Varzo (VB), ipotizzando che l’etimo sia lo stesso dell’omonimo comune bergamasco; Selve Marcone a Pettinengo (BI); Silvano d’Orba (AL); Selvanera, località di Varzo (VB); Selvavecchia, borgata nel comune di Calasca Castiglione (VB); Selvaccia a Trontano (VB) e Selvapiana a Fabbrica Curone (AL). Più numerosi sono gli esempi che rimandando invece alla voce boscus del latino medievale, poi passata al piemontese e all’italiano: ricordiamo Bosco Marengo (AL); Bosconero (TO); Sommariva del Bosco (CN); Belboschetto a Rivara (TO). Vanno poi considerati anche i riflessi toponimici di frasca, voce impiegata per denominare i boschi cedui: ricordiamo per esempio i toponimi Frascaro (AL); Colle Frasca tra Piossasco e Trana (TO); Cima Frascheja al confine tra Sostegno (BI) e Serravalle Sesia (VC); la Fraschetta, regione storica che si estende a E di Alessandria e il piccolo borgo di Fraschietto, nel comune di Frassinetto (TO).

Al superstrato germanico appartiene l’etimo *wald: citiamo qui solo Vauda Canavese (TO), rimandando chi volesse ulteriori esempi all’articolo sul superstrato germanico. Non vanno dimenticate quelle voci che designano un bosco interdetto al pubblico sfruttamento, di origine latina o germanica (forme participiali di bandire; esiti di *gahagi); rimandiamo allo stesso articolo sul superstrato germanico per esempi puntuali.

Chiesa dei Santi Pietro e Pantaleone, Bosco Marengo (foto di Davide Papalini CC BY-SA 3.0)
Chiesa dei Santi Pietro e Pantaleone, Bosco Marengo (foto di Davide Papalini CC BY-SA 3.0)

Una questione di luoghi e dialetti

Come visto precedentemente, in piemontese, come anche nelle altre lingue locali d’Italia, i fitonimi sono un argomento molto complesso, per diverse ragioni. Il primo dato da tenere a mente è che la cultura popolare ha spesso classificato – e nominato – in modo anche molto diverso rispetto alla classificazione scientifica il regno vegetale. In secondo luogo, i fitonimi (nomi di piante), più di altri settori del lessico, sono interessati dalla proliferazione di geosinonimi: ciò significa che, nel giro di pochi chilometri, la stessa pianta può avere due nomi molto dissimili tra loro, ma anche che lo stesso nome può essere impiegato per referenti diversissimi. Un volume che può aiutarci a fare ordine in questo complesso campo lessicale è I nomi delle piante nelle parlate del Piemonte, edito dalla Regione Piemonte nel 2017 e realizzato da Gian Paolo Mondino, ricercatore presso l’Istituto per le Piante da Legno e Ambiente e professore associato dell’Università di Torino. Il volume colleziona moltissime denominazioni piemontesi delle 317 piante più comuni della nostra regione, raccolte in tanti anni di ricerca sul campo, dalla viva voce dunque di informatori, rappresentativi dell’intero territorio regionale: non solo, quindi, denominazioni in lingua piemontese, ma anche occitane, francoprovenzali e walser. La raccolta lessicale è arricchita da schede botaniche, che forniscono alcune informazioni di base sulla specie di cui poi si elencano i nomi raccolti. Molto interessanti le 24 elaborazioni cartografiche dei geosinonimi, che mostrano la ricchezza di questo settore lessicale.

Nella rubrica dedicata ai fitotoponimi piemontesi abbiamo fatto solo un cenno all’importanza che i nomi di piante hanno nella creazione di nomi di luoghi minimi, ma abbiamo preferito impiegare come esempi nomi di luoghi che potenzialmente hanno una maggiore “visibilità”, perché indicano borgate o perché sono segnalati su diversi tipi di carte. Quanto è stato messo da parte? Una lettura di sicuro fascino per gli interessati è il bello studio di Federica Cusan, assegnista di ricerca dell’Università di Torino e caporedattrice dell’Atlante Toponomastico del Piemonte Montano (ATPM): Parola alle piante. Saggio di fitotoponomastica di una valle alpina, edito dalle Edizioni dell’Orso nel 2020. L’obiettivo del volume è un’analisi a tutto tondo della fitotoponimia finora raccolta in Valle di Susa nel corso delle inchieste di campo promosse dall’ATPM. L’analisi dei nomi collazionati è ripartita in due parti: la prima è dedicata alle manifestazioni vegetali “indistinte” (il bosco, il campo, il pascolo), la seconda invece alle diverse piante. L’analisi linguistica mira a dar conto dell’etimologia dei diversi fitonimi vegetali registrati, oltre che la loro distribuzione areale, e della struttura morfo-sintattica del toponimo; lo studio è inoltre arricchito da una breve descrizione della pianta e del suo habitat; viene anche valutato se il fitotoponimo compare in una zona in cui la specie può essere diffusa. Nel capitolo conclusivo la dottoressa ragiona sulle cause che hanno portato alla creazione di fitotoponimi e sulle loro funzioni nella descrizione e nell’organizzazione del territorio. Si tratta di una lettura interessante per approfondire il complesso rapporto uomo e ambiente, a partire dai nomi dati ai luoghi.

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Bibliografia

  • AA.VV., Atlante geografico del Piemonte, Regione Piemonte, Torino, 2008.

  • ATPM 5 = Atlante Toponomastico del Piemonte Montano. Chianocco, area francoprovenzale. Edizioni dell’Orso, Alessandria, 1995.

  • Cusan, F., Parola alle piante. Saggio di fitotoponomastica di una valle alpina, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2020.

  • Gasca Queirazza, G. et alii, Dizionario di Toponomastica. I nomi geografici italiani. Utet, Torino, 1990.

  • Olivieri, D., Dizionario di toponomastica piemontese, Paideia, Brescia, 1965.

  • Papa, E., I fitotoponimi come chiave di lettura delle trasformazioni del paesaggio naturale piemontese, in Rossebastiano A. (a cura di), Da Torino a Pisa, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2006, pp. 91-119.

  • Papa, E., Riflessi toponomastici dell’ontano in Piemonte, in Rossebastiano A. (a cura di) Da Torino a Pisa, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2006, pp. 199-228.

  • Papa, E., La fitotoponomastica come memoria del paesaggio: esempi piemontesi, in Gallo Barbisio C. et alii (a cura di), Il dialogo con il paesaggio, Tirrenia Stampatori, Torino, 2006, pp.187-197.

  • Papa, E., Faggi e faggete nelle denominazioni di luogo piemontesi, in Papa E. (a cura di), Da Torino a Bari. Atti delle Giornate di Studio di Onomastica, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2007, pp. 177-198.

  • Papa, E. Il bosco nella toponomastica del Piemonte, in AA.VV., Atti 11a Conferenza Nazionale ASITA (Torino, 6-9 Novembre 2007).

  • Pellegrini, G.B., Toponomastica italiana. 10000 nomi di città, paesi, frazioni, regioni, contrade, fiumi, monti, spiegati nella loro origine e storia, Hoepli, Milano, 1990.

  • Rossebastiano, A. La betulla nell’onomastica del Piemonte, in Rossebastiano A. (a cura di), Da Torino a Pisa. Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2006, pp. 173-175.

  • Rossebastiano, A. Onomastica e vegetazione in Piemonte, in Papa E. (a cura di), Da Torino a Bari. Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2007, pp. 153-176.

  • Serra, G., Tracce del culto dell’olmo e del tiglio nella toponomastica e negli usi civili dell’Italia Medioevale, in Id., Lineamenti di una storia linguistica dell’Italia medioevale, Liguori, Napoli, 1954, pp. 239-256.

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