Per grazia ricevuta

La bellezza segreta degli ex voto, espressione popolare di tragedie scampate

Umberto Ledda
Umberto Ledda

È nato nel 1982 in provincia di Cuneo, ma vive e lavora a Torino. Ha una laurea in lettere e un master in tecniche della narrazione. A lungo ha lavorato nell’editoria, come redattore e editor, ma a saggi e romanzi preferisce le storie dei funghi, dei boschi e delle stagioni, e le fiabe per spaventare i bambini cattivi.

  

Memorie ingenue e drammi mai avvenuti

È facile ignorare gli ex voto, ed è altrettanto facile riderne: anche se si frequentano le chiese, anche se si è credenti. Riposano nelle piccole cappelle delle valli e delle campagne, malinconiche e sempre chiuse, alla soglia dell’abbandono: per vederli occorre affacciarsi alle finestre, schermandosi il volto con le mani per scorgerne le sagome nella penombra. Oppure nei grandi santuari, ma allora abitano le sale discoste e polverose, lontane dal calpestio dei fedeli: alla Consolata di Torino, che ne ospita in Piemonte forse il maggior numero, sono relegati ai corridoi e alle aree destinate alle confessioni. Sono invisibili al pellegrino distratto.

Tappezzano corridoi e sacrestie, tutti identici per dimensioni e struttura: quadretti sgraziati e ingenui, dipinti perlopiù da pittori senza ispirazione né tecnica. D’altra parte, non vogliono essere arte: non sono stati concepiti per la bellezza o la riflessione né per esprimere la creatività di chi li ha creati, ma solo per ricordare un breve istante di realtà. Rappresentano, senza elaborarlo, un mondo ingenuo che allo sguardo disilluso dello spettatore odierno appare ridicolo e doloroso al tempo stesso, imbarazzante: come quando, da adulti, ascoltiamo raccontare delle nostre imprese infantili, di cui andavano un tempo così fieri, e ne proviamo disagio.

Sono anche tristi, e malinconici: non rappresentano altro che infelicità e disgrazie. Peggio: rappresentano disgrazie prive dell’aura epica e conturbante della tragedia, perché il caso (o la divinità cui si è fatto il voto) ha risolto la crisi in un lieto fine. E così rappresentano eventi che non ci sono stati per un pelo, drammi mai accaduti, paure non concretizzate: il fucile che spara per sbaglio senza colpire nessuno; la frana che sfiora l’automobile senza travolgerla; il trattore che si ribalta lasciando illeso il manovratore. Non raccontano una storia se non quella di un’intercessione divina che appare, anche al credente, più affine alla superstizione pagana che non alla dottrina cattolica.

Compagni di viaggio

Gli ex voto sembrano sepolti dalla Storia e dalla modernità, traccia infinitesimale di un mondo perdente e obsoleto; eppure ancora non vogliono morire: e ci accompagnano da molto più tempo di quel che crediamo. Sono compagni di viaggio secondari ma fedeli, espressione diretta del nostro bisogno di non sentirci soli in un mondo pericoloso e insensato.

Esistevano nel mondo classico, ben prima dell’avvento di Cristo: le tabellæ pictæ romane, le terrecotte etrusche che rappresentavano le parti del corpo scampate alla malattia. E sono percolati con naturalezza nel mondo cristiano, sotto molte forme, prima di assumere nel Quattrocento quella attuale di piccoli dipinti rappresentanti una tragedia evitata. In questo lungo viaggio non hanno perso la loro natura pagana: semplicemente agli dèi precristiani si è sostituito lo sterminato calendario dei santi. E così, lungi dall’essere uniformi in tutto il mondo cattolico, si sono adattati ai culti locali e specifici, più radicati e sentiti a livello popolare: nelle valli del Piemonte si onorano i santi leggendari della legione tebea, da Magno a Costanzo a Maurizio; nel capoluogo Maria la Consolatrice (che i fedeli, nella loro empatia, hanno accostato a sé e alle proprie sofferenze mutandole il nome in Consolata). E forse non è un caso che il culto torinese degli ex voto abbia come epicentro il santuario più antico dell’area: la Consolata è stata eretta sui resti di una chiesa del V secolo a sua volta costruita verosimilmente sui resti di un tempio romano; la terra su cui sorge è considerata sacra fin dall’era pagana, senza interruzioni.

Ex voto del santuario della Consolata.
Ex voto del santuario della Consolata.

Non sono arte, gli ex voto, e di sicuro non sono belli. Ma sono un’espressione intima, per quanto pubblica, del dolore e del sollievo: e questo dà loro qualcosa di eterno. Spesso, inaspettatamente, accanto ai quadretti ottocenteschi compare la fotografia di un furgone smembrato o di una cicatrice ricucita, di un neonato intubato o di un militare in missione in Afghanistan: gli ex voto sono condannati dalla modernità ma per ora si rifiutano di svanire, aggrappati all’animo umano e ai suoi istinti profondi.

Il mondo dei vinti

Attraverso la lente patetica e intima delle vicende personali, si intravede la Storia: ma è la Storia vista dalla prospettiva più bassa, quella dei perdenti e degli inermi. Gli ex voto sono l’espressione di chi, per salvarsi dal procedere ineluttabile delle cose, sente di non poter contare su altro che sulla divinità: contadino o borghese, comunque passivo di fronte ai meccanismi del mondo che muta e travolge gli individui.

La Storia, negli ex voto, è un pericolo incombente, una minaccia senza volto, senza contesto e senza motivazioni. I bombardamenti su Torino della Seconda guerra mondiale si riducono, alla Consolata, a una cieca pioggia di bombe su un condominio: finito il bombardamento, e scampato il pericolo, i condomini raccoglievano il denaro per fare dipingere l’ex voto e ringraziare il cielo che li aveva risparmiati. Allo stesso modo il dopoguerra è il bambino che gioca con gli ordigni inesplosi, e se la cava quando gli esplodono in mano. La ritirata di Russia è un mondo bianco e battuto dal vento, in cui il soldato si muove come se non sapesse il motivo per cui si trova ad affrontare il freddo e la solitudine: la guerra stessa assume il profilo di una delle tante inevitabili tragedie della vita.

Più che la Storia emergono, nell’interminabile casistica degli ex voto, gli aspetti più trascurabili del mondo: la vita dei vinti e degli irrilevanti, le loro priorità e i loro valori. Nulla che abbia importanza, in fondo, se non ai fini della ricerca storica e antropologica: eppure è un segmento di esistenza che non possiamo raggiungere se non attraverso testimonianze come queste. Si aprono, attraverso le finestrelle tutte uguali degli ex voto, piccoli paesaggi di una quotidianità che non è mai stata rappresentata altrimenti, proprio perché banale e priva di interesse. Il rozzo quadretto di un uomo che si tuffa per salvare il vitello, rischiando di annegare a sua volta, racconta un mondo in cui un capo di bestiame vale il rischio della vita. Il ragazzo travolto dal camion camminando con la zappa in spalla, mentre un sole giallo sorge dalle montagne, racconta la lunga marcia quotidiana verso il lavoro. E il transatlantico che cola a picco, inaspettatamente ricorrente in Piemonte così come in molte altre aree montane o comunque lontane dal mare, racconta il sogno comune di una fuga verso un altrove ignoto ma presumibilmente non peggiore del qui e dell’ora.

Campionario innumerevole delle umane esistenze

Gli ex voto, a prima vista, sono tutti uguali. Uguale è la struttura: una piccola rappresentazione della scampata tragedia, vista attraverso il suo istante di massimo pathos, corredata in un angolo dall’immaginetta (spesso stampata e incollata) della Madonna o del Santo, tipicamente circondata da un alone di nuvole per figurare il cielo, nell’atto di sancire la grazia. Le dimensioni sono, salvo casi eccezionali, uniformi. Uguali e universali, infine, sono i temi. Gli ex voto parlano di malattie superate, guerre da cui si è tornati illesi, incidenti finiti in un nulla di fatto, disastri naturali che hanno risparmiato la persona, la casa o il bestiame. Macrocategorie che si diramano in una moltitudine di categorie minori, a loro volta ricorrenti fino alla monotonia: l’operazione chirurgica, il letto del malato, la bici nel fosso, l’investimento da parte di un carro, di un’automobile, di un tram, la rissa, l’incidente di caccia, la caduta da un albero o dalle scale, i rastrellamenti dei tedeschi e i bombardamenti alleati, l’alluvione che sradica i ponti, l’esecuzione scampata, il macchinario che divora l’operaio. Eccetera: ed è quasi paradossale che si possa procedere all’infinito. L’evidente, estenuante uniformità della rappresentazione si rifrange in una varietà di singole situazioni di cui è difficile rendere conto. Gli ex voto sono un interminabile casellario delle vite e delle possibilità di morire, un’infinita variazione su pochi temi fondamentali, un caleidoscopio in cui pochi elementi compongono, nel vorticare del caso, una varietà potenzialmente infinita. Sono, nel loro piccolo, un inconsapevole affresco dell’umanità, senza tentativi di sintesi o di razionalizzazione: come una mappa in scala uno a uno per descrivere i territori della nostra finitezza e delle nostre speranze.

Più di cent’anni fa, Edgar Lee Masters fece qualcosa di simile con l’Antologia di Spoon River: raccontò una comunità, e un mondo, attraverso le storie dei singoli individui che lo componevano. Così come Spoon River va letto nel suo insieme, nell’intrecciarsi e nel reciproco chiamarsi di storie individuali apparentemente comuni, anche gli ex voto andrebbero forse visti come un campionario, come una monumentale opera collettiva senza un progetto né un centro: sollevando il punto di vista, allontanando lo sguardo, nulla sembra più rozzo o ingenuo, così come passano in secondo piano le questioni artistiche e culturali; emerge al loro posto il ritratto di un’umanità fragile e dolente, aggrappata alla speranza di scampare alle presenti disgrazie per poter affrontare quelle future.

La variabilità delle storie

Le storie individuali, in questo mare, diventano frammenti mutevoli, che colpiscono l’occhio ma subito si perdono. A Garzigliana, in provincia di Torino, un piccolo ex voto mostra una moltitudine di bruchi bianchi su campo verde, nient’altro: forse un bachicoltore riuscì a salvare le larve da qualche calamità, o forse un agricoltore salvò i campi dalle larve. Non è dato saperlo. A Santa Rita, a Torino, un quadretto del 1937 ritrae con la consueta, goff a ingenuità un calciatore sul campo, in maglia bianconera; l’iscrizione riporta "Depetrini Teofilo F.C. Juventus": perché dopo un lungo periodo di panchina, impossibilitato a scendere in campo da problemi fisici, si era ristabilito conquistandosi un posto di titolare. Sempre a Torino, ma alla Consolata, un quadretto insolitamente articolato si divide in trittico come una pala d’altare. Le tre scene vedono il miracolato ferito e imprigionato della Conca di Tolmino, nel 1916, vittima di un congelamento nelle miniere di Zimmerwald nell’inverno del 1917 e infine rimpatriato qualche mese dopo dal campo di prigionia di Mauthausen: una piccola epopea dimenticata. Presso il santuario della Madonna del Boden, nel Verbano, un quadretto del 1945 mostra una scena perfettamente simmetrica, che intorno alla foto centrale di due ragazzi mostra ai lati, speculari, due navi che colano a picco e due baracche di lager: due fratelli marinai, entrambi silurati e naufraghi, entrambi prigionieri in Germania, entrambi tornati sani e salvi.

I pittori di ex voto

Spesso la monotonia pittorica degli ex voto diventa straniante: pareti intere di quadretti identici, la madonna o il santo in alto a destra, perfettamente sovrapponibili gli uni agli altri, e al centro della scena una schiera di camere operatorie (o di letti, o di gente che prega) altrettanto identiche, in file ordinate e geometriche. Perfino la firma, a volte, è identica: perché ogni santuario aveva i suoi pittori e i fedeli erano molti; le loro magagne in fondo sempre uguali, e per riuscire a guadagnarci qualcosa bisognava dipingere molti ex voto in poco tempo. Si poteva fare: nessuno pretendeva che il pittore possedesse tecnica e cura del dettaglio.

La Galleria degli ex voto nel Santuario d'Oropa.
La Galleria degli ex voto nel Santuario d'Oropa.

Alla Consolata di Torino, nel primo Novecento, molti erano i pittori che smaltivano le richieste incessanti dei miracolati: per accelerare i tempi la madonnina era prestampata e veniva incollata sul quadretto a fine lavorazione; prestampata era anche la struttura degli ex voto più classici. Al momento della commissione il pittore si faceva spiegare la natura del miracolo, poneva domande sul contesto e poi, preso uno dei prestampati, aggiungeva dettagli e personaggi perché il committente se ne sentisse rappresentato, colorava la tavoletta e vi apponeva l’immagine della madonna: un confessore laico e al tempo stesso un abile mestierante. Nelle province la standardizzazione era meno evidente, ma ogni santuario aveva i suoi pittori (o le sue pittrici: nella seconda metà del Novecento operava nel Saluzzese Lucia Ferrone) e ogni pittore la sua mano e le sue tecniche: osservando le gallerie stipate di quadretti, ancora una volta, sembra di assistere all’imprevedibile monotonia di un caleidoscopio.

Bellezza

In un racconto del 1941, Jorge Luis Borges proponeva di disancorare la critica letteraria dalla realtà e dalla storia, trasformandola in un esercizio di pura libertà attraverso la

tecnica dell’anacronismo deliberato e delle attribuzioni erronee. Questa tecnica, dalle infinite applicazioni, ci invita a considerare l’Odissea come se fosse successiva all’Eneide. […] Questa tecnica popola di avventura i libri più placidi. Attribuire a Louis-Ferdinand Céline o a James Joyce l’Imitazione di Cristo non basterebbe a dare nuova vita a questi blandi consigli spirituali?

Gli ex voto sono brutti e poveri, carenti di tecnica e di ispirazione. Non sono concepiti per essere belli, ma per costituire un contratto tra il singolo e la divinità: una certificazione di gratitudine. Considerarli sotto il profilo artistico è una forzatura crudele, eppure proprio in questa forzatura si nasconde una forma di bellezza. Per coglierla occorre dimenticarsi della reale natura delle tavolette votive per immaginarle come una forma d’arte, sì, ma strana e segreta, di un genere nuovo e mai esistito che sta da qualche parte tra il primitivismo e il sogno.

Allora l’inconsistenza tecnica diventa astrazione e la materialità delle scene descritte assume i contorni della fantasia. Le città degli ex voto, rappresentate senza rispetto delle tecniche prospettiche, diventano spazi incongrui, dove le strade si avvitano su se stesse e si chiudono insieme alle fauci di un tram su una minuscola figura umana. Le vacche travolte da una frana stanno danzando insieme un ballo sfrenato e gioioso, insieme al mandriano, avvolte in una nebbia color terra: sono felici di essere salve. E il bambino che cade dall’albero, stagliato contro l’azzurro del cielo in una goffa immobilità, non cade, anzi: ha appena scoperto, dopo aver messo il piede in fallo, di poter volare sopra le campagne, eternamente libero dai dolori e dalle tragedie dell’esistenza.

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Bibliografia

  • Avondo G.V. e Bertone E., Grazia ricevuta. Eventi storici e popolari nelle espressioni di fede degli ex voto nelle Alpi centro-occidentali, Scarmagno, Priuli & Verlucca editori, 2010.

  • Grimaldi R., Cavagnero S.M., Gallina M.A., Gli ex-voto: arte popolare e comportamento devozionale, Torino, Consiglio regionale del Piemonte, 2015.

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