Per tracciare il lungo percorso della storia del design in Italia possiamo tessere un filo rosso che collega l’esigenza della creazione di scuole di formazione professionale dei primi anni del Novecento, tra le quali spicca, soprattutto, la scuola-laboratorio di arte applicata all’industria, affacciata con le sue altre simili, sui chiostri di via San Barnaba a Milano, all’Università delle Arti decorative, inaugurata a Monza il 12 novembre 1922, rinominata ISIA nel 1929 e ubicata negli ampi luminosi spazi, e in parte del giardino, della Villa Reale.
Queste esperienze hanno un nucleo comune che possiamo identificare nella ricerca di metodi didattici innovativi focalizzati sul rilancio delle arti applicate. Milano si proponeva, infatti, come un centro audace, attento alle necessità della società, ove l’arte non era più percepita come un’azione creativa avulsa dal contesto contemporaneo, ma prendeva le connotazioni materiali di lavoro e comunicazione, abbattendo quella barriera secolare posta tra arti maggiori e arti minori. Ma anche il Piemonte ebbe un ruolo importante, anche grazie alla figura di Nino Di Salvatore.
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In quegli anni gli artisti, soprattutto i più giovani, progredivano verso una rielaborazione di ciò che, da sempre, era considerato come assoluto, sino ad approdare ai principi di autenticità e di ritorno alla centralità dell’individuo alimentando una rivoluzione artistica capace di occupare tutti gli spazi pubblici, compreso quello delle istituzioni scolastiche. Sono proprio queste volontà che incrementano lo sviluppo progressivo delle Biennali, poi Triennali, considerate ancora oggi tra le più importanti esposizioni e manifestazioni del design.
Nel 1951 fu la riforma Gonnella a confermare l’importanza degli Istituti di arti applicate introducendo, dopo un percorso di tre anni, il diploma di maestro d’arte. Negli anni Sessanta poi, gli ISIA sarebbero stati ufficializzati a livello ministeriale. È in questo felice ambito di nuovi fermenti artistici che opera una figura poliedrica e moderna come quella di Nino Di Salvatore.
Nato a Pallanza, in provincia di Verbania il 27 giugno 1924, Nino frequenta la Scuola Superiore di Belle Arti Beato Angelico di Milano. Nel 1947 esegue i suoi primi dipinti astratto-geometrici, appassionandosi così alla corrente che sperimenterà durante la sua intera carriera. L’anno successivo aderisce al MAC, Movimento di arte concreta, alle cui mostre parteciperà per la durata di tutta la vita, a partire dai primi anni Cinquanta. In questo periodo Di Salvatore presenzia alla rassegna Esperimenti di sintesi delle arti a Milano con Munari, Prampolini, Reggiani, Veronesi, Nigro e Rho, e alla rassegna Arte astratta e concreta in Italia alla Galleria d’Arte Moderna di Roma con Burri, Crippa, Fontana e altri.
Nel 1951 pubblica Dieci incisioni originali di Di Salvatore con l’Editore Salto di Milano e, sempre nello stesso anno, inizia la sua partecipazione quinquennale al Salon de Réalités Nouvelles di Parigi, che si concluderà solo nel 1955. Nel 1952 inaugura la prima mostra personale alla Galleria Bergamini di Milano e partecipa a una delle prime esposizioni di arte cinetica con Munari. L’anno seguente prende parte alla II Biennale internazionale di Arte Moderna di San Paolo del Brasile con i maggiori artisti internazionali, tra questi Robert Delaunay, Calder e Soldati.
Nel 1954 espone alla X Triennale Internazionale di Milano, e nel 1956 il Gruppo Concretista giapponese lo invita a contribuire alla Mostra dei Movimenti Moderni, allestita prima a Kyoto, poi a Tokyo. Negli anni Sessanta la sua produzione artistica si amplia, partecipando alla realizzazione di due film: Archetipo oggettivo 1966 e Commento a Punto, linea e superficie di Kandinsky.
Nel corso della sua carriera Di Salvatore si è dimostrato un personaggio innovativo e contemporaneo, in grado di sapersi spostare con agilità dal proprio Paese a quelli più lontani, ed esponendo, così, nei luoghi più diversi, tenendosi di continuo aggiornato sulle novità artistiche globali. Questo suo eclettismo culturale lo porterà a partecipare ad alcune tra le più importanti esposizioni sia in Italia, ad esempio le Triennali internazionali di Milano tra il ’54 e il ’57, che all’estero, come testimonia l’esperienza a Zurigo nel 1989, con una prima esposizione, e nel 1991, con l’inaugurazione di una personale, o a Grenoble, Linz e Vicenza ove espone in tre mostre antologiche nel 1992.
Una delle esperienze che più ha segnato il pensiero di Di Salvatore è sicuramente l’adesione, fin dagli anni giovanili, al MAC e la conseguente partecipazione alle diverse esibizioni del movimento. Il MAC viene fondato a Milano dopo la Seconda guerra mondiale da diverse personalità di artisti, tra i quali pittori, fotografi, scultori e designer. Il nome si ispira a una concezione di concretezza legata alle intuizioni di Kandinskij, Arp e Theo van Doesburg, secondo le quali l’artista crea forme non prelevate direttamente dal mondo reale, ma che provengono dal mondo interiore e intuitivo presente nelle proprie personali conoscenze. Le opere, prevalentemente geometriche, sono visioni rese concrete e trasportate da un universo irreale a uno fisico.
Di Salvatore durante il suo lungo e particolare percorso artistico individua in parte in questa concezione, ma soprattutto nella psicologia della Gestalt la sua maggiore fonte di ispirazione. Sono proprio questi nuovi principi, infatti, che lo portano ad approcciarsi alla filosofia del Bahaus, così intimamente connessa con le proprie intuizioni e il proprio pensiero.
Il Bauhaus, letteralmente “casa del costruire”, nasce a Weimar nel 1919 per idea dell’architetto Walter Gropius. È proprio in questa piccola città tedesca che mantiene la sua sede sino al 1925, trasferendosi poi a Dessau sino al 1932 e successivamente a Berlino sino al 1933, anno in cui sarà costretta a chiudere a causa dell’avvento del nazismo. La caratteristica innovativa che contraddistingue questa corrente è l’intenzione di unificare l’artigianato e le nuove tecnologie, adottando uno stile minimalista basato sulle forme geometriche.
Il fulcro principale del Bauhaus è il Gesamtkunstwerk (“opera d’arte totale”) ideale in cui convergono tutte le discipline artistiche (architettura, pittura, scultura, design, teatro, decorazione), fondendosi nelle loro diversità in un’unica opera d’arte omnicomprensiva, capace di trasmettere l’idea di universalità. Possiamo ricordare diversi artisti appartenenti a questo movimento che hanno esercitato una forte influenza nella storia dell’arte contemporanea, come Hannes Meyer, Ludwig Mies van der Rohe, Johannes Itten, Paul Klee e Vasilij Kandinsky.
Ispirandosi alle idee trasmesse dal Bauhaus, Di Salvatore si interesserà alla didattica con la fondazione, nel 1949 a Domodossola, della Scuola Superiore di Belle Arti, primo esperimento di diffusione dei caratteri principali del movimento. La scuola sarà trasferita poi, nel 1954, a Novara con la denominazione di Centro Studi Arte/Industria e diverrà la prima scuola italiana di design, sulle orme già sperimentate dal Bauhaus. Qui Di Salvatore impone un metodo critico, secondo il quale il designer viene a delinearsi in una ben precisa posizione, congrua con i rapporti che intercorrono tra industria e arte.
Secondo i concetti introdotti dalla nuova corrente il designer si presenta in una veste professionale polivalente, la cui azione non si esaurisce nel lavoro eseguibile in ambito industriale, ma si proietta anche verso sfere produttive diverse quali, ad esempio, l’arredamento, il settore tessile e la pubblicità. Il designer appare, pertanto, quale figura professionale non subalterna a quella dell’industriale committente, ma sua parallela, che svolge un lavoro paragonabile a quello dello scienziato, tramite l’acquisizione di una serie di competenze che comprendono al pari della teoria e della pratica, la tecnica.
Secondo quest’ottica il compito della scuola è quello di trasmettere un’educazione alla conoscenza oltre che un’educazione creativa, in modo da favorire una cultura universale utile non solo nel proprio Paese, ma anche nel resto del mondo. Usciti dalla scuola di design di Novara gli alunni potranno, dunque, visualizzare gli oggetti nelle loro differenti caratteristiche di forma, materiale e colore, e potranno procedere alla ricerca applicata al fine della progettazione e realizzazione del prodotto.
Studenti alla Scuola di Design di Novara.
Lo scopo di Di Salvatore e del suo stesso metodo era quello di svincolarsi dalle riforme scolastiche italiane e dalla semplice educazione legata al territorio, per procedere verso una nuova avanguardia in grado di fornire strumenti ulteriori, non soltanto relativi alla mera qualifica professionale. I corsi portavano allo sviluppo della capacità di gestire una molteplicità di situazioni, tecniche e di laboratorio, rivalutando in questo modo la categoria delle arti applicate e rileggendola sotto un aspetto più attivo e globale.
Gli insegnamenti prevedevano l’apprendimento del design nelle sue tre diverse diramazioni: Industrial Design, per disegnatori e progettisti industriali, Visual Design, per chi si occupava di arti visive e pubblicità, Graphic Design, per artisti e tecnici grafici. Tutti i corsi comprendevano sia una formazione pratica che una teorica e si suddividevano in quattro materie principali: teoria e cultura specifica, corsi teorico pratici, esercitazioni e design. Questo metodo didattico era stato elaborato appositamente per permettere lo sviluppo di competenze legate agli ambiti pratico, tecnico e teorico, in modo da consentire allo studente di potersi adattare alle richieste di mercati differenti.
Molte sono state le mostre svolte e le esibizioni cui ha aderito l’Istituto. Ricordiamo nel 1968 la mostra alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Milano, nella quale vennero esposti i risultati raggiunti durante la triennale dai ragazzi appartenenti ai tre principali indirizzi di studio. Essa intendeva presentare ai visitatori l’utilizzo di molte tecniche, alcune antiche e altre moderne atte a incrementare la sperimentazione dei mezzi di comunicazione visiva a livello psichico, percettivo o di pura rappresentazione.
Tra gli studenti che hanno frequentato la scuola possiamo ricordare Anna Sartorio, Luigi Stoppa, Franco Paglino, Corrado Boggero, Marta Quaglia, Angelo Bozzola, Uldino Desuò ma anche alunni internazionali come Carl Jacobson, Gerard Jan van Exel, Joaquim De Barros Marais e altri ancora. Nomi provenienti dai più diversi paesi, a dimostrazione dell’internazionalità acquisita dalla Scuola di Novara.
Lezioni pratiche e teoriche alla Scuola di Design.
Nino di Salvatore corona la sua vocazione didattica nel 1958 con la nomina a membro onorario dell’ADI, Associazione per il disegno industriale. Nel 1970, poi, decide di trasferire la Scuola da Novara a Milano rinominandola Scuola Politecnica di Design, SPD, istituto nel quale insegneranno personaggi del calibro di Bruno Munari e Max Huber, ma anche lo stesso Di Salvatore alla cattedra di Scienza della Visione.
Scienza della Visione è anche il titolo di un volume che Nino inizia a scrivere proprio in questo periodo, nel quale esamina gli elementi principali della percezione visiva confrontandoli con il suo metodo didattico e inserendoli in un contesto colmo di riferimenti che partono dalla Gestalt sino all’approdo ai temi della filosofia estetica e della psicologia contemporanea.
A Milano vengono sviluppati gli ideali già sperimentati a Novara con una visione sempre più metodica e moderna. È proprio per questa sua continua evoluzione che l’SPD ottiene diverse onorificenze e partecipa a svariate mostre, sino a ricevere dall’ADI nel 1994 il Compasso d’Oro per l’importante contributo dato alla storia del design e alla formazione di esperti professionisti, sia italiani che stranieri, in grado di esportare i suoi insegnamenti, anche tramite l’apertura di nuove scuole, in diversi paesi del mondo.
È grazie alle esperienze di Novara e Milano che oggi abbiamo sia una precisa definizione del ruolo del designer all’interno della società, che lo sviluppo di una serie di corsi di laurea basati sui criteri operativi esportati in Italia e rielaborati da Di Salvatore.
Nel 1999 Nino decide di ritornare a dedicarsi esclusivamente alla carriera artistica cedendo la direzione dell’SPD. Scompare all’età di 77 anni il 1° luglio 2001 a causa di un peggioramento delle sue condizioni fisiche, lasciando in Italia un bagaglio culturale e didattico, testimoniato dalle sue molteplici opere d’arte e da quelle dei numerosi studenti da lui istruiti che proseguono la scia dei suoi insegnamenti, modernizzandoli e ridefinendoli in rapporto ai caratteri e alle necessità formative che vanno continuamente evolvendosi in questa nostra realtà contemporanea.