Recupero vittime del caseggiato di corso Regina Margherita 110, incursione del 13 luglio 1943, foto di D. Scrigna. © Sforza M., “La città sotto il fuoco della guerra”, Torino, U. Allemandi & C., 1998.
È una piccola agenda dalle pagine sottili che potrebbe stare in una mano chiusa, scritta con grafia minuta e regolare col pennino e un inchiostro sbiadito dal tempo. Eppure il messaggio che queste righe trasmettono è incredibilmente attuale. La piccola agenda è un diario di guerra e di nuovo la guerra sta imperversando ai confini dell’Europa.
Maledizione congenita nell’umanità di ogni tempo e luogo, la guerra è sempre diversa e sempre uguale per l’inevitabile sequenza di orrori che trascina con sé: morte e violenza di ogni genere, distruzioni, fame e miseria, paura, disperazione, infinite sofferenze fisiche e morali.
Un diario di guerra, nella sua immediatezza e incisività, racconta dunque ciò che soffre chi la guerra la sta vivendo, la paura che impregna ogni pensiero, l’idea della morte che diviene quasi familiare e tutto ciò che la Storia ufficiale lascia sottinteso o accenna appena.
Custodito nel tempo dalla famiglia come ricordo prezioso, questo diario riporta quasi quotidianamente, oltre a notazioni di carattere privato, i fatti che caratterizzano la vita di Torino tra il 1944 e il 1945, gli anni tragici della Resistenza.
Le origini della bagna cauda, gli scioperi delle mondine, gli amori di Cesare Pavese, dai cercatori d'oro sui fiumi biellesi ai gavadur di Ozzano Monferrato passando per la musica occitana nel Cuneese. C'è moltissimo nel decimo numero (ingrandito) di Rivista Savej!
Rivista Savej 10 è nelle edicole delle province di Torino, Biella, Asti, Alessandria e Vercelli, oppure in vendita su questo sito!
Cesare con la sua famiglia è sfollato da Torino come ormai più del sessanta per cento degli abitanti, terrorizzati da bombardamenti sempre più rovinosi. Nella sola notte del 13 luglio 1943 tonnellate di bombe anglo-americane provocano ottocento morti e oltre novecento feriti. Torino brucia, Torino crolla.
Sono fortunati coloro che possono permettersi di sfollare in provincia e, per lavoro, affrontare il quotidiano viaggio di andata e ritorno dalla città. Come appunto Cesare, sfollato a Pinerolo, che però annota con preoccupazione i rischi sempre maggiori di questi viaggi. Non si tratta delle cimici che passeggiano per i vagoni né dell’acqua che vi entra quando piove né della scomodità di trovarsi infilato tra ceste e sacchi nel bagagliaio o pigiato come una sardina perché determinati scompartimenti sono riservati a militari che non ci sono. E nemmeno si tratta del fatto che il treno non riesca a proseguire perché le rotaie sono state divelte durante la notte. Ciò che preoccupa sono invece gli ordigni sui binari, come la bomba del 15 luglio 1944 sulla Torino-Pinerolo, o i mitragliamenti dei vagoni in corsa o gli allarmi che costringono i passeggeri a gettarsi dal treno per nascondersi non si sa dove.
Che triste giornata! 6 allarmi. 3 volte fuggiti dal treno! Mitragliati! Nascostici sotto un ponticello. Impossibile continuare! Pericoli e pena indescrivibili!
A Torino in treno sotto gli allarmi è uno spasimo. Vagone tutto bucherellato. Avanti alla macchina c’è il carro-scudo.
E poi la situazione peggiora. Vengono minati e fatti saltare tutti i ponti.
[…] Occorrono 2 trasbordi e il passaggio sul ponte a 15 metri dalle acque limacciose e vorticose, senza appoggio, salterellando le traversine dei binari, è un momento terribile, spaventoso. Tanti si fanno accompagnare dai soldati. Io sudavo freddo. Temevo di svenire in mezzo al ponte! Al ritorno […] 5 ore e mezzo di viaggio da Torino a Pinerolo. Si può continuare così? Tram – posto di blocco – camion scoperto – freddo da morire – (polmoniti in vista) – poi a piedi e infine da Piscina su un carro lento lento…
E infine:
Non c’è più il treno per Pinerolo.
Quindi bisognerà ricorrere a mezzi di fortuna o agli autocarri presi d’assalto dagli sfollati giornalieri. Non è la prima volta per Cesare. Ha già viaggiato su un carro di letame e uno di maiali, su uno di acido solforico e uno di dinamite.
Al posto di blocco in mille ad attendere un mezzo qualunque. L’assalto ai posti è furibondo. Ci hanno sparato per fermarci. Dopo 4 ore di attesa e sotto gli allarmi.
Ma ora si avvicina l’inverno, la situazione politica si fa sempre più preoccupante e, non potendo fare diversamente, egli pensa seriamente di tornare a Torino per essere vicino al posto di lavoro. Per ironia della sorte, in un periodo in cui appunto il lavoro soffre una crisi durissima a causa della guerra, quello di Cesare ne resta indenne. Gestisce una agenzia immobiliare e sono molti i Torinesi che decidono di vender casa o acquistarne una in provincia perchè sembra più sicura. Dunque il lavoro non manca. Ciò che manca è tutto il resto.
Mancano i francobolli – il sale – lo zucchero – l’olio – il burro – gli spiccioli ecc. ecc.!
Nevica, fa tanto freddo. Non abbiamo neanche un po’ di legna per riscaldarci o per la cucina.
Il freddo è intenso. Manca la legna. Spoliazione dei puntelli nei rifugi e degli ostacoli al galoppatoio, delle piante nei boschi in collina. Per noi hanno spaccato il ceppo. Mamma si è portata a casa un po’ di legna.
[…] i topi rovinano tutto. Non ci sono più gatti. Li mangiano e vendono la pelle. Abbiamo voltato e rimosso noi i sacchi di farina.
[…] Ho comprato una tessera per il tabacco. Mille lire. Con il tabacco si compra il latte, il burro, tutto.
[…] Con una scatola di sigarette abbiamo avuto un litro di latte. Dopo 16 mesi caffelatte per cena. Che buono!
[…] Manca il gas, la luce, la forza. La legna è cattiva, quando si ha la fortuna di trovarne. Il pranzo mai cotto. Gli occhi piangono per il fumo e sono infiammati.
Con la notte cala un buio cieco, assoluto. È l’oscuramento. Nemmeno qualche lampada schermata. La guerra è anche questo buio e questo vasto silenzio a volte interrotto da raffiche che echeggiano lontane o da spari vicini che gelano il sangue.
Intanto le incursioni aeree con ripetute distruzioni di impianti e strutture causano la drastica riduzione dell’erogazione di energia da parte della SIP (Società Idroelettrica Piemonte) e dell’AEM (Azienda Elettrica Municipale). Alle offese belliche – particolarmente violente quelle delle bombe dirompenti e degli spezzoni incendiari del luglio-agosto 1943 che colpiscono anche l’Italgas – vanno aggiunti gli atti di sabotaggio dei partigiani. E con le interruzioni continue e sempre più prolungate di ogni forma di energia, tra razionamenti e scarsità crescente di qualsiasi genere alimentare, risulta chiaro a tutti quanto sia impossibile un ritorno alla normalità. Il ricorso alla borsa nera, dove si trova ciò che è ormai indispensabile, è fondamentale. Ma è cara e non tutti e non sempre possono accedervi.
La cugina Angela all’ospedale per esaurimento conseguente a denutrizione, in pericolo di vita. Si atteneva alla tessera con scrupolosità. Non si legge la lettera della figlia Franca senza sentirsi le lacrime agli occhi.
[...] il sarto mi restringe i vestiti. Abbiamo perso tutti dai 10 ai 20 e più chilogrammi.
Il 7 novembre 1944 Cesare con la famiglia ritorna a Torino, sia pure tra dubbi e paure. Il treno Torino-Pinerolo non c’è più. Il timore è che la situazione in città sia peggiore che in provincia, dove per altro la guerra imperversa tra attentati partigiani, rappresaglie nazifasciste e deportazioni in Germania.
Oltre che alla guerra contro i “Ribelli”, dal periodo febbraio-marzo 1944 il Regime deve far fronte anche all’agitazione nelle fabbriche. Le rivendicazioni sono di carattere economico ma non mancano certo quelle politiche. E la risposta alla protesta, in accordo coi tedeschi, è la deportazione in Germania. Altro che “politica della mano tesa” propugnata dal segretario federale Solaro. Il 20 marzo parte un convoglio per Mauthausen con molti dei 150 operai arrestati dopo gli scioperi.
Attacchi e sabotaggi partigiani da un lato, e dall’altro – come rappresaglia – impiccagioni, fucilazioni e deportazioni nazifasciste sono la costante drammatica in questa guerra civile. I fascisti, come per legittimarsi agli occhi dei tedeschi che detengono in realtà il potere decisionale, si ritagliano un ruolo di vendicatori: il compito di stanare, perseguire e annientare il nemico.
Tra i continui riferimenti alle atrocità che vengono commesse, Cesare annota le 27 vittime del Pian del Lot, sul colle della Maddalena (prigionieri prelevati dalle carceri e fucilati il 2 aprile 1944 in seguito ad un attacco partigiano a Caluso) e i 41 prigionieri delle Nuove di Torino, anch’essi fucilati per rappresaglia a Giaveno il 26 maggio 1944.
Il 15 giugno inizia un nuovo sciopero operaio contro il trasferimento di macchinari in Germania.
A Torino non si lavora. Gli operai sono scappati. Si rimuovono i macchinari per portarli in Val d’Adige. Passano lunghe colonne di automezzi carichi di macchinari… A Genova […] operai dell’Ansaldo sono stati presi nei rifugi e chiusi in treni piombati. Dove andranno? Si dice lo stesso della Fiat e di altri stabilimenti. È caccia all’uomo ormai. Macchine, uomini, raccolti. Deportazione generale…
Oggi a Pinerolo rastrellamento. Cinque camion di deportati. Che scene! Uomini fuggenti. I boschi pieni di persone nascoste. Ho avuto anche io tanta apprensione.
I rastrellamenti, vera caccia all’uomo, avvengono soprattutto nei luoghi di provincia “infestati” dai “ribelli”, zone verso le colline e la campagna dove operano bande partigiane. Gli arrestati, nella migliore delle ipotesi, vengono reclutati a forza e spediti in Germania per essere utilizzati come lavoratori. La Germania ha bisogno di macchinari, distrutti dai bombardamenti nemici, e anche di lavoratori. Ma ben pochi hanno voglia di partire per la Germania. Provvedono i tedeschi con i rastrellamenti.
È giugno, la stagione è favorevole ma in Torino l’approvvigionamento di frutta e verdura non arriva ad un quarto del necessario. Rapporto analogo per le altre merci. I prezzi aumentano e la carenza di ciò che è basilare sta portando alla fame, o meglio la peggiora. Senza mercato nero è impossibile tirare avanti. A Torino un aiuto viene dalla municipalità con la “mensa per i malati poveri” e dalla prefettura con le sette “mense di guerra”, frequentate ogni giorno da otto-novemila persone, dove con 15 lire si può avere un pasto.
“[…] A Pinerolo le minestre popolari a 2 lire” precisa Cesare (25 luglio 1944). E il pane? Il pane c’è quando c’è. In cambio si ha farina di granoturco.
[…] E che coda per averlo… quando si può avere! Alle 6 davanti al negozio.
[…] Il pane ha tutti i colori di tutte le miscele. Crusca, meliga, carruba, ecc. ecc.
Non è da escludere anche un po’ di segatura. Così pure il caffè, che è una mistura tostata di segale, orzo, fichi, ghiande, cicoria, fagioli… Certo non è caffè e non è il caso di chiedere se sia buono: è una broda scura che però scalda lo stomaco.
In ogni caso, con l’arte di arrangiarsi, si supplisce almeno a qualcosa di ciò che manca. Ad esempio mancano lana e cotone, ma si può ricorrere a tessuti autarchici come viscosa e raion, ottenuti dalla cellulosa. Si rivoltano i cappotti, si tingono e recuperano i vestiti smessi e si allungano o si accorciano o si stringono a seconda delle necessità. Difficilmente si allargano…
Si conciano eleganti pellicce di lapin, che altro non sono che le pelli dei poveri conigli di allevamento. Opportunamente adattate, passeranno da madri a figlie e nipoti… E si sferruzzano insieme lane di tutti i colori ricavate da vecchie maglie sfatte che diventano guanti e calzettoni e maglioni contro il freddo dell’inverno. E sarà davvero durissimo l’inverno 1944.
Una settimana dopo il suo arrivo a Torino, Cesare scrive:
[…] In casa siamo senza mobilio e senza masserizie. Ci stiamo sistemando pian piano. Quasi al buio. Casse per sedie. Vecchie tende servono a tutti gli usi: tappeti – scendiletto – paraluce – uso vetri – copriletti ecc. Come dei soldati, ci arrangiamo. Per quanto? Per sempre? È quello che vedremo.
In seguito le annotazioni diventano sempre più preoccupate:
Abbiamo aeroplani sulle teste. Tornare in cantina? Per essere sepolti vivi? Ci mancano i cuscini. Soluzione di ripiego. Fatti due letti con tavolati di legno. I vicini sfollati ci hanno prestato un pagliericcio. Una famiglia vicina una catalogna. Noi dato robe nostre ad altri, tutto così.
Fa freddo! Per prendere un libro nell’altra camera mi prendo mantellina e cappello. Frattanto tutte le piante dei viali vengono barbaramente mutilate.
Quinto Natale di guerra! Freddo, neve, soli in casa! Non uno spalatore in tutta Torino.
Poca legna di 3 anni fa. Niente carbone. Vetri rotti. Impossibile trovare combustibile. Undici gradi sottozero! In questo momento è scoppiata una bomba!
[…] Mitragliamenti, bombe lontane. Linee del tram tutte interrotte. Più tardi scontro di tram d’altronde imprendibili per la neve, per la ressa. Più in là un’imboscata. Alcuni morti. Rastrellamento. Anche in casa si sta male. Non più luce. Non riscaldamento. Non gas. Non acqua!
[…] Ghiaccioli nelle camere da letto. Tram fermi nella neve. Scoppio condutture acqua per il gelo. Sedici gradi sottozero in città, ventitré sottozero in campagna. L’inquilina Concetta rompe il ghiaccio col martello per entrare e uscire dalla soffitta… Viene da noi piangendo.
Gli zii vengono a trovarci con un pezzo di legna per la stufa.
In tutti i viali, al Valentino, ecc. ecatombe di piante per riscaldarsi. Anche le panche sono state spogliate del legno.
Cesare continua ad annotare con precisione tutto ciò che osserva e sperimenta in prima persona, vicende quotidiane o eventi drammatici, sempre incisivo, sintetico, a volte telegrafico, senza indugiare in inutili commenti. La preoccupazione, la paura (“si trema di giorno” – scrive – “e si trema di notte. Sempre. Sempre. Come dei perseguitati”) lo inducono a porsi delle domande che restano senza risposta perché non si può pro- grammare e nemmeno immaginare un futuro in un periodo stravolto dalla violenza.
Si cerca di vivere giorno per giorno con coraggio e insieme rassegnazione, sempre col tarlo della fame nello stomaco e le ossa gelate dal freddo, in case con pannelli di compensato al posto dei vetri introvabili, senza luce, senza riscaldamento, senza gas, senz’acqua… Ma in qualche modo si resiste, in qualche modo si sopravvive. Cesare, da uomo pragmatico qual è, continua come può a lavorare perché ha una famiglia con tre bambini a cui provvedere. Ma andando a Pinerolo su un camion, in pieno inverno, per cercare rifornimenti di viveri, annota:
[…] Viaggio penoso con gli occhi verso il cielo. […] Il freddo intenso del viaggio su un camion scoperto non è nulla di fronte al timore della vita per mitragliamento!
Il clima di violenza è così radicato e diffuso che è ormai consuetudine vivere tra allarmi e incursioni aeree e fughe precipitose nei rifugi o nelle “crote” e tra sparatorie e rastrellamenti e rappresaglie ed esecuzioni… Certezze non ve ne sono, tranne quella dello sfacelo presente, tuttavia c’è la percezione che qualcosa stia cambiando. Giungono notizie confuse e contradditorie sul progressivo avvicinarsi delle truppe alleate, mentre i nazifascisti che ormai vedono prossima la disfatta reagiscono ad attacchi e sabotaggi con ancor maggiore brutalità.
[…] Comunque gli avvenimenti incalzano. Vado a letto più sereno del solito. La guerra non può più durare a lungo.
Primavera 1945, tra balli ed esecuzioni
Il 25 aprile Torino insorge insieme a Milano e altre grandi città del Nord.
Giornata memorabile! Torino, Milano, Genova liberate dai patrioti. I tedeschi si arrendono a migliaia. La fine della guerra è vicina. Oggi tutto il giorno chiusi in casa. Bombe e rivoltellate da ogni parte. Ma sentiamo che sono le ultime. Sia ringraziato Iddio!
In realtà non sembra che la guerra civile voglia davvero finire. Il 28 aprile vengono fucilati Mussolini, Claretta Petacci e altri importanti gerarchi del regime.
[…] In città continue sparatorie. Ogni strada repubblicani e fascisti uccisi. Diverse donne. Diversi impiccati. Dai vetri scorgiamo sparare contro dei franchi tiratori [gli ultimi disperati delle Brigate Nere che formavano una rete di cecchinaggio]. Grandi vampate ad ogni colpo. Carri armati. Folle di armati. Barelle. Feriti. Morti. Ogni portone è un’infermeria.
Il 30 aprile Hitler si suicida nel bunker della Cancelleria e il 2 maggio le truppe tedesche depongono le armi cessando le ostilità. Il giorno dopo una colonna americana arriva a Torino.
Ma l’odio di parte che ha diviso gli italiani in questi anni e le conseguen- ti atrocità hanno scavato fra loro un solco profondo. Alla precedente violenza si risponde ora con altra violenza secondo la logica perversa della guerra. La “pietas” non esiste in tempo di guerra.
Cesare sintetizza:
In Pinerolo si alternano i balli e le esecuzioni.
Proprio in questo tempo di grande gioia per la libertà riconquistata veramente a costo di “lacrime e sangue”, funziona ovunque una sorta di tribunale del popolo che si incarica di far giustizia dei nemici politici, magari regolando nel frattempo vendette e questioni personali. E quindi indulgendo ad abusi e soprusi.
Certo il fascismo era stato una dittatura spietata in cui operavano la violenza squadrista, un “tribunale speciale” con facoltà di comminare condanne a morte, carcere e confino, e l’OVRA, la brutale polizia fascista. E naturalmente vanno tenute presenti le pesanti ingerenze tedesche e dunque le leggi razziali con la persecuzione e la deportazione degli ebrei e ancora il folle coinvolgimento nella guerra fino a quando, con la Repubblica fantoccio di Salò, i tedeschi che ormai consideravano l’Italia terra di occupazione, la insanguinarono con una sequenza spaventosa di stragi e rappresaglie.
La strada per una riconciliazione civile è stata lunga e difficile e tanto più ardua in quanto Torino era profondamente ferita nelle sue fibre vitali, e non solo dai bombardamenti. Ma si sa che sono quelle morali le ferite più difficili da guarire.
Scrive Cesare l'8 maggio 1945:
Le ore che viviamo in questi giorni sono talmente sature di avvenimenti e intense di vita che sembra di ridestarci da un terribile sogno: la liberazione di Pinerolo, di Torino, dell'Italia, il tripudio di tricolori, di festa ai partigiani, la resa dei tedeschi, l’avanzata anglo-americana in Germania, la caduta di Berlino, la cattura e l’esecuzione di Mussolini ed in ultimo la fine della guerra!
E conclude, con saggezza e preoccupazione insieme:
Ma la gioia non è completa. Tanti pensieri ci assalgono. Quali saranno le condizioni che ci imporranno i vincitori e quali i problemi politici-economici della ricostruzione dopo tanti disastri, tanti sacrifici, tanti lutti e tante rovine?
Cesare per circa un anno e mezzo ci parla di guerra e vita quotidiana e, quasi spostando una lente di ingrandimento, ne focalizza le costanti: violenza continua, paura e terrore, morte, fame e freddo, sofferenza, mancanza di ciò che è essenziale e, nonostante tutto, volontà di resistere, cioè di vivere. È una stagione di ferro e fuoco di cui egli registra l’evolversi senza enfasi né retorica e apparentemente senza darne un giudizio, quasi che questo spetti a noi che leggiamo. Quale giudizio? Che la guerra è il male assoluto, frutto di un nazionalismo aggressivo, dell’odio, dell’intolleranza e che la pace e la libertà che ci sono state donate a caro prezzo richiedono un impegno costante se vogliamo mantenerle. Perché sono questi i valori portanti della civiltà umana.
Grazie Cesare. Anche la tua testimonianza farà sì che l’insegnamento e la memoria di quei tempi non vadano dispersi.
L'edizione completa del diario di guerra di Cesare Furbatto è disponibile nel volume "Diario di guerra. 1944–1945: pagine di memorie ritrovate", Edizioni Savej, 2022.
Si ringrazia l’Istituto Storico per la storia della Resistenza e della società contemporanea ‘Giorgio Agosti’ e l’Archivio Storico dei Vigili del Fuoco di Torino per la gentile concessione delle immagini. Un doveroso ringraziamento va poi a Massimiliano Judica Cordiglia per aver messo a disposizione lo scritto del nonno Cesare.