Beppe Fenoglio e la moglie Luciana Bombardi lungo il fiume Tanaro. Foto di Aldo Agnelli (© Archivio Centro Studi Beppe Fenoglio).

Le donne nei romanzi di Beppe Fenoglio

Le "fumne", personaggi eccezionali nel mondo fenogliano

Roberto Coaloa
Roberto Coaloa

Storico, biografo di Tolstoj, slavista, traduttore, critico letterario, autore di saggi dedicati al Risorgimento, alla Grande Guerra e ai viaggiatori, come Carlo Vidua, collabora a Il Sole-24Ore e La Stampa. È uno dei più autorevoli specialisti della storia dell’Austria-Ungheria. Si definisce “flâneur esistenzialista”: un instancabile ricercatore di cose rare e amateur di musica.

  

La vita di Fenoglio fu troppo breve: un’ingiustizia. Morì il 18 febbraio 1963, a neppure quarantuno anni. Genetliaco che avrebbe festeggiato nella sua Alba, dov’era nato il 1° marzo 1922 e dove aveva sempre vissuto, a parte i distacchi dovuti al servizio militare, alla guerra partigiana o a brevi viaggi in Francia e Svizzera. Dopo il 1945, si occupò del settore commerciale di una nota casa vinicola e, in meno di vent’anni, scrisse dei capolavori.

L’unica dichiarazione che Fenoglio ci ha lasciato come autore è questa:

"Scrivo per un’infinità di motivi. Per vocazione, anche per continuare un rapporto che un avvenimento e le convenzioni della vita hanno reso altrimenti impossibile, anche per giustificare i miei sedici anni di studi non coronati da laurea, anche per spirito agonistico, anche per restituirmi sensazioni passate; per un’infinità di ragioni insomma. Non certo per divertimento. Ci faccio una fatica nera. La più facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti."

Il mondo femminile di Fenoglio

Chi scrive, non solo per atavismo piemontese, può affermare che Fenoglio è il più grande scrittore del Novecento italiano, per il ritmo (non c’è paragone con gli altri autori del Bel Paese, e leggendo Il partigiano Johnny si ha la sensazione di volare, grazie all’uso perfetto delle parole, come il protagonista, sull’erba di un prato…) e per i temi trattati nei tre libri che pubblicò in vita (l’esordio nel 1952 con I ventitré giorni della città di Alba, cui fece seguito, due anni dopo, La malora e, nel 1959, l’ultimo romanzo Primavera di bellezza): la Resistenza e la dura realtà del mondo contadino e rurale delle Langhe. La critica, di solito, ricorda questi due elementi. Eppure, a una lettura più attenta potremmo aggiungere un terzo tema, fondamentale in Fenoglio: il mondo delle donne, in particolare le fumne, perché di donne piemontesi si tratta. Le fumne sono protagoniste dei lavori di Fenoglio e hanno interessato recentemente studiosi, scrittori e registi.

Copertina di
Copertina di "Primavera di bellezza", edizione 2015, Einaudi.

Ora, ci occuperemo di alcune figure femminili di Primavera di bellezza e poi in particolare delle anziane contadine della sua opera postuma — Il partigiano Johnny, pubblicato nel 1968 — e di Fulvia in Una questione privata, romanzo apparso due mesi dopo la morte dell’autore. È soprattutto attraverso i soggetti femminili che risulta evidente l’abilità dello scrittore a far sì che l’esperienza della Resistenza transiti e prenda corpo in protagonisti molto diversi tra loro, che restituiscono infine alla dimensione alta e tragica di quella vicenda anche il senso della sua complessità e la ricchezza delle sue articolazioni. In questo modo Fenoglio elude il tratto celebrativo (e quindi lontano e distante di molti momenti rievocativi) che spesso la lotta partigiana ricopre nelle narrazioni e la riveste invece di una riconoscibilità più immediata e più ampia. C’è davvero molto da invidiare alla visione e al linguaggio di Fenoglio che rende la Resistenza un’esperienza totale, dove i moventi personali ed esistenziali convivono con quelli collettivi e politici.

La figura materna

Della capacità di Fenoglio di comandare il ritmo delle narrazioni ha scritto delle bellissime pagine Luigi Meneghello. Fenoglio, tra gli scrittori italiani, è stato sicuramente il più dotato nel raccontare drammaticamente la guerra partigiana e la questione contadina nel Nord. La sua prosa è caratterizzata da una lingua originale e dal suo uso sapiente: un’espressiva asprezza lessicale, una sintassi essenziale e duttile, dal ritmo travolgente, da una musicalità briosa e lacerante come un’arma che in ogni momento minaccia la vita del cavaliere antico (incarnata dal partigiano che nuota controcorrente sfidato da forze maggiori e più violente). Al tema se ne affianca un altro trattato da Fenoglio nei suoi romanzi, la Resistenza, la novità è però ben altra, segnata dalla sensibilità dello scrittore verso la madre: die Urmutter, come si dice nella pregnante concisione del tedesco, la grande madre dei libri di Fenoglio.

La madre del personaggio di Ettore, in La paga del sabato, è l’unica figura letteraria che porta interi i caratteri molto conflittuali della madre vera dell’autore, Margherita Faccenda, donna ricordata dai familiari come di forte carattere, la fumna del banchin, la consigliera delle clienti del negozio di Amilcare Fenoglio, il macellaio imprenditore. Margherita, in realtà, era la vera padrona di casa, l’ancella, la donna coraggiosa e lungimirante in guerra, la donna che negli anni Trenta aveva mandato i figli maschi al liceo, aprendo loro le porte della cultura. Nelle altre figure di donna, Fenoglio ha travasato la ribollente, caparbia e vulnerabile carica femminile materna, contingentandola in ognuna di esse, facendole partecipi del suo fermento; ma sovente le ha recise come troppo ubertose rose, della parte conflittuale della madre vera, quasi esse dovessero rappresentare l’aspirazione dello scrittore a una figura materna in realtà mai vissuta.

In Primavera di bellezza, le donne sono viste attraverso lo sguardo quotidiano dei giovani arruolati nel Regio Esercito, stanchi, mal vestiti, prossimi allo sbando. Così, in caserma, appare la moglie “filiforme biondiccia e cerea” del napoletano Salvatore Pezzullo, venticinquenne, unico tra i tanti a portare con sé la moglie e la bambina, mettendole “a pensione nella locanda a destra della caserma”. C’è la guerra e i giovani, come il protagonista, osservano solo per pochi secondi passare le studentesse, immaginando gravidanze e altri scenari futuri.

Beppe Fenoglio con la figlia Margherita. Foto di Aldo Agnelli (© Archivio Centro Studi Beppe Fenoglio).
Beppe Fenoglio con la figlia Margherita. Foto di Aldo Agnelli (© Archivio Centro Studi Beppe Fenoglio).

Donne di cascina

Il mondo femminile, nei romanzi di Fenoglio, appare soprattutto nel capolavoro postumo, Il partigiano Johnny, dove le donne sono quelle delle cascine, le fumne piemontesi, contadine da sempre, che storicamente, dopo il 1943, fino alla fine della guerra, aiutarono i partigiani a nutrirsi e a nascondersi. Le donne che s’incontrano in questo romanzo di Fenoglio, sono per realtà storica e funzione antropologica madri e nutrici. Fra loro, particolare importanza ha la padrona della Cascina della Langa:

una delle più forti, ardite e cupide donne della collina, e dava da mangiare alle squadre in transito, alla fine d’ogni mese presentava il conto a Nord che sempre la saldava al centesimo.

Poi, con una sola pennellata, Fenoglio così la descrive:

Doveva aver ben più di cinquant’anni, ma appariva molto più giovane per la stessa diminutività e galvanicità della sua persona; aveva bande oleose di capelli ancora neri ed una incredibile sottana nera incredibilmente puzzante.
Copertina de
Copertina de "Il partigiano Johnny", edizione 2022, Einaudi.

L’efficacia linguistica della descrizione rende sulla pagina una delle figure più caratterizzate del romanzo, dove la realtà della sua esistenza si sposa con incredibile felicità con l’immagine mitica che riveste. La donna, realmente esistita, ospitò Fenoglio nella piccola fattoria, dove abitava con la famiglia, ma qui appare, per felice scelta artistica, sola, nella casa isolata, in compagnia di una cagna lupo, femmina per l’appunto anch’essa. A questo personaggio eccezionale si è ispirato il regista astigiano Beppe Varlotta, gran lettore di Fenoglio, nella figura femminile della “madre”, interpretata con maestria da Serena Grandi, nel film Zoè (2008).

Varlotta, come regista, ha raccontato la Resistenza, in anni in cui si è discusso molto di Fenoglio e dopo un lungo lavoro di ricerca, raccogliendo fonti orali, soprattutto di donne, come Grazia Andreasi. Il film, inoltre, è stato girato in Piemonte, nei luoghi in cui ci furono i rastrellamenti nazi-fascisti tra il 1943 e il 1945. In Fenoglio, come nell’omaggio di Varlotta allo scrittore di Alba, la donna è un vero elemento simbolico: figura di madre, legata alla madre terra, accompagnata da una femmina di animale, che si muove in simbiosi con lei, feroce con gli estranei e solidale con i partigiani.

Se non fossi una donna, vorrei essere una donna. E ancora una donna. E poi, ancora una donna. Ma senon potessi esserlo, vorrei essere un airone.
Beppe Fenoglio, “Il partigiano Johnny”

Simbolismi

La figura della fumna contadina in Fenoglio è definita secondo i tratti della concretezza e fisicità e allo stesso tempo sottintende la sua funzione mitico-simbolica:

tutto il pericolo e l’angoscia, tutto il domani obliato o perlomeno accantonato, con quella gran vecchia che li guardava mangiare seduta a gambe larghe sul suo scranno.

L’immagine del personaggio serve proprio da connettivo figurale: l’aggettivo grande, la posa dello stare seduta a gambe larghe (più avanti, quando sarà rilasciata, accoglierà i vicini "seduta come in trono") si connettono alla “terrestrità” della donna e suggeriscono la solidità, la forza di contadina, il punto di riferimento che può nutrire. Dice Johnny:

appena scurisce punto su Cascina della Langa. A quest’ora i tedeschi dovrebbero già essersene andati. […] Vado lassù e la vecchia mi darà da mangiare, oh se me ne darà.
Serena Grandi nel film
Serena Grandi nel film "Zoè" di Beppe Varlotta (2008).

L’anziana donna è, per ruolo, destinata a far fronte alle mancanze: da quelle alimentari al riparo; ma i tratti materni presenti in questo agire, oltre che ad attitudini facilmente associabili alla sfera della naturalità, sono strettamente assimilabili alle caratteristiche mitiche della terra in cui questa figura è immersa e cui appartiene. Una terra di cui Fenoglio stesso negli Appunti partigiani dice che, per la sua funzione ancestralmente protettrice, ha permesso la salvezza dei partigiani durante i feroci rastrellamenti dell’inverno 1944:

Loro [i nazi-fascisti] avevano ammazzato, più borghesi che partigiani, avevano fatto falò di cascine, e razziato, avevano sforzato donne, intruppati uomini e preti perché gli portassero le cassette delle munizioni e gli facessero scudo da noi. Erano venuti in tre divisioni, per setacciare tutto e tutti. Ma, chiedo perdono ai morti e alle loro famiglie, scusa a quelli che ci han perduta la casa e il bestiame, ma io credo che allora tedeschi e fascisti non si siano salvate le spese. Non fu abilità nostra, né che loro fossero tutte schiappe. Fu, con la sua terra, la sua pietra e il suo bosco, la langa, la nostra grande madre Langa.

Terra di Langa, terra di Resistenza

Il Piemonte è una terra, che ha ricordato lo scrittore Riccardo Chiaberge nel romanzo Salvato dal nemico (2004), teatro di feroci rastrellamenti nazi-fascisti e di un’atroce guerra civile. Una terra, però, magica, dove sono accaduti eventi misteriosi e, oltre ai combattimenti, ci sono stati gesti di clemenza da parte del nemico. Il Piemonte di Chiaberge è anche l’espressione della “zona grigia” che sarebbe più giusto indicare come “resistenza sommersa”: una vasta area di opinione ostile alla guerra e a chi l’aveva voluta e favorevole agli alleati, ma riluttante a schierarsi in modo aperto a fianco degli antifascisti. I genitori di Ettore Monticone, il protagonista di Salvato dal nemico, appartengono appunto a quest’area. Chiaberge rielabora in chiave romanzesca un episodio realmente accaduto e, dal punto di vista narrativo rende omaggio, per bello stile e ambientazioni, alla lezione di Fenoglio, sebbene al posto della Langa ci sia la Val Chisone, la Val Sangone e il torinese. A Cumiana, nella finzione narrativa chiamata Cunassa, nella primavera del 1944 furono scelti per un’esemplare rappresaglia nazi-fascista cinquantotto uomini. Sette uomini scamparono all’esecuzione con un colpo alla testa per una serie di circostanze fortuite. Chiaberge ci racconta, accanto alle figure dei partigiani, di «donne piangenti», dolenti ma forti donne, e dei loro costanti sacrifici.

Chiaberge, infine, tenta, grazie alla lezione di Fenoglio, di sgombrare il campo dalle ricostruzioni di parte per sposare una semplice verità: che la memoria è un fatto individuale. Di condiviso ci può – ci deve – essere soltanto la pietas per i morti di ogni colore e la riconoscenza verso i partigiani che hanno contribuito a liberare l’Italia e di quelle tante fumne che parteciparono attivamente alla Resistenza come partigiane. Protagoniste così descritte da Fenoglio nel momento dell’ingresso di Johnny al comando di Nord:

le donne stavano lavorando sodo, facendo pulizia, bucato, una dattilografando… Il solo fatto che portassero un nome di battaglia, come gli uomini, poteva suggerire a un povero malizioso un’associazione con altre donne portanti uno pseudonimo. Esse in effetti praticavano il libero amore, ma erano giovani donne, nella loro esatta stagione d’amore coincidente con una stagione di morte.
Copertina di
Copertina di "I ventitre giorni della città di Alba", edizione 2022, Einaudi.

Partigiani e partigiane

Sempre sulle lapidi, a me basterà il mio nome, le due date che sole contano, e la qualifica di scrittore e partigiano.
Beppe Fenoglio, “I ventitré giorni della città di Alba”

Lo storico Claudio Pavone osservò la reticenza dei comandi partigiani, in particolare delle formazioni Garibaldi, a far sfilare, dopo la vittoria, le fumne a Torino: “per evitare reazioni sgradevoli, per non correre il rischio che venissero chiamate puttane”. In questa situazione, controcorrente, è la testimonianza di Fenoglio, che nei racconti radunati nel volume I ventitré giorni della città di Alba, ricorda i partigiani entrati ad Alba il 10 ottobre 1944:

cogli uomini sfilarono le partigiane, in abiti maschili, e qui qualcuno tra la gente cominciò a mormorare: – Ahi povera Italia! – perché queste ragazze avevano delle facce e un’andatura che i cittadini presero tutti a strizzar l’occhio. I comandanti, che su questo punto non si facevano illusioni, alla vigilia della calata avevano dato ordine che le partigiane restassero assolutamente sulle colline, ma quelle li avevano mandati a farsi fottere e si erano scaraventate in città.

Una questione privata, l’altra grande opera postuma di Fenoglio, è la storia del partigiano Milton che, ossessionato dall’idea che Fulvia, la ragazza amata in silenzio prima della guerra, ha avuto una relazione con Giorgio, il proprio migliore amico, parte alla ricerca della verità, anche violando la disciplina partigiana. Come affermò Fenoglio stesso, in una lettera all’editore Garzanti del 1960, è “un intreccio romantico, non già sullo sfondo della guerra civile in Italia, ma nel fitto di detta guerra”. Milton, per amore, non sa stare nella sintesi conflittuale, ma necessaria in quegli anni, di esperienza collettiva e privata, per cui, come afferma Pavone,

era difficile distinguere il privato da una normalità che la situazione di emergenza, pienamente accettata, faceva sentire lontana, estranea e perfino nemica.

Milton è invece sin dalla prima pagina di Una questione privata percepito nella sua dimensione intima:

La bocca socchiusa, le braccia abbandonate lungo i fianchi, Milton guardava la villa di Fulvia, solitaria sulla collina che degradava sulla città di Alba.

Il protagonista è mostrato prima di tutto come soggetto psicologico, poi come soggetto storico, cioè come partigiano.

Copertina di
Copertina di "Una questione privata", edizione 2022, Einaudi.

L'immobilità dell'essere

La realtà e il ricordo passano attraverso gli occhi del protagonista incorporando dettagli e oggetti che in qualche modo si trasfigurano, perché in essi si proiettano le sue esperienze e sensazioni. Così, mentre si fa più forte e vivo il pensiero della ragazza, gli elementi circostanti assumono i tratti della rovina:

Ora lo sguardo basso di lui rifaceva quel lontano tragitto di Fulvia, ma prima di arrivare al limite ritornò al punto di partenza, all’ultimo ciliegio. Come si era imbruttito, e invecchiato […]. Poi si riscosse e un po’ pesantemente arrivò sulla spianata davanti al portichetto d’entrata. Il ghiaino era impastato di foglie macerate, le foglie dei due autunni di lontananza di Fulvia.

Per l’assenza di Fulvia persino la custode appare invecchiata oltremodo, con la faccia più smunta e i capelli bianchi. Questo sguardo di Milton sull’ambiente circostante, condotto, si potrebbe dire, dalla regia di Fulvia (o dal sentimento della sua mancanza), si blocca al punto in cui parte la scheggia del dubbio: ascoltate le insinuazioni della custode, Milton stringe gli occhi, quasi a creare una cesura, un prima e un dopo, tra ciò che è stato fin lì e ciò che accadrà dopo. Fulvia è già in queste prime pagine il centro della storia, eppure non compare mai nel presente della narrazione. Per Milton, Fulvia è una donna che non si tocca mai, che esiste solo nel suo ricordo, inseguita come una memoria, come incertezza. Eppure questa immagine attraversa ogni pagina del romanzo.

I personaggi di Fulvia, Milton e Giorgio interpretati da Valentina Bellè, Luca Marinelli e Lorenzo Richelmy in una scena del film
I personaggi di Fulvia, Milton e Giorgio interpretati da Valentina Bellè, Luca Marinelli e Lorenzo Richelmy in una scena del film "Una questione privata" del 2017, diretto da Paolo Taviani.

L’immagine della ragazza, intesa come assoluto, si dilata fino a rendere universali, per così dire, anche la figura del protagonista, il tempo e lo spazio. Quantunque scorrano numerose azioni, nulla di risolutivo accade e i quattro giorni in cui si distende la storia sembrano sospesi, congelati dall’ossessione di Milton. Lo spazio, quello consueto delle Langhe, appare dominato da una nebbia che assume anch’essa il rilievo simbolico dell’incertezza e del dubbio; immobile è soprattutto Milton, che, fin dall’inizio, davanti alla villa, sente di dover dire: “Sono sempre lo stesso Fulvia”. Poter arrivare alla villa è percepito da Milton come l’ultima possibilità di avvicinarsi alla verità e – ancora una volta – è lo sguardo, sono gli occhi che, prima dei gesti, catturano le cose e giungono nei luoghi.

Senza Fulvia non sarebbe estate per lui, sarebbe stato l’unico al mondo a sentir freddo in quella piena estate.”
Beppe Fenoglio, “Una questione privata”

Assoluto ideale di libertà

La storia che Fenoglio racconta nel suo romanzo postumo Il partigiano Johnny è davvero diversissima: è una storia corale, più ampia, anche temporalmente. Presenta un protagonista, Johnny, che, nelle sue scelte, nei suoi cambiamenti, si rivela in progressione e mutamento e, a differenza di Milton, ben distingue il prima e l’adesso. Lo dimostra, ad esempio, il passo in cui Johnny, già partigiano, avendo deciso di passare dai garibaldini ai badogliani, scende verso Alba e incontra l’industriale enologico B., il quale, dopo qualche esitazione, lo invia nella propria villa, dove lo accolgono tre donne.

Johnny incontra tre borghesi, caratterizzate dalla fatua mondanità che definisce anche il personaggio di Fulvia: usano lo stesso suo linguaggio affettato e iperbolico; definiscono “carinissimo” un disco di Natalino Otto e, come Fulvia, scoppiano in moti di entusiasmo che Fenoglio definisce in maniera efficace “gridolinare”. In questo modo, Johnny ha una sensazione di estraneità:

Tutto ciò era così assurdo, piombato in una vasca irreale: proprio non poteva più comunicare con quel tipo umano, nessun ulteriore rapporto, se non un mutuo sorriso, sfingico. […] No, non c’era più nessun possibile rapporto, tra quella gente e se stesso, il suo breve ed enorme passato, Tito ed il Biondo, le vedette notturne, le corvées di rifornimento, le uccisioni. […] Johnny rammemorava, rimpiangeva la tetra, sporca monotonia di Mombarcaro penuriosa. Ma che posto occupava questa gente in quel mondo?
Beppe Fenoglio nella casa del fratello a Ginevra nel 1960, foto di Aldo Agnelli (© Archivio Centro Studi Beppe Fenoglio).
Beppe Fenoglio nella casa del fratello a Ginevra nel 1960, foto di Aldo Agnelli (© Archivio Centro Studi Beppe Fenoglio).

Le conclusioni di Johnny e Milton rispetto alla considerazione del breve e per entrambi terribile passato come combattenti sono opposte: Milton è immobile perché ancorato all’ideale amore per Fulvia, Johnny è cambiato e considera irreale la realtà di prima, con cui è impossibile ogni relazione.

La differenza tra i due partigiani è probabilmente tutta qui: nella capacità di Johnny di abbandonare, come Fenoglio, i libri, l’amore per la letteratura, l’assoluto mitico, per l’assoluto ideale e storico della libertà, e la fedeltà di Milton al se stesso di prima e ai suoi miti. Per questo motivo le fumne di Johnny sono le giovanissime partigiane e soprattutto le donne anziane delle cascine, che storicamente combatterono e aiutarono i giovani della Resistenza.

👉 Si ringrazia il Centro Studi Beppe Fenoglio di Alba per la gentile concessione delle fotografie di Aldo Agnelli.

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Bibliografia

  • Fenoglio B., Primavera di bellezza, Milano, Garzanti, 1959.
  • Fenoglio B., Una questione privata, Torino, Einaudi, 1986.
  • Fenoglio B., Appunti partigiani ‘44 – ’45, a cura di Mondo L., Torino, Einaudi, 1994.
  • Fenoglio B., Il partigiano Johnny, Torino, Einaudi, 1994.
  • Chiaberge R., Salvato dal nemico, Milano, Longanesi & C., 2004.
  • Pavone C., Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 2003 (prima edizione 1991).
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