Le poesie in piemontese di Valter Agostini

Dal sodalizio dei Brandé all'impegno del figlio Victor per tramandare le sue opere

Immagine tratta dalla pagina Facebook Valter Agostini, poeta piemontese

Andrea Bosio
Andrea Bosio

Dottore di ricerca in Studi Storici presso l’Università degli Studi di Trento, si occupa di storia del Piemonte in età contemporanea, con particolare riferimento all’Ottocento. Ha collaborato con diversi istituti di ricerca piemontesi e italiani. Nel 2018 ha ricevuto il premio “Sergio Sandrone” bandito dalla Deputazione Subalpina di Storia Patria per la sua tesi di dottorato.

  

Capita ben di rado che un poeta in piemontese del secolo appena trascorso sia ricordato con iniziative, presentazioni, eventi. E ancora più raro è quando questo poeta non ha avuto l’onore di essere considerato tra i cosiddetti “grandi” segnalati anche nelle antologie nazionali (Nino Costa, Pinin Pacòt, Barba Tòni Bodrìe, Bianca Dorato, Remigio Bertolino solo per citarne alcuni) ma è rimasto confinato a sfere di notorietà più ridotta.

In questo senso, una lodevole e riuscita iniziativa è stata presa da Victor Agostini che ha cercato di far riscoprire la figura del padre Valter, poeta in piemontese che nel dopoguerra fece parte della celebre “Compania dij Brandé”, mostrando come nell’epoca dei social, degli smartphone e della connessione ventiquattro ore su ventiquattro, basti avere delle buone idee e tanta voglia di fare per favorire la riscoperta di autori meno conosciuti senza dover necessariamente adeguarsi ai crismi di presentazioni o conferenze.

Ij Brandé: direzione e amministrazione di Valter Agostini.
Ij Brandé: direzione e amministrazione di Valter Agostini.

Le videoletture per tramandare

E le idee a Victor Agostini non sono mancate. In occasione del centenario della nascita del padre, ha organizzato un ciclo di videoletture delle sue poesie (una cinquantina più diverse traduzioni) che, scritte soprattutto a partire dal dopoguerra, confluirono nel 1991 nel volume Temp d’anciarm, edito dalla Ca dë Studi “Pinin Pacòt” con prefazione di Camillo Brero. Le poesie sono state recitate da una decina di cultori e appassionati della lingua piemontese e sono state registrate all’interno di luoghi simbolo di Torino e del Piemonte (il Centro Studi Piemontesi, Palazzo Reale, il Museo Casa Duccio Galimberti, l’Istoreto, il Sermig) o in luoghi importanti per la vita di Valter Agostini (il Circolo dei Dipendenti Comunali della Città di Torino di cui fu presidente per molti anni, e la chiesa di San Domenico). Filmate durante la primavera del 2021, le videoletture sono ora disponibili su Facebook, Instagram e Youtube nelle pagine dedicate al poeta. Incuriosito, incontro Victor per uno scambio di opinioni:

L’idea di organizzare queste videoletture mi è partita dalla volontà di far riscoprire l’opera poetica di mio padre a cui lui teneva molto perché rappresentava un momento particolare e significativo della sua vita. Mi spiaceva che questa produzione, peraltro molto contenuta in quanto a numero di composizioni, stesse cadendo nell’oblio a causa del trascorrere del tempo e della contrazione dei locutori in piemontese, e allora ho pensato di organizzare qualcosa di interattivo e dinamico per riportarla alla luce e, allo stesso tempo, raggiungere il maggior numero di persone.

Sono sempre stato incuriosito dai social che, a parte i cattivi usi che se ne fanno, sono un mondo dalle grandissime potenzialità per la diffusione della conoscenza. Postare sul web significa lasciare qualcosa che può essere visto e ascoltato in ogni luogo e a distanza di anni: io posso mettere un “mi piace” a un video o a una foto che sia stata pubblicata oggi come due anni fa. Questo è il ragionamento che mi ha guidato, e il ritorno di pubblico che sta avendo l’iniziativa mi soddisfa. Una conferenza, una presentazione possono anche essere belli e gratificanti per chi vi partecipa ma si esauriscono nello spazio di una sera o di qualche ora. Con le moderne tecnologie l’emozione che può trasmettere una poesia letta o recitata in un certo contesto può rimanere anche a distanza di anni. E, in senso più ampio, può diventare anche un modo di avvicinare giovani e adulti al mondo della poesia e a quella in piemontese in particolare.

Frontespizio del volume "Temp d'anciarm" e volantino del ciclo di videoletture sui social delle poesie di Valter Agostini.

Chi era Valter Agostini?

Valter Agostini fu, almeno per un certo periodo, un Brandé a tutti gli effetti. L’incontro con la letteratura in piemontese avvenne nell’immediato dopoguerra grazie alla figura di Pinin Pacòt (al secolo Giuseppe Pacotto) che, già dalla metà degli anni Venti, soprattutto assieme a Oreste Gallina e ad Alfredo Formica (Vigin Fiochèt), andava animando un circolo di cultori della lingua piemontese motivati a rivitalizzare la sua letteratura e la sua poesia elevandoli alla piena modernità letteraria. Il nome stesso del gruppo era di per sé significativo: i “brandé” in piemontese sono gli alari che custodiscono il fuoco del camino, simbolo della lingua che non deve spegnersi (“La fiama ch’as dëstissa nen” come da parola d'ordine del sodalizio) e questa attività di preservazione e rinnovamento doveva passare necessariamente dall’allontanamento dai temi soliti della poesia “dialettale” e dal fare del piemontese un motore di espressione lirica del proprio mondo interiore.

Era un’operazione all’avanguardia nel mondo delle letterature regionali e, peraltro, i Brandé non si limitarono solo a questo: l’amore per l’idioma subalpino portò anche a uno studio dei problemi della lingua, della grafia e del vocabolario che vennero esaminati con una serietà e un impegno fino ad allora inusitati nel mondo degli scrittori regionali. Per il giovane Valter, allora poco più che ventenne ma già provato dalla traumatica esperienza della Seconda guerra mondiale e della Resistenza, i ritrovi la domenica mattina al “Bar Patria” di piazza Castello (attivo fino a una decina di anni fa) rappresentarono un luogo di creatività e di conforto in cui poter dare voce alle sue inquietudini, ai suoi ricordi dolorosi, alle sue speranze e delusioni. Sotto la guida di Pacòt, Agostini andò a formare con Giovanni Morello, Giuseppe Gastaldi e Camillo Brero il fulcro della cosiddetta “seconda generazione dei Brandé” che si diedero anche alla sperimentazione di forme metriche inedite per il piemontese come il verso libero o l’haiku giapponese.

Lettera di Pinin Pacot a Valter Agostini, datata 6 marzo 1947.
Lettera di Pinin Pacot a Valter Agostini, datata 6 marzo 1947.

Avvicinamento e distanza dai Brandé

È ancora da fare uno studio critico sulla storia dei Brandé che ne analizzi il percorso dalla fondazione della “Compania” alla morte del suo fondatore nel 1964 e alla chiusura dell’Armanach l’anno successivo. La cultura ufficiale ha colpevolmente snobbato il sodalizio di Pacòt, confondendo la carica innovativa del suo impegno poetico con quelli più strettamente dialettali e campanilisti senza capire che, in fondo, anche questi sviluppi furono una delle tante facce di quello straordinario fervore culturale che visse il capoluogo piemontese nella prima metà del Novecento. Un fervore consacrato dal libro di Norberto Bobbio Trent’anni di storia della cultura a Torino (1920-1950) e che, nel capoluogo sabaudo, ebbe tanti epicentri, non solo nell’Università o nella casa editrice Einaudi, ma anche in circoli meno istituzionali come quello di cui fece parte Valter Agostini.

Tuttavia, proprio nel momento in cui la “Compania” visse il suo momento di maggior fulgore, si aprì anche un periodo di straordinari cambiamenti per la società italiana e per Torino in particolare: le massicce migrazioni dalle più svariate parti d’Italia, il boom economico sorretto anche dalla forte presenza industriale, la nascita di una società di consumi di massa sconquasseranno la città del secondo dopoguerra stravolgendone la fisionomia e portando i Brandé ad arroccarsi su posizioni difensive. Ben presto in queste cerchie sempre più piccole i sentimenti prevalenti divennero il lamento o la nostalgia per la città da seicentomila abitanti, per una realtà che non appariva ancora così disordinata e stravolta da una modernizzazione esagerata e tumultuosa, e anche Valter Agostini rimase coinvolto in questo processo che lo indusse negli anni a diradare la sua presenza nella lirica subalpina e a concentrarsi sulla sua vita professionale e familiare. Secondo le testimonianze, però, rimase in lui una nostalgia amara, un certo rammarico per quello che avrebbe potuto essere e non era stato completamente, che è ben espressa in una composizione che riprende il celebre sonetto dantesco Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io:

Pacòt, mi i vorerìa ancor con Ti
con Brero, con Gastaldi e con Morel,
vive l’anciarm e la passion ’d coj di
con tò consèj davzin, ferm e fedel.

An completa alegrëssa e an armonìa
is n’andasìo a cheuje ’l mej dla tèra
pensand e rasonand ëd poesla
e dësmentiand minc’àutra còsa amèra.

Peui na ventà maléfica dë sbiess
l’ha ’mbrunì ij color ’d nòstra drapela,
ësquasi a në vorèissa bate a spress.

Pì strach, pì vej, carià ’d pì grev fardel,
giumai dësgiont soma arbutasse ’n sela
Brero, Gastaldi, mi e, ’l quart, Morel.
Pacòt, io vorrei ancora con Te, con Brero, con Gastaldi e con Morello, vivere la magia e la passione di quei giorni con il Tuo consiglio vicino, fermo e fedele.

In completa allegria e in armonia andavamo a raccogliere il meglio della terra pensando e ragionando di poesia e dimenticando ogni altra cosa amara.

Poi una ventata malefica di traverso ha oscurato i colori del nostro gruppo, quasi volesse colpirlo di proposito.

Più stanchi, più vecchi, caricati di un fardello più pesante, ormai separati ci siamo rimessi in sella Brero, Gastaldi, io e, il quarto, Morello.
La dottoressa Albina Malerba legge la poesia "Pacòt, mi i vorerìa" di Valter Agostini.

L'esperienza partigiana

Nel video di presentazione delle videoletture Giovanni Tesio parla di Valter Agostini come un “poeta molto prezioso e interiormente ricco e polifonico” che si apre anche a “nuove forme di espressione”, mosso da un’“inquietudine” che gli permette di cogliere “i dissidi dell’animo umano”. Un’inquietudine che traspare dalle poesie e dall’attento lavoro di limatura a cui sottoponeva le sue non moltissime composizioni, il che, peraltro, era anche segno di una certa insicurezza nei propri mezzi espressivi che lo stesso Pacòt giunse spesso a rimproverargli e che derivava, secondo il figlio Victor, dal trauma, mai elaborato del tutto, dell’esperienza nelle brigate partigiane:

Come molti partigiani, mio padre non amava parlare dell’esperienza della Resistenza. Solo ora, cercando di contestualizzare le sue lettere ai genitori e i suoi documenti, mi rendo conto di quanto dolore abbia vissuto e sopportato. Partì per unirsi ai partigiani in Val Chisone il 15 febbraio del 1944 e già l’8 marzo partecipò a una drammatica incursione a None dove morirono tre suoi compagni, subì poi i rastrellamenti di Cumiana e del Gran Dubbione che decimarono il gruppo a cui apparteneva, costringendolo a ritornare a Torino e a nascondersi e, solo successivamente, a entrare nelle SAP.
Credo che il trauma della guerra abbia causato un senso di incertezza che spesso mi pareva di scorgere in lui. Quella stessa incertezza che solitamente viene più avanti negli anni, a quaranta o a cinquant’anni e che è anche frutto della consapevolezza dell’esaurirsi della vita e delle sue risorse, lui la visse molto precocemente, già a vent’anni o poco più. Questo si vede anche nelle sue poesie dove gli aneliti della Resistenza sono pressoché assenti o oscurati da una riflessione sulla condizione umana che sicuramente deve aver preso spunto dall’esperienza della guerra.
Prefazione di Giovanni Tesio per il ciclo di video letture delle poesie di Valter Agostini.

Valorizzare la lingua subalpina

È arrivato il momento di salutarci. Victor è molto indaffarato e la sua testa pullula di progetti. Mi annuncia che altro materiale verrà presto pubblicato sui social e presto, assicura, vedrà la luce anche un sito internet dedicato al padre. Sono certo che in molti potranno trovarvi motivi di interesse. Riguardando le videoletture su Facebook, mi vengono in mente Pacòt, i Brandé e i loro sforzi per valorizzare la lingua subalpina contro i pregiudizi di molti. Alla fine, queste registrazioni non permettono solo di riscoprire un autore dimenticato ma soprattutto mostrano una via moderna, inedita e originale per fare sì che, pacottianamente, “la fiama as dëstissa nen.

NA FIOR D’OTUGN

I l’hai specià mia ànima ant ël cel:
frèida e lontan-a
come n’euj sensa vita
come un deul sensa pen-a.
I l’hai specià mia ànima ant ël lagh:
na forma sensa forma,
në scarabòcc.
I vorìa conòsse
la tristëssa dl’otugn
e i son lassame casché da mia rama.
Ël vent e mia paura
a torturo mè còrp
come na feuja mòrta.
St’otugn a sarà forse për mi
sèira sensa matin?
Porteme, porteme
l’ùltima fior.
Na fior për fé men trista
mia tristëssa d’otugn.
Un fiore d’autunno: Ho specchiato la mia anima nel cielo: fredda e lontana come un occhio senza vita come un lutto senza pena. Ho specchiato la mia anima nel lago: una forma senza forma, uno scarabocchio. Volevo sapere della tristezza dell’autunno e mi son lasciato cadere dal mio ramo. Il vento e la mia paura tormentano il corpo come fosse una foglia morta. Forse questo autunno sarà per me una sera senza mattino? Portatemi, portatemi l’ultimo fiore. Un fiore che renda meno triste la mia tristezza autunnale.
La dottoressa Luisella Nigra, Presidente Associazione Seniores Comune di Torino, legge la poesia "Na fior d'Otugn" di Valter Agostini. Grazie alla collaborazione dei Musei Reali Torino, la lettura si è svolta nell’Appartamento della regina Elena (consorte di Vittorio Emanuele III).
BAMBAN-E D’INVERN

La vesta uguala dla fiòca
sempre ’d pì a së slarga
lontan, davzin...
E mi i sai nen përchè
as fà pì granda mia stansia
quand a l’é gelà dal frèid,
sempre pì granda...
A pòch a pòch la fiòca a l’ha coatà
le miserie dla tèra,
parèj a l’é neuva për mi
costa stra veja,
e ’l giardin a l’é tut una fior candia
e da le piante a pendo giù sutile
mila bamban-e ’d cristal.
Bambagie d’inverno: L’uniforme abito della neve si diffonde sempre di più lontano, vicino… Ed io non so perché la mia camera si fa più grande quando è raggelata dal freddo, sempre più grande… A poco a poco la neve ha coperto le miserie della terra, tanto che a me pare nuova questa vecchia strada, e il giardino è tutto un fiore candido e dalle piante pendono sottili mille bambagie di cristallo.
La dottoressa Albina Malerba legge la poesia "Bamban-e d'Invern" di Valter Agostini.
SENTO CH’I VEN-O VEJ

Sento ch’i ven-o vej, che ’d cò për mi
as ripet la violensa dle stagion;
sento la mòrt vzinesse di për di...
ma mi l’hai ancor nen cuji mia amson.
L’amson ’d mia vita a l’é na còsa granda
ch’i sento drinta a mi e ch’am tortura;
veuj confessela, scrivla... i-j passo a randa,
ma cantela i peuss pa, l’é nen madura.
Sento che vengo vecchio: Sento che vengo vecchio, che anche per me si ripete la violenza delle stagioni; sento la morte avvicinarsi giorno dopo giorno… ma non ho ancora fatto la mietitura. // La messe della mia vita è cosa importante che sento dentro di me e che mi rode; voglio confessarla, scriverla… le passo accanto ma cantarla non posso, non è ancora matura.
Il dottor Andrea Bosio legge la poesia "Sento ch'i ven-o vej" di Valter Agostini. La lettura si è svolta nella Sala di Ricevimento dell'Appartamento del Re grazie alla collaborazione dei Musei Reali Torino.

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