Maria Luisa Spaziani: poeta, non poetessa

La grande letterata torinese tre volte candidata al Premio Nobel

Maria Luisa Spaziani. Immagine tratta da Rai Cultura .

Nato a Torino, laureato in comunicazione e antropologia, è docente di storia e letteratura italiana, esperto di processi di apprendimento e inclusione scolastica. Scrive di musica, libri, fotografia, viaggi, arte, di cui studia i rapporti tra le discipline. Come nelle grandi storie d’amore, dal Piemonte ama fuggire per poi ritornare.

  

La morte della poetessa Patrizia Cavalli nel giugno 2022 è stata accolta con stupefacente corale accoratezza dal mondo culturale italiano. Sorprendente oggi, mentre la poesia pare costantemente alla ricerca di un possibile ruolo alto nella realtà contemporanea, strapazzata – al contrario – tra le rimembranze liceali e il riciclo, sempre più prosastico, per meme di auto-aiuto e benessere personale. E stupisce che il cordoglio coinvolga sempre più spesso figure poetiche femminili – a partire dal successo popolare di Alda Merini – capaci di trovare varchi in un mondo poetico costantemente dominato da figure maschili.

Ricordiamo che nell’antologia Poeti Italiani del ‘900 di Pier Vincenzo Mengaldo – autorevole summa della poesia italiana contemporanea – l’unica donna citata è Amelia Rosselli. Prima di trovare uno spazio di riconoscimento, la poesia femminile ha avuto bisogno di un enclave antologico, la raccolta Donne in poesia - Antologia della poesia femminile in Italia dal dopoguerra ad oggi, edito da Savelli nel 1977: come a ricordare che la segregazione di genere nel mondo culturale è fatto ancora recente e vivo.

Copertina del volume
Copertina del volume "Donne in poesia" edito da Savelli nel 1977.

Dai Quaderni di girasole alle candidature per il Nobel

Maria Luisa Spaziani è la poetessa che intorno alla metà del secolo incarna perfettamente questa contraddizione. Torinese, neanche ventenne, smuove l’underground poetico partecipando alla fondazione della rivista Quaderni di girasole, ribattezzata poi Dado, presso cui troveranno spazio autori come Penna, Sinisgalli e Pratolini. È anche cultrice della letteratura francese, ammiratrice di Proust, traduttrice di Jean Racine, André Gide, ma anche Gustave Flaubert, viaggiatrice, giornalista, frequentatrice di Ezra Pound, Thomas Eliot e Jean Paul Sartre, tre volte candidata al Premio Nobel. Moglie di Elémire Zolla. Eppure la sua fama sopravvive per lo più all’ombra della gigantesca presenza di quell’uomo e poeta già affermato, di venticinque anni più vecchio: dai più sarà ricordata come “l’amante di Eugenio Montale”. L’Orso e la Volpe, come amavano chiamarsi. Amore per lui, amicizia per lei.

La relazione tra i due è controversa fin dalle origini. Galeotta fu Torino, città di nascita della Spaziani e luogo del primo incontro tra i due.

Dal tempo della tua nascita
sono in ginocchio, mia volpe
È da quel giorno che sento
vinto il male, espiate le mie colpe.

Arse a lungo una vampa; sul tuo tetto,
sul mio, vidi l'orrore traboccare
Giovane stelo tu crescevi; e io al rezzo
delle tregue spiavo il tuo piumare.

Resto in ginocchio: il dono che sognavo
non per me ma per tutti
appartiene a me solo, Dio diviso
dagli uomini, dal sangue raggrumato
sui rami alti, sui frutti.
Eugenio Montale, "Anniversario", tratta da “La Bufera”
Maria Luisa Spaziani nel 1976.
Maria Luisa Spaziani nel 1976.

L'Astigiano nel sangue

In questa relazione biografica e poetica Torino ha un ruolo. Innanzitutto è il luogo della gioventù della Spaziani. Nasce infatti in via Saluzzo 30, in un contesto famigliare borghese. La madre Adalgisa, amatissima, è figura di riferimento esistenziale e fonte di ispirazione per alcuni dei suoi più celebri versi:

Tu che conosci l’antica pazienza
di sciogliere ogni nodo della corda
e allevi un pioppo zingaro venuto
a crescere nel coccio dei garofani,
lascia ch’io senta in te, come la sorda
nenia del mare dentro la conchiglia,
la voce della casa che il perduto
tempo ha ridotto in cenere.
Maria Luisa Spaziani, "L’antica pazienza"

Mongardino d’Asti, paese natio di Adalgisa, diventa sede dei ricordi ancestrali, nostalgici e talvolta quasi spettrali.

Alberi nudi dentro un tempo nudo
sul cielo del paese di mia madre.
Dove s'ingorga l'acqua nei canali
tra l'erbe risecchita
e la vite s'attorce nella bruma
con mani disperate.
Gotico e lieve il colchico fiorisce
-fiore dell'elegia più lontana-
lungo la mia Sirmana,
lento cielo d'inverno trascinato
verso nessuna foce.
Battono radi uccelli
il cielo del paese di mia madre.
Sostano a volte
tra i pali delle vigne,
o a sera in larghi cerchi sull'immenso
orizzonte di colli,
nel silenzio di gelo che impietrisce
anche la luna,
incidono nell'aria il grido
inebriato.
Maria Luisa Spaziani, "Il paese di mia madre"

Il panorama astigiano richiama rimembranze, giochi, speranze, un passato impalpabile in cui ha origine il suo modo di stare nel sentimento amoroso. Vitale e irrequieto, rappresentato dal simbolo della Volpe, senhal condiviso con Montale, ma che abita già nei paesaggi del ricordo.

Ercolano redenta, certe volte il passano
di colpo riemerge con grandi colpi di coda
e ti spruzza e ti inonda, ti sorprendi o ne urli,
beati gli animali che vivono il presente.

Ma Vorrei quell’aureola, la casacca o lo strascico
che avevo a sette anni in vigne monferrine,
o quel giorno all’altare quando dicevo sì
a un bel fantasma biondo sul punto di dissolversi.

E rovesciare specchi cronologie e oroscopi,
e almanacchi, diari, clessidre e calendari.
Quante volte in futuro l’astutissima volpe
rimetterà la zampa nella stessa tagliola?
Maria Luisa Spaziani, "La volpe"

La mia Torino dei marrons glacés

Il padre Ubaldo è un imprenditore: si occupa di macchinari per il settore dolciario. Nonostante le frequenti trasferte a Trieste (lavorò per i Pastifici Triestini), non rinuncia a essere padre presente, ad accompagnarla nella crescita culturale, in una Torino che risuona ancora nei versi della maturità.

Voi risvegliate, rondini di grazia,
la mia Torino dei marrons glacés,
“Saprai il più magico dei giochi,
saper leggere e scrivere”.

“Papà, radice e luce, prendimi ancora per mano
nell’ottobre dorato del primo giorno di scuola.”
Le rondini partivano, strillavano,
fra cinquant’anni ci ricorderai.
Maria Luisa Spaziani, Torino 1927

Ubaldo la spinge a iscriversi al Circolo filologico di corso Valdocco, così la giovane si getta a capofitto nella vivace vita culturale del capoluogo piemontese: scrive per il Giornale Pietro Micca e per la Gazzetta del Popolo. Studia all’Istituto Bertola e trova un mentore nella figura di Vincenzo Ciaffi: latinista, partigiano, dirigente di Giustizia e Libertà, figura di spicco dell’ambiente culturale torinese degli anni Quaranta e celebre per la regia del “Woyzeck” di Buchner al Teatro Gobetti nel 1946. Non sono ricordi che la poetessa rievoca con nostalgia:

Nei miei vent’anni non ero felice
e non vorrei che il tempo s’invertisse.
Un salice d’argento mi consolava a volte,
a volte ci riusciva con presagi e promesse.
Nessuno dice mai quant’è difficile
la giovinezza. Giunti in cima al cammino
teneramente la guardiamo. In due,
forse la prima volta.
Maria Luisa Spaziani, La mia giovinezza

Pubblicazioni dei giornali "Pietro Micca" (1940) e "La Gazzetta del Popolo" (1865).

Il ciliegio

La famiglia si trasferirà poi definitivamente nella villa di via Pesaro 26. A questo luogo si deve la rappresentazione iconica del rapporto tra la Spaziani e Montale: la celebre foto che li vede ritratti insieme, di fronte al ciliegio di casa Spaziani, piantato nel cortile della casa di famiglia della donna.

Io piango lacrime di morte
sulla casa che invecchia,
sul tetto della mia casa vuota di incantesimi.
Il ciliegio è solo un ciliegio
e più nessun amore mi attende oltre l'angolo della strada.

Agosto smorza il verde con la polvere
e polvere è anche il cielo,
io piango le mie lacrime su questo deserto
che anche l'ultimo angelo ha tradito.
Maria Luisa Spaziani, Polvere è anche cielo

Il ciliegio di casa Spaziani diventerà il simbolo della relazione intellettuale tra i due, al punto da essere rievocato direttamente anche da Montale.

Hai dato il mio nome ad un albero? Non è poco
pure non mi rassegno a restar ombra, o tronco
di un abbandono nel suburbio. Io il tuo
l'ho dato a un fiume, a un lungo incendio, al crudo
gioco della mia sorte, alla fiducia
sovrumana con cui parlasti al rospo
uscito dalla fogna, senza orrore o pietà
o tripudio, al respiro di quel forte
e morbido tuo labbro che riesce,
nominando, a creare; rospo fiore erba scoglio -
quercia pronta a spiegarsi su di noi
quando la pioggia spollina i carnosi
petali del trifoglio e il fuoco cresce.
Eugenio Montale, "Hai dato il mio nome ad un albero?" in "La Bufera"
“Quella poesia" - afferma l’autrice in un’intervista - "è dedicata a me. Quel ciliegio aveva le radici e il tronco dentro l’officina di mio padre: in questa settimana c’è proprio quella vecchia fotografia, su Panorama; si vedono i rami di quell’albero, era un bellissimo grande ciliegio”.
Maria Luisa Spaziani con Eugenio Montale di fronte al ciliegio di casa Spaziani, anni Cinquanta.
Maria Luisa Spaziani con Eugenio Montale di fronte al ciliegio di casa Spaziani, anni Cinquanta.

L'incontro con Montale

Com’è noto i due si erano incontrati proprio a Torino, in circostanze piuttosto rocambolesche. La poetessa rievoca spesso il suo passato di “fan-girl”:

“avevo diciassette anni e non so quale tra le mie cose preziose avrei dato per vedere Montale anche solo per un minuto. […] Alla galleria Gissi di via Po, a Torino, ebbi la ventura di vedere un pittore che l’aveva conosciuto e aveva parlato con lui. Io lo guardavo come un miracolato."

Questi, però, tenterà di dissuaderla dall’incontrare il suo idolo:

“Tieniti le poesie e non cercare di incontrarlo. È molto scostante, non gli piace parlare con gli sconosciuti, tanto meno con le giovani poetesse, figuriamoci [...] È malvestito, avarissimo…”.

Eppure il destino sembra segnato. Il 14 gennaio 1949 Montale è nuovamente a Torino, invitato dall’associazione culturale Aci al Teatro Carignano per partecipare alla conferenza “Poeta suo malgrado”. Maria Luisa fa parte dei giovani poeti chiamati a un incontro con il Maestro, il quale manifesta di conoscere e apprezzare Il Dado. La ragazza non perde tempo: “Viene a pranzo da me?”. Montale è già rapito da quella ragazza: “non sono mai stata bella: ma era sedotto dalla mia vitalità. Lui non era mai stato giovane”. E dà buca al pranzo istituzionale dai Camera (“nell’immaginario comune, come essere invitati dagli Agnelli o dai Savoia”), per fiondarsi a pranzo dagli Spaziani.

Lui apprezzò moltissimo la fonduta con i tartufi di Alba, forse bevve mezzo bicchiere in più rispetto alle sue parche abitudini […], ma non seppe mai spiegare il suo interesse e la sua cordialità per me del nostro primo incontro a teatro”.

Cherchez la femme?

L’incontro fu fatale per Montale: la giovane Spaziani diventa oggetto di amore allo stesso tempo sensuale e intellettuale, inserito nella cornice torinese:

Se t'hanno assomigliato
alla volpe sarà per la falcata
prodigiosa, pel volo del tuo passo
che unisce e che divide, che sconvolge
e rinfranca il selciato (il tuo terrazzo,
le strade presso il Cottolengo, il prato,
l'albero che ha il mio nome ne vibravano
felici, umidi e vinti) - o forse solo
per l'onda luminosa che diffondi
dalle mandorle tenere degli occhi
Eugenio Montale, "Se t'hanno assomigliato" in "La Bufera"
Eugenio Montale nel 1965.
Eugenio Montale nel 1965.

L'Orso e la Volpe

L’amore di Montale si scontrerà con l’affetto di Maria Luisa per l’allora giovane filosofo torinese Elémire Zolla, che sposerà nel 1958. Il matrimonio avrà comunque breve durata, mettendo anche fine alla permanenza torinese della poetessa, quando ella si trasferirà temporaneamente per insegnare all’Università di Messina. I continui viaggi, da ricordare le frequentazioni di Francia e Stati Uniti, relegheranno Torino alla base di partenza per i continui spostamenti, ma anche il luogo dei ricordi dell’età dell’innocenza, in cui confluiscono impressioni naturalistiche e reverie infantili.

Con lunghi scivoli d’onda e riccioli barocchi
il Po modellava la mia mente bambina.
Vedevo flettersi nuvole e immaginavo la foce
dove tutti i nodi vengono al pettine.

Da allora l’acqua impetuosa continua
a scorrere impietosa ogni giorno, ogni notte.
Io cresco lontana cercando nei suoi gorghi
misure, ritmi, cadenze e talvolta una rima.

Anche nel mio silenzio, dove il mondo si specchia,
riconosco a cent’anni la voce del fiume bambino.
Il ponte della Gran Madre - e così mi è apparso in sogno -
è il grande anello nunziale fra origine e fine
Maria Luisa Spaziani, Torino 1932

Ciò non impedì a Orso e Volpe di intensificare il proprio epistolario, la frequentazione milanese e lo scambio di profumi, fiori e poesie d’amore, fino a rendere all’interno del pantheon simbolico Montaliano la Spaziani la figura rappresentativa dell’eros.

“La ricerca del fantasma femminile percorre l’esistenza di Montale e tutta la sua scrittura" - scrive Giusi Baldissone - "Le donne di Montale sono muse son offre della fantasia poetica, i cui senhal non solo le rappresentano, ma le sostituiscono.”
Maria Luisa Spaziani nel suo studio (fonte: repubblica.it).
Maria Luisa Spaziani nel suo studio (fonte: repubblica.it).

La sezione Madrigali Privati della terza raccolta La Bufera, si chiude con lo svelamento del senhal mediante il procedimento dell’acrostico.

Mia volpe, un giorno fui anch’io il “poeta
assasinato”: là nel noccioleto
raso, dove fa grotta, da un falò;
in quella tana un tondo di zecchino
accendeva il tuo viso, poi calava
lento per la sua via fino a toccare
un nimbo, ove stemprarsi; ed io ansioso
invocavo la fine su quel fondo
segno della tua vita aperta, amara,
atrocemente fragile e pur forte.
Sei tu che brilli al buio? Entro quel solco
pulsante, in una pista arroventata,
àlacre sulla traccia del tuo lieve
zampetto di predace (un’orma quasi
invisibile, a stella) io, straniero,
ancora piombo; e a volo alzata un’anitra
nera, dal fondolago, fino al nuovo
incendio mi fa strada, per bruciarsi.
Eugenio Montale, La Bufera

Quella donna, nascosta attraverso nomi fittizi e procedimenti letterari, rappresentò per il poeta il primo “amore adulto” (Giuseppe Mercenaro), ma anche l’autrice fantasma di tanto del Montale giornalista:

sollecitato dal giornale di scrivere articoli ai quali Montale non si sentiva o non aveva voglia di applicarsi, lei pronta si offriva di aiutarlo e il foglio scritto da lei ed avallato dalla firma di lui trovava il suo esito sulle pagine del “Corriere della Sera”. Un piccolo amoroso imbroglio.

Un imbroglio che comunque relega la Spaziani a musa, prima che autrice, all’ombra del grande uomo, prima che autrice di un corpus letterario autonomo, che a partire dalla raccolta Le acque del Sabato del 1954 non vive in alcun modo di luce riflessa.

Le duemila poesie che ho scritto sono graniglia di un vasto fiume.
Scruta, setaccia, filtra la memoria.
Raccoglie sabbia d’oro.
Sono figlia di duemila poesie,
le nutrie e mi nutrono, le celesti mammelle.
Parlo al mondo e a me stessa, il fiume incorpora
grandi parole altri tra vangeli e corani.
Siamo rimasti in pochi al mondo. Romba
ovunque quel fragore insostenibile.
Ridateci il deserto. A questo portano
millenni per combattere il deserto.
Copertina de
Copertina de "Le acque de sabato" di Maria Luisa Spaziani, 1954.

Eppure, nei lunghi anni di quella relazione, scaturita fortunosamente a Torino, Montale ebbe ben chiaro il tributo a lei dovuto:

Di fronte alla “volpe” mi son paragonato a Pafnuzio, il frate che va per convertire Thais ma ne è conquistato. Vicino a lei mi sono sentito un uomo astratto vicino a una donna concreta: lei viveva con tutti i pori della pelle. Ma anch’io ne ricevevo un senso di freschezza, il senso soprattutto d’essere ancora vivo.

Ciò nonostante, sceglierà poi come moglie Drusilla Tanzi, “Mosca”, donna materna, protettrice (“noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue”), che cattura il poeta a sé con la minaccia di gettarsi dalla finestra. Volpe è stata una fuga dai “ranghi del quotidiano”, a cui il poeta non riesce definitivamente a sottrarsi.

Il femminismo parte dalle definizioni

Negli anni prima della dipartita, il 30 giugno 2014 a Roma, la Spaziani rivendica il proprio femminismo, al punto da pretendere di esser definita ‘poeta’ e non ‘poetessa’:

È una questione relativa al peso che nel tempo è stato dato ai due termini. Io sono nata femminista e non potevo sopportare che per decenni, forse tutt’ora, essere ‘poetessa’ fosse una cosa da poco conto: si premiavano i poeti, noi donne eravamo sempre il fanalino di coda e non ci veniva riconosciuto mai un bel niente. Quante poete sono state estromesse dall’ambiente e dalla memoria seppur fossero dei gioielli rari della nostra letteratura? Quell’“essa” è stato caricato di un senso svilente.

Non a caso l’opera che ricorderà per sempre con maggiore affetto fu il poema in ottave Giovanna d’Arco, simbolo del tentativo femminile di trovare uno spazio eroico e autonomo rispetto al maschile.

Per me Giovanna d’Arco è semplicemente la poesia; è la donna come dovrebbe essere dopo ogni femminismo riuscito, e cioè una creatura che abbia le stesse potenzialità di un uomo ma che agisce autonomamente, secondo il suo personale destino, secondo i suoi gusti, le sue scelte, in stretta simbiosi con l’universo maschile.
Copertina del poema
Copertina del poema "Giovanna d'Arco" di Maria Luisa Speziani, prima edizione del 1990.

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Bibliografia

  • Baldissone G., Le Muse di Montale, Novara, Interlinea, 1996.
  • Mengaldo P. V. (a cura di), Poeti Italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1978.
  • Mercenaro G., Eugenio Montale, Milano, Mondadori, 1999.
  • Montale E., Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1984.
  • Nscimbeni G., Montale, biografia di un poeta, Milano, Longanesi, 1986.
  • Spaziani M. L., Montale e la Volpe, Milano, Mondadori, 2011.
  • Spaziani M. L., Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 2012.
  • Spaziani M. L., Pallottoliere Celeste, Milano, Mondadori, 2019.

SITOGRAFIA

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