Il pick up-clinica mobile che attraversa un ponte stagionale per raggiungere i villaggi remoti nel sud del Myanmar.
MedAcross è un’associazione senza scopo di lucro fondata da un gruppo di amici torinesi, con lo scopo di fornire aiuti umanitari alle popolazioni che non hanno accesso alle cure sanitarie di base. La costituzione, avvenuta a luglio 2016, è conseguente a un’esperienza in ambito sanitario che l’attuale consiglio direttivo aveva avuto in Somaliland – territorio che negli anni Novanta si staccò dalla Somalia per non partecipare alla guerra civile, oggi considerato autonomo e indipendente – e che aveva portato tra il 2011 e il 2015 alla costruzione e alla gestione di un ospedale pediatrico.
MedAcross decide di spostarsi nel Sud-Est asiatico operando in Myanmar, un paese che nel 2016 era appena entrato in una fase di apertura al mercato internazionale consentendo un più facile accesso agli operatori del settore umanitario. La scelta ricade su Kawthaung, il punto più a sud del Myanmar, posto al confine con la Thailandia, una delle zone più povere e periferiche del paese. Ma i rapporti di Torino con la Birmania, così si chiamava fino al 1989 l’odierno Myanmar, hanno origini più antiche…
Il legame tra Italia e Birmania affonda le sue radici nella storia: già nel Settecento i barnabiti, in gran parte lombardi, si spingono in terra birmana, ma sono religiosi piemontesi a stringere nell’Ottocento profonde relazioni tra il Regno di Sardegna prima e il Regno d’Italia poi con il lontano paese asiatico. Era cuneese padre Giuseppe Enrici giunto a Yangon nel 1839 anche se sarà poi con la figura del missionario Paolo Abbona, nato a Monchiero nel 1806, che i rapporti con la Birmania si intensificheranno, grazie al suo ruolo di mediatore e alle sue abilità diplomatiche. Nel Novecento la memoria dei piemontesi in terra birmana vive nelle pagine del Dizionario Biografico degli Italiani dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani e negli scritti di accademici e studiosi Oblati.
Su Rivista Savej abbiamo riservato uno spazio di approfondimento alla storia dei rapporti tra il Piemonte e la Birmania, nel frattempo, per giungere ai giorni nostri, sappiamo che è il Duemila a riscoprire le radici lontane e rivitalizzare questo legame: negli ultimi due decenni sono state numerose le occasioni di incontro e collaborazione tra i due paesi e il ruolo di Torino è stato centrale. In particolare la nomina dell’Onorevole Piero Fassino a Inviato Speciale dell’Unione Europea per il Myanmar favorisce un clima culturale e politico che, nel giugno del 2011, sfocia nella consegna della cittadinanza onoraria di Torino a Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace 1991 e capo dell'opposizione birmana, mentre nel 2013 il Sindaco di Torino, Piero Fassino e il Sindaco di Yangon, Hla Myint, hanno siglato il gemellaggio tra le due città. Nel 2015 segue il Memorandum di Intesa: si formalizzano così le attività di cooperazione già in corso tra Torino e Yangon. È proprio in questo clima culturale e politico di Torino nei primi decenni del Duemila che si può collocare il ruolo di MedAcross.
Per raccontare come MedAcross stia portando avanti le attività di aiuti umanitari in Myanmar ci siamo rivolti a Erika Vitale e Vittoria Brucoli, rispettivamente Country manager e Responsabile comunicazione e fundraising dell’associazione.
I progetti attualmente in essere di MedAcross sono molteplici, ma tutto ebbe inizio proprio in Myanmar con il supporto alla ristrutturazione della sede e la fornitura di equipaggiamento medico-sanitario a una organizzazione religiosa, gestita dalle suore de Notre Dame des Missions che offrivano aiuto alla popolazione locale. Dopo aver aumentato lo staff sanitario, prima composto da una sola infermiera, MedAcross nel 2019 ha costruito una sede più grande e implementato il servizio di cliniche mobili per raggiungere otto piantagioni e villaggi della zona.
Erika conosce bene il territorio di cui stiamo parlando e ci racconta quanto sia difficile per chi vive in queste zone rurali ricevere assistenza medica:
Le infrastrutture sono scarse, esiste una sola strada asfaltata, non ci sono mezzi di trasporto né reti di supporto e, nonostante ciò, sono zone popolose che concentrano almeno il 65% della popolazione del distretto: si tratta per lo più di migranti interni che arrivano da altre zone del paese e che lavorano nelle piantagioni di palma da olio e caucciù, causa di un grande fenomeno di deforestazione.
Il progetto di MedAcross, prosegue Erika, risponde alle esigenze del territorio, per questo nel 2020 le cliniche mobili si sono attivate anche su barca. La zona si affaccia infatti su una parte dell’arcipelago delle Andamane, dove la popolazione apolide dei Moken – detti anche "zingari del mare" – vive di pesca a immersione, utilizzando la terraferma solo nella stagione delle piogge.
Una caratteristica del nostro approccio – ci spiega Vittoria – è l’impiego e la valorizzazione di personale originario del luogo. Distribuire servizi con uno staff che condivide la cultura della popolazione locale crea un rapporto di fiducia. All’inizio accedevano meno persone, ora le comunità si sentono a loro agio con noi. Stringere partnership con le realtà locali è molto importante, soprattutto all’inizio. È fondamentale per noi accogliere le richieste delle persone e fare bagaglio di esperienze altrui, coinvolgendo le comunità. Il lavoro di coordinamento e di ascolto è essenziale in un progetto strutturale come il nostro.
La presenza di MedAcross in Thailandia è invece iniziata nell’estate del 2021, grazie al contributo del Comune di Torino, il cui supporto ha permesso di creare un progetto di clinica mobile per i migranti birmani nell’area di Ranong. Essendo un paese emergente a livello economico e non considerato prioritario per la necessità di aiuti umanitari, la presenza di ONG è molto ridotta, eppure le necessità sono le stesse, soprattutto nella zona di Ranong, dove si concentrano molti migranti birmani. Il 70% della totalità dei birmani che non vive nel paese d’origine risiede in Thailandia: il confine in quella zona è molto labile per la presenza di un fiume, che in alcuni punti è poco profondo, e di ampie zone forestali facilmente attraversabili. La Thailandia inoltre apre e chiude le frontiere a seconda della necessità di manodopera e le periferie della città peschiera di Ranong si sono popolate di migranti birmani.
Un dottore e una dottoressa thailandesi che assistono giovani e lavoratori migranti birmani nella provincia di Ranong, Thailandia.
Un altro grande dramma diffuso da tempo in quest’area è quello della tratta sessuale: giovani donne birmane vengono attratte da agenti in Thailandia con la promessa di un lavoro e poi costrette alla prostituzione sulle strade, senza protezione alcuna. È una delle cause del dilagarsi dell’HIV: i numeri dei colpiti – in gran parte sottostimati vista la difficoltà nel definire i casi di positività in queste aree – impennano proprio nei punti più sensibili della tratta. Molte di queste ragazze si vedono costrette a tornare in Myanmar, una volta contratto il virus, ma la vita di un sieropositivo qui non è semplice, come ci spiega Erika.
C’è una percezione molto negativa dei sieropositivi in Myanmar: basti pensare che in un questionario sottoposto alla popolazione qualche anno fa alla domanda “Compreresti del cibo prodotto da un sieropositivo?” la gran parte delle risposte è stata “Assolutamente no”. Un sieropositivo ha grandissime difficoltà a trovare un qualsiasi impiego e per questo le famiglie che hanno contratto il virus vivono in condizioni di estrema povertà. Il risultato è che le persone nascondono la propria positività, facendo circolare ancor più l’HIV.
MedAcross interviene proprio nei confronti di queste famiglie, offrendo visite periodiche di controllo e supporto alimentare e informativo sull’HIV. Ma non solo.
Le suore con cui collaboriamo in Myanmar – ci racconta Vittoria – hanno creato un laboratorio tessile che accoglie le ragazze scappate dalla tratta sessuale oppure tornate perché sieropositive o intercettate dalle suore de Notre Dame des Missions, prima di essere costrette alla prostituzione. Viene offerto loro un corso di produzione tessile e gli accessori prodotti da queste donne vengono acquistati da noi di MedAcross e rivenduti durante i nostri eventi. I ricavi ottenuti sono destinati all’acquisto di medicinali da destinare alle cliniche mobili, in un cerchio di solidarietà che unisce due necessità: dar loro una fonte di guadagno costante e far conoscere in Italia questa piccola realtà di emancipazione femminile.
L’ultimo progetto in ordine cronologico di MedAcross ha invece le basi in terra africana, è finanziato dalla Fondazione Specchio dei Tempi e si colloca proprio lì dove tutto ebbe inizio più di dieci anni fa. Se infatti l’ospedale costruito prima che MedAcross venisse ufficialmente fondata è oggi autonomo e parte integrante del servizio sanitario nazionale, non c’è meno necessità di altri aiuti concreti e soprattutto delle efficienti cliniche mobili già collaudate nel Sud-Est asiatico. Ci troviamo ad Hargheisa, capitale del Somaliland, le cui aree periferiche pullulano di campi di sfollati. Qui le persone vivono nel mezzo del deserto e percorrere quella decina di chilometri per recarsi all’ospedale cittadino è praticamente impossibile. Il governo fornisce tank di acqua e poco altro.
Le condizioni di vita sono però molto diverse rispetto al Myanmar: il cambiamento climatico sta condizionando in modo drammatico la vita della popolazione del Somaliland. La stagione delle piogge è ormai ridotta e, soprattutto, è del tutto imprevedibile. Per una società che vive sull’allevamento questo ha generato cause devastanti, come carestie e denutrizione diffusa. L’aiuto di MedAcross è qui rivolto soprattutto ai bambini che vengono curati nelle cliniche mobili pediatriche o trasferiti all’ospedale di Hargheisa.
Se in Asia ottenere autorizzazioni e permessi per operare nel settore umanitario è molto complicato, in Somaliland la situazione non è migliore:
Avere a che fare con la burocrazia di questi paesi è sempre molto complesso e non è facile trovare subito l’approccio più giusto: la prima barriera sta nel linguaggio e soprattutto nella cultura, così diversa dalla nostra. È compito delle non-profit adattarsi ai meccanismi decisionali più naturali nei paesi in cui si coopera, non imponendo un’idea preesistente di sviluppo ma cercando soluzioni specifiche, insieme alle autorità locali e mantenendo sempre un’imparzialità politica.
Clinica mobile nel campo profughi di Galah (Somaliland) e piccola paziente durante la distribuzione di volantini di awareness sull'epidemia di dengue.
In dinamiche così complicate tenere le redini di un’associazione come MedAcross non è certamente semplice e servono ruoli di professionalità specifiche. Erika viene coinvolta più spesso in missione, anche se dopo il Covid il lavoro a distanza si è reso molto efficace, e il suo lavoro è a stretto contatto con lo staff locale:
La mia posizione lavorativa è molto ampia: mi occupo della gestione dei progetti che significa, tra le altre cose, coordinare lo staff in loco e occuparsi di tutta la gestione finanziaria, dalla programmazione dei progetti alla rendicontazione ai donatori. Adattarsi ai diversi fusi orari non è semplice: la mia giornata tipo inizia in Myanmar (4/5 ore in avanti rispetto a noi,) mentre in tarda mattinata o nel pomeriggio contatto il Somaliland. Obiettivi, aggiornamenti sugli avanzamenti dei lavori, strategie relazionali sono le principali attività.
Più legato alla sede di Torino ma certamente non meno importante è invece il lavoro di Vittoria:
Il mio ruolo è complementare a quello di Erika: scrivo i progetti e mi occupo della raccolta fondi che può avvenire tramite l’organizzazione di eventi, ma soprattutto con la partecipazione a bandi. Se Erika guarda più al presente e deve gestire problemi immediati dal giorno alla notte, io invece guardo più al futuro, immaginando come far evolvere i progetti tra un anno. Oltre a questo, sono responsabile della comunicazione: la mia mattina inizia con la revisione del sito, l’aggiornamento dei social media e le relazioni con i donatori singoli. I nostri ruoli sono comprimari, ci scambiamo moltissime informazioni.
Dinamicità, problem solving e adattamento stanno alla base delle mansioni di Erika e Vittoria che si reputano fortunate di poter mettere in pratica i loro titoli di studio proprio nel lavoro per cui hanno fatto tanti sacrifici. Professioni che regalano grandi soddisfazioni: per Erika i momenti più belli della sua attività lavorativa sono quando può lavorare con lo staff sul posto e trovare insieme soluzioni efficienti, per Vittoria è riuscire a vedere con i propri occhi la realizzazione di un progetto in forma concreta. Oltre agli aspetti negativi che fanno parte del gioco – come una raccolta fondi che non dà i risultati sperati o un bando non vinto – entrambe concordano sull’esperienza più brutta vissuta:
Il momento più difficile è stato nel 2021, quando il colpo di stato in Myanmar ha reso molto complicata la gestione e la protezione del nostro staff locale. È difficile sapere che colleghi con cui si è stabilito un legame professionale quotidiano siano in una situazione a rischio ed essere consapevoli che la situazione è critica a livello nazionale e poco si può fare a distanza durante una pandemia.
Infatti, anche l’emergenza pandemica del Coronavirus non ha reso le cose semplici:
La situazione in Myanmar è stata molto diversa rispetto all’Italia: l’emergenza è scoppiata circa sei mesi dopo, nell’agosto 2020. Nonostante il sistema sanitario fosse ancora meno pronto del nostro ad affrontarla, il fatto che la popolazione sia molto giovane (età media di 29 anni) e il non avere possibilità di spostarsi sono elementi che hanno ostacolato il virus. Era però molto difficile trovare anche i dispositivi sanitari più comuni, come le mascherine chirurgiche e il gel disinfettante, perché l’Europa stava acquistando tutto il materiale reperibile.
Abbiamo adattato i nostri protocolli sanitari alla loro realtà: una clinica mobile in un villaggio rurale è molto diversa rispetto a un ospedale cittadino italiano. Per di più dopo il colpo di stato il personale sanitario statale ha boicottato il nuovo governo, lasciando gli ospedali vuoti e organizzando grandi manifestazioni di protesta, momenti di aggregazione che hanno contribuito alla diffusione del virus.
Se per Vittoria in futuro sarà sempre più necessario contestualizzare il proprio modello lavorativo e le proprie idee al contesto politico e sociale specifico dove si va a operare, fornendo una risposta alle esigenze in continua evoluzione, per Erika sarà importante slegare il terzo settore dal volontariato.
Se non lo facciamo rischiamo di non vederlo mai come una professione. Il nostro consiglio di amministrazione non percepisce rimborsi di alcun tipo, ma le persone che lavorano per MedAcross sono regolarmente retribuite, in base alle responsabilità e alle qualifiche professionali in loro possesso. Il concetto di volontariato è restrittivo, pensando alle possibilità di sviluppo che ha MedAcross: magari tra dieci anni non avremo sedi in tutto il mondo, ma essere una realtà piccola fa sì che i legami con i sostenitori vengano mantenuti al meglio ed è anche più facile garantire la trasparenza. Inoltre, le associazioni di puro volontariato crescono molto più lentamente perché non hanno competenze specifiche nel settore.
MedAcross assume e continuerà ad assumere personale locale, risorse preziose che permettono di conquistare la fiducia delle persone in difficoltà e che danno il massimo in quello che fanno:
I diversi team sanitari in Myanmar, Thailandia e Somaliland sono costituiti interamente da professionisti locali che il nostro Comitato Scientifico, costituito da medici specializzati e professori di medicina, visita periodicamente per fornire workshop tecnici. I team hanno un’ampia presenza di donne, che consente alla popolazione femminile dei luoghi remoti in cui operiamo di approcciarsi ai nostri servizi medici gratuiti con maggior naturalezza, in particolare per i programmi di maternità e di salute riproduttiva. In ogni progetto prestiamo particolare attenzione all’empowerment femminile, fornendo training sulla nutrizione e sulla medicina di base, che contribuiscono a creare leader femminili nelle comunità rurali che visitiamo con le Cliniche Mobili.
Le storie che si potrebbero raccontare sono tante, come ad esempio le Cliniche Mobili donna-bambino che assistono le donne durante la gravidanza o il progetto, purtroppo modificato dopo il colpo di stato birmano, che prevedeva la formazione di diverse levatrici. È evidente quanto una realtà come MedAcross possa fare la differenza in queste zone del mondo. MedAcross ha bisogno dell’aiuto di tutti per crescere e arrivare fino al più remoto dei villaggi, fino all’ultimo bambino che necessita di aiuto. Per farlo possiamo sostenere i loro progetti donando mensilmente una piccola somma. La continuità dà sostegno nel tempo e permette di creare progetti più strutturali e con una visione più a lungo termine e non una risposta temporanea a un’emergenza improvvisa. Per donare basta visitare il sito dell’associazione o scrivere a Vittoria su comunicazione@medacross.org.
🙏 Si ringraziano Vittoria ed Erika per la disponibilità a raccontarsi e Anna Maria Abbona Coverlizza per l’excursus storiografico in apertura e l’approfondimento su Rivista Savej.