Oasi Zegna, 80 anni di innovazione tra natura e impresa

Il pensiero verde di un'azienda all'avanguardia

Panoramica Zegna, conca dei rododendri (© Archivio Storico Ermenegildo Zegna)
Paolo Patrito
Paolo Patrito

Giornalista, copywriter e storyteller. Collabora con diverse testate locali e nazionali. Si è occupato di diversi temi, dai viaggi al lifestyle, passando per l’arte e la cultura. Attualmente i suoi principali interessi sono la storia e la cultura piemontesi, le case history aziendali, i ritratti di personaggi del mondo creativo e dell’innovazione. Quando non scrive per i giornali aiuta le aziende a comunicare meglio, o almeno ci prova.

  

Quando si pensa a un’oasi si immagina un’area naturale dove flora e fauna sono preservate. Ciò è certamente valido anche per l’Oasi Zegna, la grande riserva che si sviluppa sulle montagne biellesi, ma questa è solo una parte della storia. L’Oasi Zegna, infatti, è un luogo dove si incrociano aspetti diversi. C’è la bellezza del paesaggio — certo — con i grandi boschi di abete rosso dentro i quali serpeggia la celebre “Panoramica Zegna”, la flora che dà il meglio di sé in luoghi da cartolina come la “Conca dei Rododendri”, gli impianti sciistici, i panorami sulla pianura che nei giorni tersi si estendono fino a raggiungere tutto l’anfiteatro piemontese delle Alpi. Come spesso accade, fermarsi alle apparenze significa però rimanere in superficie e leggere solo una metà della storia, per quanto affascinante.

L’altra metà parla di un progetto di profonda trasformazione del territorio che affonda le radici nella prima metà del secolo scorso e si intreccia con il romanzo dell’industria tessile Zegna e la visione filantropica del suo capostipite, Ermenegildo Zegna. È proprio dalla figura di Ermenegildo, creato conte di Monte Rubello di Trivero nel 1940 ma per tutti gli abitanti del Biellese “Monsù Gildo”, che è indispensabile partire per leggere cosa sia oggi l’Oasi Zegna e perché rappresenti un unicum non soltanto in Piemonte.

Ermenegildo Zegna (© Archivio Storico Ermenegildo Zegna)
Ermenegildo Zegna (© Archivio Storico Ermenegildo Zegna)

Una vita per la lana

Ermenegildo Giacomo Zegna nacque a Trivero (oggi Valdilana), in provincia di Biella (allora provincia di Novara), il 2 gennaio 1892, da Michelangelo Zegna Baruffa e Maria Caterina Lesna Tamellin. Ermenegildo, erede di una famiglia di tessitori attestata nel territorio di Trivero fin dal Medioevo, era il nono di undici figli che il padre Michelangelo Zegna Baruffa aveva avuto con la seconda moglie Maria Caterina Lesna Tamellin, dopo che i due eredi nati dal precedente matrimonio con Angela Maria Tonella erano morti in età infantile. Nel 1909 Zegna si diplomò perito tessile presso la prestigiosa Regia Scuola professionale di Biella e l’anno successivo, ancora minorenne (all’epoca si raggiungeva la maggiore età a 21 anni) fu emancipato per poter costituire, assieme ai fratelli Edoardo e Mario e al socio Costanzo Giardino Vitri, la società Zegna & Giardino dedicata alla produzione di panni di lana. Negli anni successivi gli altri soci si ritirarono e i fratelli Zegna condussero la società attraverso la Prima guerra mondiale, durante la quale il lanificio fu convertito per sostenere lo sforzo bellico producendo il panno grigioverde destinato all’Esercito e al personale ausiliario. Gli anni Venti e Trenta videro l’azienda condotta da Ermenegildo Zegna — che aveva nel frattempo rinunciato al secondo cognome, Baruffa, per evitare confusioni con altri concorrenti — crescere e consolidarsi sui mercati domestici e internazionali, anche grazie ai frequenti viaggi in Europa e negli Usa, dove nel 1941, prima dell'entrata in guerra degli Stati Uniti d’America, i tessuti Zegna furono premiati come i migliori all’Esposizione di abbigliamento maschile di New York.

In quegli anni prese corpo la visione di Ermenegildo Zegna, sul piano industriale con la scelta sempre più radicale di dedicarsi ai prodotti lanieri di fascia alta e con l’apertura di diverse società satellite che avrebbero rivoluzionato la filiera del tessile, mettendo l’azienda direttamente in contatto con i clienti finali.

Piantumazione della conca dei rododendri alla fine degli anni Quaranta (© Achivio Storico Ermenegildo Zegna).
Piantumazione della conca dei rododendri alla fine degli anni Quaranta (© Achivio Storico Ermenegildo Zegna).

L'attenzione per l'ambiente

Gli anni Trenta, però, furono anche quelli in cui Ermenegildo Zegna iniziò a prodigarsi per il territorio che lo aveva supportato nella crescita della sua azienda. Lo fece attraverso un complesso piano di sviluppo che incrociava bonifica ambientale, welfare e costruzione di opere pubbliche a favore della comunità. A partire dal 1929 le pendici del Monte Rubello divennero oggetto di un ciclopico programma di rimboschimento. Nei decenni successivi furono messi a dimora oltre 500 mila nuovi alberi, in gran parte conifere, oltre a centinaia di azalee e ortensie ma soprattutto rododendri, importati dai vivai del Belgio e sistemati sotto la supervisione del più grande architetto italiano del paesaggio, Pietro Porcinai. Per Ermenegildo Zegna bellezza e utilità non potevano essere disgiunte, come visione e concretezza. Il progetto del conte di Monte Rubello nasceva quindi per curare un territorio pesantemente sfruttato dalle generazioni precedenti che, a causa di questo depauperamento, aveva perso via via le sue caratteristiche originarie: le immagini dei primi anni Venti ci restituiscono montagne aride e brulle, dove le foreste avevano ceduto il passo a pascoli peraltro in gran parte abbandonati. Lo spopolamento delle aree di montagna, infatti, si faceva sentire già un secolo fa, favorito anche da un’economia alpina in crisi e dalla difficoltà di raggiungere quest’area geografica per via della mancanza di vie di comunicazione adeguate.

Conca dei rododendri, fioriture (© Achivio Storico Ermenegildo Zegna).

Uomo e natura

Zegna rispose a questa sfida con un approccio integrato, che da un lato metteva al centro la fabbrica e le sue maestranze, dall’altro preservava l’ambiente e tentava di ristabilire un equilibrio tra uomo e natura. Dal 1930 al 1940 l’imprenditore tessile fece costruire, poco a monte del lanificio, il nucleo di quello che sarebbe diventato il Centro assistenziale Zegna o Centro Zegna. Si trattava di un insieme di edifici modernissimi per l’epoca, pensati per fornire servizi e intrattenimento non solo ai dipendenti della fabbrica ma a tutti gli abitanti di Trivero. Così, il 9 gennaio 1933, il giornale Il Popolo Biellese descriveva il centro appena inaugurato:

Il sorgente edificio del Dopolavoro, che nelle decorazioni risente dello stile e del gusto olandesi, è bellissimo. Esso consta di un teatro al quale verrà applicato anche l’apparecchio per le proiezioni delle pellicole parlate, di un ampio locale adibito a mescita di bibite, di una cucina, di sale di lettura, scrittura, eccetera. Fuori si stendono ampi piazzali di soggiorno, lunghe terrazze per i giuochi delle bocce e del tennis, comodi belvederi ed una giovane pineta che incornicerà il delizioso e comodo luogo con un vario verde e balsamico di piante odorose. Il Dopolavoro, fatto costruire dalla Ditta Zegna ed il cui costo si aggira sulle 600.000 lire, è dotato dei più moderni servizi ed il locale della mescita con annessa cucina per il servizio di ristorante non ha nulla da invidiare coi più moderni impianti del genere. Il Dopolavoro di Trivero, i cui interni sono stati aperti in questi giorni al pubblico è certamente uno dei migliori d'Italia rispetto la popolazione.
Foto storica dell'edificio del Dopolavoro, anni '40 (© Achivio Storico Ermenegildo Zegna).
Foto storica dell'edificio del Dopolavoro, anni '40 (© Achivio Storico Ermenegildo Zegna).

Ermenegildo Zegna aveva chiaro che il lanificio non poteva esistere senza le sue maestranze, ma quelle maestranze dovevano avere condizioni di vita migliori di quelle di un paese isolato e frazionato in decine di borgate. Bisognava quindi creare servizi e opportunità sul posto, per evitare la fuga delle persone verso la pianura e la città.

Ecco perché il Centro Zegna riuniva servizi essenziali ed attività ricreative: dal cineteatro ai campi da tennis e di bocce, dalla prima piscina coperta del territorio (1937) alla palestra e alla galleria commerciale, dall’asilo all’albergo-ristorante, dall’Opera Nazionale Maternità e Infanzia al Poliambulatorio con annesso reparto ostetrico che dal 1940 in poi avrebbe visto nascere più di 8.000 bambini.

Veduta del Centro Assistenziale e della Strada Panoramica fine anni '40 (© Achivio Storico Ermenegildo Zegna).
Veduta del Centro Assistenziale e della Strada Panoramica fine anni '40 (© Achivio Storico Ermenegildo Zegna).

Più di una strada

Quando, nel 1938, l’attività delle opere assistenziali Zegna era ormai ben avviata, Ermenegildo puntò gli occhi sulla realizzazione di un’opera non meno ambiziosa. Una strada, oggi nota come Panoramica Zegna, che, quasi invisibile attraverso la montagna, rendesse più accessibili sia il lanificio che le aree montane retrostanti, collegandole alla pianura e all’Alta Valle Cervo. La strada, che doveva servire a rendere più fruibili territori quasi dimenticati, strizzava già un occhio al turismo e l’altro alla sostenibilità ambientale. Lungo il tragitto di 26 chilometri, iniziato nel 1938 e completato nel 1977, undici dopo la morte dell’ideatore, Ermenegildo Zegna, scomparso nel 1966, vennero piantati alberi e piante da fiore per abbellire il percorso e renderlo il meno invasivo possibile verso l’ambiente naturale. La costruzione della strada, prevista larga 4 metri, ma ampliata a 7 e già asfaltata nel 1955, fu un’opera titanica che vide impiegati centinaia di operai con la sola interruzione della Seconda guerra mondiale. Nell’immediato dopoguerra i lavori ripartirono e la società Monte Rubello, che gestiva l’avanzamento dell’opera, poté anche assorbire in parte gli esuberi di maestranze del lanificio Zegna, provato dal conflitto appena concluso. L’epopea della Panoramica Zegna è ben documentata da molte fotografie dell’epoca e da una serie di dipinti commissionati da Ermenegildo al pittore Ettore Olivero Pistoletto, padre di Michelangelo che sarà poi tra i massimi protagonisti della corrente dell’arte povera.

"Soggiorno alla Casa Alpina Monte Rubello", Ettore Olivero Pistoletto, 1952 (© Achivio Storico Ermenegildo Zegna).

Welfare, bonifiche e servizi

L’esistenza di una via di comunicazione che attraversava l’intero territorio che oggi conosciamo come Oasi Zegna permise di sviluppare altri progetti. Nei primi anni Cinquanta, nel punto più elevato del percorso (1.500 m) si realizzò un piazzale panoramico attorno al quale, negli anni successivi, venne costruita la località di Bielmonte con gli impianti di risalita. Tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, sulla spinta del boom economico, i lavoratori in forza al lanificio Zegna passarono da 1.000 a 1.400. Per loro vennero costruiti veri e propri villaggi, costituiti da condomini e singole abitazioni, realizzati attraverso una filosofia estetica rispettosa dell’ambiente che oggi definiremmo “a basso impatto”. E poi la colonia alpina per i ragazzi biellesi, un albergo divenuto scuola alberghiera, il brefotrofio e altri edifici di servizio.

Pubblicità lanificio Zegna, metà anni '50 (© Achivio Storico Ermenegildo Zegna).
Pubblicità lanificio Zegna, metà anni '50 (© Achivio Storico Ermenegildo Zegna).

Il germe della visione di Ermenegildo Zegna, quello che innerva oggi l’Oasi che porte il nome della sua famiglia, era già contenuto nel Progetto di bonifica integrale del bacino montano del torrente Sessera, un complesso progetto di riqualificazione elaborato per Zegna dall’ingegner Emilio Paltrinieri, centurione della Milizia Nazionale Forestale, nel 1940. Secondo gli estensori di questo progetto, in parte rimasto incompiuto a causa delle difficoltà degli anni Trenta e della catastrofe rappresentata dalla Seconda guerra mondiale, il bacino del Sessera dalle sorgenti alla diga del Piancone (centrale idroelettrica fatta costruire nel 1938 da Ermenegildo Zegna per soddisfare il fabbisogno energetico del lanificio) non sarebbe diventato una fitta foresta disabitata da sfruttare solo per il suo legname. L’idea maturata in Zegna e nei suoi collaboratori era di tutt’altra portata. Bonificare — bonum facere — la Valsessera significava letteralmente renderla buona, fruttifera, redditizia, tanto per la vita selvatica che l’avrebbe popolata come e più di sempre, quanto per gli uomini che l’avrebbero abitata e coltivata. La nuova strategia integrale voleva bonificare la Valsessera anche per proporre quell’area rispetto a scenari diversi e, fino ad allora, non immaginati.

Un’altra attività — si legge nel progetto — che certamente non mancherà di svilupparsi quando sarà compiuta la trasformazione fondiaria del bacino è il turismo, oggi quasi completamente assente. Il Sessera è lo sbocco naturale di tutte le correnti sportive del Biellese; esso potrà divenire un luogo di soggiorno estivo ideale e offrire nell’inverno possibilità sciistiche notevoli.

Più in alto, la Panoramica Zegna svela l’origine del suo nome, offrendo viste spettacolari sulla pianura, inframmezzate dai panorami che occasionalmente si aprono sul versante opposto, come a Bocchetta di Margosio, che offre una bella vista sul Monte Rosa o, più avanti, a Bocchetto Sessera, balcone privilegiato sull’Alta Valsessera, un ampio territorio quasi disabitato che rappresenta l’area più selvaggia del parco. Qui vivono animali come cervi, caprioli e il raro coleottero Carabus olympiae, simbolo dell’Oasi Zegna. Nell’Oasi si trovano diversi sentieri escursionistici, percorribili a piedi o in mountain bike, che si snodano tra i boschi e gli alpeggi con le caratteristiche baite oggi ristrutturate, chiamate tegge. Uno di questi percorsi conduce attraverso il Bosco del Sorriso, uno spazio progettato dall’esperto di bioenergetica Marco Nieri, che ha studiato le piante della zona e indicato su cartelli disseminati lungo il sentiero gli effetti che larici, abeti, betulle e faggi hanno sul nostro sistema energetico e psico-fisco.

Panoramica Zegna Conca dei Rododendri, Cascina Caruccia, con particolare di rododendro fiorito (© Achivio Storico Ermenegildo Zegna).

Sperimentazioni nel verde

Dal verde dell’Oasi emergono qua e là elementi antropici che rimandano a vicende storiche e a quelle, più recenti ma non meno importanti, della bonifica promossa da Ermenegildo Zegna. A Trivero una tappa obbligata è Casa Zegna, antica abitazione della famiglia Zegna, contigua al lanificio, che ospita oggi un interessante museo che ripercorre gli intrecci tra la biografia del fondatore, la storia dell’azienda e quella del territorio. Più in alto (1.408 m), uno dei monumenti simbolo dell’Oasi Zegna è il Santuario di San Bernardo, costruito sul luogo dove avvenne la cattura dell’eretico Fra Dolcino, avvenuta per mano delle truppe capitanate dal Vescovo di Vercelli Rainero Avogadro il 23 marzo 1307. Nel resto dell’Oasi, molte delle costruzioni promosse da Ermenegildo Zegna sono ancora efficienti e utilizzate tutt’ora. Una di queste, la Cascina Pilota, è un alpeggio sperimentale creato nel 1951 per servire da guida al miglioramento di altri pascoli. La Cascina Pilota era per l’epoca un progetto all’avanguardia, con una stalla modello a fianco di un edificio adibito ad abitazione. Oggi la cascina è un’azienda agricola a conduzione famigliare. È gestita da Nicola Farina e Valentina Grappeggia, 44 e 42 anni, che vivono qui tutto l’anno dal 2015, con i loro figli di 12 e 8 anni. Allevano principalmente capre, ma anche mucche e maiali, poi vendono i prodotti derivati nell’annessa bottega.

Vivere qui tutto l’anno — racconta Valentina — è impegnativo, per l’isolamento e le comunicazioni non sempre facili, ma regala anche soddisfazioni. Per fortuna da quando siamo qui abbiamo sempre assistito a una crescita costante del flusso di turisti che passano da queste parti. Paradossalmente, il lockdown del 2020 ci ha dato una mano, spingendo tante persone a visitare questi luoghi durante l’estate. Ci auguriamo avvenga lo stesso quest’anno.

Gli animali e la bottega della Cascina Pilota (foto di Paolo Patrito).

Zegna Forest, per il futuro

Preservare l’ambiente naturale dell’Oasi Zegna e lo spirito di Ermenegildo Zegna restando al passo coi tempi non è un compito semplice e richiede continui aggiustamenti di rotta per affrontare le sfide della contemporaneità. È il caso del cambiamento climatico, che ha visto la temperatura media del territorio dell’Oasi aumentare di circa 2 gradi dagli anni Cinquanta ai giorni nostri.

È come se l’altitudine di questi luoghi si fosse abbassata di 400 metri — spiegano all’Oasi Zegna. Le conifere messe a dimora quasi un secolo fa ne risentono. Per contrastare questo fenomeno, le malattie che colpiscono alcune piante e i danni prodotti dai fenomeni atmosferici, nell’autunno 2020 è partito un progetto di risanamento aperto al contributo di tutti, Zegna Forest, che prevede di mettere a dimora nuovi alberi, sostituendo in parte le conifere con latifoglie più adatte al nuovo clima.
Panoramica Conca dei Rododendri, vista su Lanificio Zegna (© Achivio Storico Ermenegildo Zegna).
Panoramica Conca dei Rododendri, vista su Lanificio Zegna (© Achivio Storico Ermenegildo Zegna).

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Bibliografia

  • Oasi Zegna. Un viaggio nel pensiero verde di Ermenegildo Zegna, Milano, Swan Group, 2017.

SITOGRAFIA

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