Nel novembre 2021 L’Artistica Editrice, una importante realtà editoriale che opera a Savigliano da oltre mezzo secolo, ha dato alle stampe il volume Savigliano. Un millennio tra arte storia e cultura, del quale chi scrive è stata la curatrice nonché l’autrice dei testi. Si tratta di una grandiosa realizzazione editoriale con un corredo fotografico imponente (600 immagini della città e del suo territorio realizzate tra il 2020 e il 2021 e distribuite su 550 pagine), che accompagna il lettore nella ricostruzione dei segni lasciati dal millennio e oltre di storia locale (il toponimo Savigliano è citato per la prima volta nel 981 in un placito del messo imperiale). Non è assolutamente una guida turistica, ma si propone di essere gustato con tranquillità comodamente a casa, suscitando nel lettore il desiderio di vedere o rivedere di persona gli spazi e i percorsi urbani, i monumenti, i musei, le tradizioni che la moderna Savigliano offre, con i suoi 21.000 attuali abitanti e un tessuto urbano in forte crescita.
Le origini della bagna cauda, gli scioperi delle mondine, gli amori di Cesare Pavese, dai cercatori d'oro sui fiumi biellesi ai gavadur di Ozzano Monferrato passando per la musica occitana nel Cuneese. C'è moltissimo nel decimo numero (ingrandito) di Rivista Savej!
Rivista Savej 10 è nelle edicole delle province di Torino, Biella, Asti, Alessandria e Vercelli, oppure in vendita su questo sito!
Con una narrazione sintetica, ma di stimolo alla riflessione, nel volume la città è presentata per ambiti: le chiese urbane, le chiese della campagna, le abitazioni cittadine dei saviglianesi e le loro villeggiature, i luoghi di aggregazione e di incontro, le istituzioni culturali… Ne conseguono percorsi ragionati, costituiti da commenti e immagini intersecanti i secoli.
Come raccontare la propria città a un pubblico di potenziali lettori costituito da concittadini, ma anche da estranei, è compito non da poco, reso complesso anche dal fatto che il “medium” della narrazione è un volume a stampa, non una chiacchierata con immagini che scorrono su uno schermo. Bisogna partire dall’attualità. La vita quotidiana in una cittadina di provincia qual è Savigliano è come un’esperienza di teatro dal vivo, i concittadini sono in parte attori protagonisti o comprimari (gli amministratori, i funzionari pubblici e privati, gli operatori economici…) in parte frettolose comparse sulla scena, mentre altri sono osservatori attenti, ma fanno parte del pubblico, e sfugge loro spesso “la trama”. Perché sia meglio comprensibile il presente, la cultura (e i libri in particolare) devono offrire strumenti per ricostruire gli intrecci storici, ossia la trama. È appunto a questa trama che ho lavorato nel volume.
L’impegno profuso per quella pubblicazione mi suggerisce alcune considerazioni. Può essere punto di partenza questo interrogativo: per quali prerogative è conosciuta attualmente Savigliano fuori dai suoi confini? Si può affermare con certezza che è nota per gli stabilimenti di produzione dei treni ALSTOM, per essere sede decentrata di alcune facoltà universitarie di Torino, per un ospedale che ha superato i trecento anni di vita e ha ancora alcune “eccellenze” nei servizi erogati. Due, tre volte l’anno vi si svolgono manifestazioni di respiro regionale, mentre un certo richiamo è esercitato anche dai musei locali, in particolare ha notorietà la gipsoteca dedicata allo scultore Davide Calandra. Non abbastanza però per suscitare l’interesse continuativo di flussi di turisti. Per potenziare questo interesse si può provare a fare il cammino a ritroso, partendo dall’oggi e procedendo per tappe, per riannodare i fili che ci legano a dieci secoli di storia passata.
Veduta parziale e affresco della Gipsoteca dedicata allo scultore di fama europea Davide Calandra, collocata nella ex chiesa di San Francesco nel 1973 (© L'Artistica Editrice).
La prima tappa dovrebbe essere il Museo civico Antonino Olmo, per prendere confidenza, attraverso l’originale e dettagliato Piano in rilievo opera di Marco Nicolosino, con la forma che Savigliano aveva all’incirca intorno al 1830 e che non cambiava da secoli: l’ellisse dell’antico ricetto intorno al monastero benedettino di S. Pietro (eretto intorno al 1000), la contrada maestra in direzione Torino-Cuneo, e, a congiungere le due, una manciata di vie radiali ad andamento avvolgente. Fuori del burgum fortificato, quattro quartieri poco difendibili e abitati dal volgo. Una forma urbana assunta a partire dal secolo XII, perché del passato più antico (celto ligure, romano e poi franco-longobardo) restano pochissime tracce. Tra queste, merita particolare considerazione la lastra tombale longobarda detta del Venerabile Gudiris (fine sec. VII), reperto tra i più importanti che il Piemonte conservi di quei secoli, esposto nella sopra citata istituzione museale cittadina.
La tappa successiva non può che essere la Piazza Vecchia, o Foranea, intitolata al patriota saviglianese Santorre di Santa Rosa, tragico eroe dei moti rivoluzionari del 1821. Con facilità si riconoscerà il Medioevo nelle facciate alte e strette di molti palazzi — derivanti da torri e casetorri ora ribassate e riplasmate —, nei portici tardogotici di varie forme, dei quali alcuni con colonne marmoree di sostegno e con soffitti lignei cassettonati recanti segni di antiche pitture nelle tavolette di raccordo. Non fu cosa da poco per gli amministratori locali intorno al 1470 ordinare a tutti i proprietari di far avanzare le facciate delle loro case per allineare i portici discontinui e provvisori, e regolarizzare così la forma della plàtea, con l’immenso vantaggio di offrire ai saviglianesi di ieri e di oggi la comodità del tragitto coperto continuo rappresentato dai quattro lati porticati della piazza.
Benefici comunitari voluti da una aristocrazia arroccata da secoli a ridosso delle fortificazioni, ma destinata a essere superata un secolo dopo da altri maggiorenti locali che vollero palazzi signorili in aree non lontane, però dotate di spazi all’aperto per i verzieri, e della comodità di facciate solatie e luminose: nacquero da queste esigenze le eleganti residenze dei nobili Tapparelli, Cravetta, Taffini, concepite come dimore private, adattabili nondimeno a ospitare per lunghi o brevi soggiorni personaggi della casa regnante o ospiti illustri. Fondamentali diventarono allora il salone d’onore, la galleria e il cortile d’onore, indispensabili alla ricreazione colta e assolutamente privée dei visitatori eminenti. Dagli anni di Emanuele Filiberto in poi, a Savigliano la nobiltà più aggiornata si fa punto d’onore di decorare le proprie case con le effigi dei Savoia trapassati o viventi, visti come immobili deità protettrici del casato: la facciata monumentale tardo manierista di palazzo Muratori Cravetta ne è ancora oggi testimonianza persuasiva, come il cortile dipinto nella villa del Maresco dei Tapparelli. Due altre tappe di visita da non perdere.
Quale sfacciata novità dovette sembrare alla aristocrazia saviglianese più tradizionalista il registro celebrativo completamente nuovo adottato dai Taffini nel loro palazzo, costruito nel terzo decennio del Seicento, e decorato tra il 1637 e il 1645! Il salone d’onore, con la finzione pittorica di sei enormi arazzi recanti scene di battaglie cui aveva partecipato Vittorio Amedeo I nell’ambito delle guerre del Monferrato, celebrava sì il giovane Duca al comando nella concitazione realistica dei combattimenti, ma anche i fidati Ufficiali di casa Taffini, pronti a raccoglierne gli ordini. D’altra parte delle loro fortune — recentissime e al tempo molto chiacchierate — i Taffini dovevano essere grati solo a Carlo Emanuele I e al figlio…
Furono, quei decenni compresi tra la seconda metà del Cinquecento e la prima del Seicento, il momento magico dell’arte saviglianese, che vide artisti di grande livello succedersi per più generazioni e prendere parte ai cantieri decorativi intrapresi dai committenti saviglianesi per chiese e palazzi, per poi essere reclamati nella capitale e in tutta la provincia: i pittori Dolce, Pietro e Giovanni Angelo, Giovanni Antonio Molineri, importatore di un moderato caravaggismo, il fiammingo Giovanni Claret, gli ebanisti Botto, l’architetto ducale Ercole Negri di Sanfront e molte altre figure di spicco. Quella fortunata congiuntura artistica è stata definita “scuola saviglianese”.
Nel secolo successivo la città visse forti contraddizioni: da un lato la scelta fatta nel 1726 da Isabella di Savoia-Carignano (non a caso detta “Madamigella di Savigliano”) di porvi la sua residenza, portò una fiammata di atmosfera di corte, cui contribuirono i due palazzi sontuosi che la pretenziosa principessa si fece costruire nella contrada maestra (ne sopravvive uno solo, chiamato oggi palazzo Villa, di proprietà privata); d’altro canto l’abbattimento delle fortificazioni e la disponibilità di nuove aree edificabili fu occasione di potenziamento soprattutto per monasteri e conventi (emblematico in tal senso il bellissimo ex monastero agostiniano di Santa Monica, che oggi ospita le facoltà universitarie decentrate); molto meno lo fu per i casati nobiliari finanziariamente indeboliti e disposti non tanto a costruirsi nuove residenze, quanto ad abbellire le dimore avite con soluzioni decorative interne ove alle tematiche eroiche e bellicose del secolo precedente si sostituirono i “miti d’amore”, seconde le nuove mode torinesi. Rappresentativi in tal senso gli ambienti settecenteschi di palazzo Cravetta di Villanovetta e del palazzotto Biga di Bioglio.
Fu il secolo, il Settecento, delle ultime radicali campagne di rinnovamento degli edifici religiosi, sia per le chiese parrocchiali, in particolare Sant’Andrea — che riscattò con l’acquisizione del titolo di abbazia collegiata la delusione di non essere diventata chiesa cattedrale quando Fossano fu preferita a Savigliano come sede vescovile — e soprattutto per le quattro confraternite, tra le quali rappresenta un gioiello di architettura e arte la Confraternita della Pietà, disegnata da Gian Giacomo Plantery e ultimata nel 1722.
Intanto era nata una nuova grandiosa piazza, ora denominata Piazza del Popolo, estesa spianata utilizzata fino alla prima metà dell’Ottocento per le esercitazioni militari, e poi convertita a scopi mercatali, coniugati oggi felicemente al passeggio dei cittadini.
Lentamente, nel secolo XIX, Savigliano — mentre perde uffici di governo importanti — si avvia a un futuro imprenditoriale e manifatturiero, in cui gioca un ruolo fondamentale l’arrivo della linea ferroviaria Torino-Cuneo e lo stabilirsi della stazione ferroviaria nel 1853. La nobiltà più accorta e la facoltosa borghesia, mentre mantengono in vita e restaurano le “villeggiature” degli antenati, investono nelle proprietà fondiarie, modernizzano le tecniche agricole e danno l’avvio a quei processi virtuosi per i quali le campagne saviglianesi sono tuttora tra le più produttive della regione.
I ceti meno abbienti — tradizionalmente impegnati come salariati agricoli con ritmi stagionali e saltuari — trovano dal 1880 uno sbocco lavorativo più regolare quando si impiantano in città gli stabilimenti di materiale rotabile noti come SNOS (Società Nazionale Officine Savigliano), poi diventati FIAT Ferroviaria e attualmente ALSTOM, ai quali si affianca presto un ampio indotto produttivo. Nel Novecento mediamente il tenore di vita migliora, le abitazioni popolari dei borghi si rinnovano in meglio, nasce un ambito manifatturiero importante nel campo della carrozzeria automobilistica (Fissore e Scioneri), i viali suburbani si popolano di graziosi villini (purtroppo ne sopravvivono pochi), si inizia a ragionare sul risanamento e recupero del centro storico — nel senso di normare gli interventi sulle facciate storiche — e sulla pedonalizzazione di ampie aree dell’antico burgum.
Il centro antico è oggi in gran parte recuperato e presenta un aspetto dignitoso e curato, anche per le abitazioni meno prestigiose. Qui lottano per continuare a operare longeve attività commerciali dietro artistiche vetrine. La sfida è che il centro storico sia vissuto ancora come spazio cittadino aggregativo per eccellenza (come è stato per secoli) anche dagli abitanti delle lontane periferie, dove abbondano recenti residenze multipiano, saviglianesi che rischiano di cercare l’aggregazione più nei centri commerciali che nelle piazzette storiche.
Dunque, la Savigliano di oggi raccoglie gli effetti di dieci secoli di storia: lo si percepisce nelle dimensioni ridotte del centro storico affollato di chiese ed ex edifici conventuali, nei non lineari viali di circonvallazione che seguono in parte il percorso delle fortificazioni, nell’addossarsi in trafficate vie suburbane di attività di servizio molto sollecitate come l’Ospedale SS. Annunziata, o di luoghi di lavoro che richiedono ampi spazi e afflusso numeroso di maestranze come gli stabilimenti ALSTOM. Ha però saputo trasformare in apprezzati giardini pubblici e parchi alcune aree nate in funzione delle tante caserme ottocentesche, spazi di verde urbano che sono una alternativa alle passeggiate nelle campagne, purtroppo oggi prive di una connotazione paesaggistica degna di questo nome, dove — come le oasi nel deserto — spiccano i verdeggianti parchi privati di antichi castelli, motte e ville signorili.
Oggi sono tanti i processi strutturali, economici, sociali e culturali che occorre saper governare in una realtà come Savigliano. Luci e ombre di una cittadina di provincia definita nel 1913 dai suoi amministratori all’atto di inaugurare il museo civico “questa nostra storica e gentile città”. È a questa bella definizione e alla “memoria perenne di secolare grandezza”, citate nella pagina miniata dell’inaugurazione, che chi scrive, come curatrice del volume, insieme all’Artistica Editrice come editore, ai fotografi autori delle splendide fotografie, in particolare a Giacomo Lorenzato fotografo amatoriale nonché Presidente dell’azienda, ha fatto riferimento nel realizzare il volume Savigliano. Un millennio tra arte, storia e cultura. Ai lettori e potenziali visitatori si è offerta la visione della città con tante luci e ombre leggere.
Buona lettura e buona visita.
👉 Si ringrazia L'Artistica Editrice e il signor Giacomo Lorenzato per la gentile concessione delle immagini.