Camminando nelle nostre vallate e montagne siamo abituati ad ammirare piante e fiori da noi considerati parte fondamentale del paesaggio che ci circonda. La comparsa di elementi patogeni nocivi e, soprattutto, i devastanti effetti del cambiamento climatico minacciano la sopravvivenza di alcune specie vegetali la cui presenza è per noi scontata.
Il prezioso contributo di specialisti nella conservazione botanica, nonché di biologi vegetali, e la nascita di strutture dedicate a preservare specie rare e a rischio di estinzione è una speranza per il futuro della flora del nostro territorio. Valentina Carasso, ricercatrice presso la Banca del Germoplasma Vegetale di Chiusa Pesio, ci racconta la sua importante attività volta alla salvaguardia delle piante piemontesi.
Valentina Carasso è una specialista nello studio della flora spontanea e di quella minacciata delle Alpi sud-occidentali. Come si diventa professionisti in questo settore? Nel suo caso dopo la laurea in Scienze Forestali e Ambientali, conseguita nel 1998, ha lavorato per due anni in una piccola casa editrice piemontese, occupandosi degli aspetti commerciali e di vendita di pubblicazioni di carattere naturalistico.
E proprio in questo ambito ha avuto occasione di conoscere un botanico, nonché autore di alcuni libri sulla flora e la vegetazione delle Alpi Liguri e Marittime, riaccendendo l’interesse e la curiosità per il mondo vegetale, temporaneamente accantonato. Nel 2003 intraprende la sua esperienza di consulente botanica, prima presso l’allora Parco del Marguareis e poi presso il Giardino Botanico di Catania, in entrambi i casi per allestire i laboratori delle rispettive banche del germoplasma e per iniziare le sue prime indagini sulle specie di interesse.
Negli anni successivi ho avuto l’opportunità di svolgere diversi periodi di stage anche all’estero, in Inghilterra, Francia e Spagna, per conoscere meglio realtà simili già affermate e imparare le modalità operative e di conservazione ex situ della flora spontanea.
Successivamente, sentendo la necessità di approfondire le conoscenze in materia di biologia vegetale ha conseguito il dottorato di ricerca su questo argomento, specializzandosi nello studio della biologia dei semi. Questa tappa formativa e la collaborazione con l’Università di Torino, sono state fondamentali e hanno aperto nuove opportunità di scambio e di crescita professionale, anche attraverso un breve periodo di studi negli Stati Uniti, all’Università della Virginia.
Proprio il primo incarico con l’Ente Parco del Marguareis ha permesso alla dottoressa di osservare il panorama europeo delle così dette "Banche del Germoplasma", apprendendo così protocolli, metodi di lavoro in campo e in laboratorio che ha poi trasferito qui in Piemonte.
La Banca del Germoplasma Vegetale, si trova fisicamente a Chiusa Pesio, in Provincia di Cuneo, una struttura del Centro Regionale per la Biodiversità Vegetale “Emile Burnat”. Si è occupata, dal 2003 ad oggi, di studiare e salvaguardare principalmente specie endemiche del territorio delle Alpi Liguri e Marittime.
Con il termine germoplasma vegetale s’intende il materiale ereditario trasmesso dalla pianta madre alla prole mediante, principalmente, i semi, ma anche con le spore, come nel caso delle felci, o con i bulbi. In tal senso la Banca opera per lo studio e la salvaguardia del patrimonio vegetale di pregio del Piemonte, con particolare riguardo per quello del settore Alpi Liguri e Marittime piemontesi.
Valentina Carasso ha lavorato a stretto contatto con i Royal Botanic Gardens e con la Millennium Seed Bank di Kew in Inghilterra. Per numerosi anni, a partire dal 2004, la dottoressa ha svolto campagne di raccolta semi e prove di germinabilità in collaborazione con questo importante partner inglese, alle quali si sono aggiunti studi e azioni mirate di conservazione in collaborazione con il Conservatoire Botanique National Alpin di Gap in Francia e con l’Università di Torino.
Nel corso degli anni il mio contributo alla conservazione ex situ è molto cambiato, in ragione dei progetti attuati e delle risorse disponibili. In particolare si è passati da raccolte molto diversificate di germoplasma di specie di elevato interesse botanico, per la sua conservazione nel “caveau” della Banca, a ricerche più raffinate, specie-specifiche, volte ad approfondire conoscenze e metodi alternativi di conservazione e rigenerazione di entità vegetali particolarmente fragili e suscettibili ai cambiamenti in atto nel loro habitat di origine.
Si può notare un adattamento sulla scelta dei progetti, come pure la decisione, negli ultimi anni, di concentrare l’attenzione su poche specie piuttosto che sull’incremento di semi da inserire nella Banca.
Questo nuovo approccio è decisamente più efficace in quanto consente di operare in modo mirato e preciso sulla singola entità da salvaguardare, presentando approcci metodologici di conservazione innovativi in alternativa a quelli tradizionali, che non sempre sono applicabili a specie con esigenze particolari.
Il contributo della dottoressa per la conservazione ex-situ nella Banca della biodiversità vegetale si svolge su diversi livelli, dalla raccolta del germoplasma, al suo trattamento, dalla conservazione al suo utilizzo.
All’interno del processo di conservazione del germoplasma si sviluppano le diverse linee di ricerca della Banca che convertono lo stato delle conoscenze in azioni concrete di salvaguardia. Durante la raccolta del germoplasma si affinano le conoscenze sullo stato sanitario delle popolazioni naturali, sulla loro distribuzione spaziale e sulla loro composizione demografica.
La valenza scientifica di questa ricerca è di per sé significativa, ma allo stesso tempo ha a che fare con un fenomeno che tutti noi abbiamo imparato a conoscere: il cambiamento climatico e le sue conseguenze. In particolare, lo studio degli effetti di questo processo sulla germinazione o sul vigore dei semi è fondamentale per capire come il cambiamento climatico influenzi la capacità di riprodursi delle piante, e quindi condizioni la loro diffusione, e di conseguenza le caratteristiche di tutto il territorio.
Operativamente il trattamento dei semi passa attraverso diverse fasi, come la deidratazione fatta in apposite camere e con opportune condizioni di temperatura e di umidità, il confezionamento di lotti di semi in contenitori a tenuta stagna e il trasferimento del germoplasma direttamente in specifici armadi-congelatori.
Seguono le fasi che riguardano lo stato di conservazione dei campioni nelle quali si effettuano analisi sulla longevità delle collezioni stoccate verificandone a tempi predisposti lo stato di vitalità e il potere germinativo dei semi. Le campagne di raccolta di germoplasma si svolgono anno dopo anno e puntano all’incremento delle collezioni per aumentare sia la biodiversità a livello genetico, sia all’interno della stessa popolazione e sia tra popolazioni diverse della stessa specie.
Alcune tra le specie locali piemontesi hanno suscitato particolare interesse, come ad esempio una pianta perenne della famiglia delle Liliacee, la Fritillaria tubaeformis (per gli specialisti, nelle sue sottospecie moggridgei e tubaeformis), per la quale sono stati realizzati studi sulla germinabilità e potenzialità di propagazione in vitro. Oppure il Rhaponticum scariosum (nelle sue sottospecie scariosum e bicknellii) interessante “carciofo selvatico”, un tempo utilizzato a scopi alimentari e oggi oggetto di ricerca in campo ed in laboratorio per conoscerne le capacità riproduttive e di rigenerazione in condizioni climatiche differenti.
Importante è anche lo studio dei semi per progetti di recupero ambientale o per la loro introduzione nelle collezioni vive delle Stazioni Botaniche Alpine o partendo da embrioni e da altre porzioni vegetali di specie particolarmente vulnerabili con forti limiti nella qualità o nella quantità del germoplasma prodotto.
Gli effetti in natura del cambiamento climatico sono ben visibili agli specialisti anche in Piemonte. Come ricorda Valentina Carasso:
nel settore alpino sono ancora più marcati. A cominciare dalla ridotta durata del periodo di copertura nevosa, passando attraverso le gelate tardive primaverili, le elevate temperature estive, riscontrate anche in quota, il progressivo prosciugamento delle aree umide, i fenomeni meteorologici improvvisi, la siccità prolungata: sono tutti eventi che influenzano il naturale ciclo di vita delle specie alpine e degli insetti impollinatori, incidendo in particolar modo sulle piante più esigenti dal punto di vista ecologico, le cosiddette "specialiste".
Al termine dell’estate, vengono dispersi semi che, in alcune specie, al loro interno possono contenere un embrione non ancora del tutto sviluppato. Normalmente, in questi casi, il seme necessita di alcuni mesi di freddo, sotto la neve, per accrescere l’embrione, sino al raggiungimento della sua lunghezza critica che gli permetterà, nella primavera successiva, di germinare.
L’accorciamento del periodo di freddo invernale e di copertura nevosa non permette a questi semi di completare la crescita dell’embrione, portandolo inesorabilmente alla morte. Questo è solo uno dei tanti esempi degli effetti dei cambiamenti climatici sulla sopravvivenza delle specie alpine. Queste variazioni ambientali stanno avvenendo troppo velocemente rispetto alle capacità di evoluzione e di adattamento delle specie sia animali che vegetali.
Come se non bastasse a complicare il quadro, nuovi patogeni in grado di causare malattie, si stanno diffondendo là dove prima non erano presenti, peggiorando ulteriormente la situazione.
Oltre che molto importante, questo è un lavoro che richiede particolare attenzione e, come ci racconta la dottoressa Carasso, riserva sempre delle sorprese:
l’osservazione allo stereo-microscopio delle diaspore è sempre occasione di scoperta e di stupore. Non solo per le forme variegate e i colori variopinti dei semi o delle spore ma anche per la scoperta di ospiti indesiderati, come insetti o funghi che parassitizzano il materiale, degradandolo.
In questo ambito, gli aspetti più interessanti della sua attività sono rappresentati dalla continua novità e originalità del lavoro, dall’esigenza di “inventare” e scovare approcci innovativi, ispirarsi a chi è più bravo per cogliere aspetti o conoscenze utili a comprendere fenomeni ancora poco studiati. La ricerca alimenta sé stessa e non si ferma mai. Si mette continuamente in discussione, generando una sana competizione e spingendo a fare sempre meglio.
Pertanto, le scoperte e le soddisfazioni, seppur piccole, come nel mio caso, vanno dall’osservare la superficie di un seme allo stereo-microscopio, scovandone la micro-topografia o i colori straordinari, al tentativo riuscito di individuare un protocollo efficace di conservazione e germinazione di una pianta rara o endemica. Inoltre, e non meno importante, le soddisfazioni nascono dal confronto con altri scienziati e specialisti, con i quali si possono impostare nuovi esperimenti, scambiarsi letture interessanti, fare squadra.
Attualmente la dottoressa è impegnata su un progetto di valorizzazione e conservazione di alcune specie fitoalimurgiche, ovvero piante selvatiche alimentari, per un loro primo tentativo di “domesticazione”. In più è anche coordinatrice per parte italiana di un nuovo progetto di ricerca sullo studio delle malattie infettive, mediante l’utilizzo delle piante e dei funghi, finanziato da università statunitensi.
A parte le collaborazioni con il Parco da alcuni anni mi sono appassionata alle piante fitoalimurgiche e ho ideato un corso di botanica, non di cucina, per chi è desideroso di riscoprire quei saperi che un tempo erano bagaglio comune ma che oggi sono quasi del tutto andati persi. Pertanto, mi occupo di docenze e consulenze in materia di foglie, fiori, frutti e semi selvatici commestibili, reperibili tra le specie spontanee del Cuneese.
In questo momento epocale tutte le nostre attività sono state in qualche modo influenzate dalle misure di contenimento della pandemia e, come ci conferma la dottoressa, anche questa particolarissima e specialistica professione non fa eccezione.
Sono state precluse molte attività di docenza in gruppo, da svolgersi insieme in aula o in campo. I partner stranieri inoltre non possono recarsi in Italia per seguire di persona alcuni importanti progetti di ricerca.
La tecnologia ci sta venendo in aiuto ma, come sottolinea la Carasso, è fondamentale che la campagna vaccinale sia estesa il più rapidamente possibile alla stragrande maggioranza della popolazione, solo così si potrà tornare ad operare in sicurezza e in tutte le condizioni richieste dal suo lavoro.
Queste difficoltà momentanee si sommano anche a quelle derivate dalla percezione che si ha in Italia della figura professionale di una ricercatrice indipendente, soprattutto mettendola a confronto con le varie esperienze acquisite all’estero.
Questa è la nota dolente della mia professione. Purtroppo in Italia esiste una scarsa concezione di ciò che sia il lavoro del ricercatore e men che meno viene riconosciuta la figura del ricercatore indipendente. Se vogliamo dirla tutta c’è anche scarsa considerazione del titolo di Dottore in Ricerca (il Ph.D.) che invece all’estero è tenuto in grande considerazione.
Secondo la dottoressa nell’immaginario collettivo del nostro Paese, lo scienziato è ancora visto come un personaggio eccentrico e un po’ “folle” che pasticcia con alambicchi o strani aggeggi. Per superare questa visione distorta, ritiene che sarebbe necessario approfondire il ruolo strategico e fondamentale della ricerca scientifica nelle scuole di ogni grado, insegnando il “metodo scientifico” come approccio all’organizzazione del lavoro e proponendo lo studio, l’amore per la conoscenza, come attività da mantenere nel corso di tutta la vita, e non solo da relegare agli anni della scuola dell’obbligo.
Il ricercatore, per me, rappresenta il punto di incontro tra il rigore e l’estro, tra la scienza e l’arte. Precisione, metodo, conoscenza e trasparenza non escludono intuito, creatività, fantasia e coraggio.
Un altro punto fondamentale messo in evidenza dalla dottoressa Carasso è che se la conoscenza esce dalle aule accademiche e si interseca con realtà diverse, come quella del Parco ad esempio, possono nascere collaborazioni, progetti, occasioni di crescita e di innovazione.
L’Unione Europea e le università straniere hanno capito l’importanza della ricerca scientifica, e prova ne sono le collaborazioni e i finanziamenti ottenuti dal Centro Regionale Biodiversità Vegetale in questi decenni. Forse come ricercatori indipendenti saremo pochi, ma il fatto stesso che esistano delle figure professionali come la mia dimostra che la scienza può innovarsi e aprirsi ad ambiti sino ad ora preclusi.
Anche la comunicazione del proprio lavoro al largo pubblico è importante per sensibilizzare certi aspetti studiati professionalmente, non solo per la bellezza degli argomenti.
Per molti anni si è deciso di agire in sordina, per indirizzare le proprie energie verso gli obiettivi principali e nella formazione del personale e dei collaboratori. Ora, dopo quasi diciotto anni di attività, le competenze e le esperienze sono pronte per poter essere condivise e diffuse non solo tra i professionisti del settore ma anche verso il grande pubblico. Questo genere di intervista ne è la prova. È giunto il momento, ora più che mai, che le persone comprendano il valore del patrimonio vegetale che li circonda e il ruolo che ricopre nella sopravvivenza della nostra specie.
Questo lavoro riserva anche aspetti di pura bellezza artistica provenienti dallo studio della germinazione dei semi di alcune piante carnivore, per esempio:
la Drosera rotundifolia, ha rivelato la bellezza delle giovani piantine, quasi forme artistiche come di vetro di Murano, con foglie delicate, di un verde trasparente, i cui tentacoli erano sormontati da “perle” color rubino. Le forme bellissime e straordinarie appena "sgusciate fuori" dai semi, loro capsule protettive, sono per me sempre oggetto di stupore.
Mentre la Berardia lanuginosa, specie che si trova nei detriti calcarei alpini, affascina per la struttura dei suoi frutti secchi, in termini tecnici acheni, e per le sue strutture di dispersione munite di un paracadute (pappo) che si distende e si ripiega a spirale in funzione dell’umidità dell’aria. Il seme, al momento della germinazione, emette una radichetta in grado di penetrare rapidamente nel terreno ghiaioso in cui si deve insediare.
Anche lo studio della banca dei semi del suolo è un aspetto che mi ha molto affascinata, in quanto mette in relazione il tempo presente con riserve di semi che si trovano da diversi anni immagazzinate nel terreno. Una scorta genetica come strategia alla sopravvivenza della specie, adottata da alcune piante per superare le difficoltà del presente e programmarsi a germinare successivamente, solo quando le condizioni ambientali lo permetteranno.
Certamente tutto non può essere bellezza o fascino, si può rimanere anche delusi dalla raccolta dei semi sul campo. Trattandosi per lo più di piante alpine, che vivono ad alta quota e in luoghi difficili da raggiungere, non è sempre facile indovinare il momento esatto per recarsi sul posto e procedere al prelievo del germoplasma. Può così accadere di arrivare troppo in anticipo e trovare i frutti ancora immaturi e i semi al loro interno non ancora pronti per essere raccolti. In altre occasioni, al contrario, ci si è presentati troppo tardi all’appuntamento, con la spiacevole sorpresa di non trovare più nulla.
Per concludere viene quasi spontaneo domandare alla dottoressa se immergersi nella natura non sia sempre visto come il raggiungimento di un obiettivo professionale.
Nel tempo libero amo passeggiare ed esplorare nuovi scorci delle vallate cuneesi; i viaggi lontani da casa, che ora ci sono preclusi a causa della pandemia, si sono trasformati in letture di approfondimento sul mondo delle piante e della scienza in genere, ma anche in esperimenti di cucina, alla ricerca di sapori inediti e selvatici, o nel tentativo poco riuscito di darmi all’acquerello. Avendo un marito appassionato di storia, politica e filosofia non mi nego brevi incursioni anche in queste materie umanistiche, una boccata d’aria fresca rispetto alle mie consuete letture botaniche.
👍 Grazie alla disponibilità della dottoressa Carasso. Per chi volesse ulteriormente approfondire il sito ufficiale della Banca del Germoplasma Vegetale si trova a questo indirizzo.