Ernesto Schiaparelli, l’egittologo

Fu lui a scoprire la tomba di Nefertari

Ernesto Schiaparelli in una fotografia esposta durante la mostra “Missione Egitto 1903-1920” del 2017 dedicata alla Missione Archeologica Italiana (M.A.I.) in Egitto.
Davide Mana
Davide Mana

Laureato in Paleontologia e dottore di ricerca in Geologia, in passato è stato insegnante, ricercatore, conferenziere, venditore di auto usate, interprete, spaventapasseri, riparatore di biciclette. Da alcuni anni lavora come autore, divulgatore, traduttore e creatore di giochi.

  

Esiste un legame profondo fra il Piemonte e l’Antico Egitto – dalla leggenda di Eridano, principe egizio che avrebbe fondato Torino dedicandola al dio Api (rappresentato, appunto, da un toro), all'acquisizione da parte della famiglia Savoia, prima della Mensa Isiaca nel 1628 e successivamente della collezione di Bernardino Drovetti, i cui reperti andarono a costituire il primo nucleo del Museo Egizio di Torino.

Sulla base dei geroglifici che compaiono sulla Mensa Isiaca Athanasius Kircher sviluppò la propria traduzione della lingua egizia – una traduzione errata e priva di senso, poiché la Mensa Isiaca è un falso, probabilmente creato nel I secolo d.C. come souvenir per ricchi turisti romani. Un secolo e mezzo dopo Kircher Jean-François Champollion, da sempre acceso rivale di Drovetti, ebbe come sappiamo più fortuna con la sua traduzione, si avvalse infatti, per il proprio lavoro di ricerca, dei papiri conservati a Torino. Non sarebbe stata l’ultima volta che, per parafrasare l’egittologo francese, la strada per Menfi e Tebe passava per Torino – nel caso di Ernesto Schiaparelli, partendo da un piccolo comune del Piemonte orientale.

Geroglifici che compaiono sulla Mensa Isiaca.
Geroglifici che compaiono sulla Mensa Isiaca.

La biografia di Harkhuf

Ernesto Schiaparelli (o secondo altre grafie, Schiapparelli), nasce a Occhieppo Inferiore (all’epoca provincia di Novara, oggi di Biella), il 12 luglio 1856. Gli Schiaparelli sono una famiglia numerosa e intraprendente e dalla genealogia intricata. Il padre di Ernesto, Luigi Schiaparelli, è docente di Storia antica all'Università di Torino mentre Giovanni Virginio (l’astronomo) è suo cugino, figlio della sorella di Luigi.

Ernesto Schiaparelli
Ernesto Schiaparelli

Conseguita una laurea in Lettere, Ernesto mostra un grande interesse per le antichità egizie e si trasferisce quindi alla École pratique des hautes études della Sorbona di Parigi, dove studia egittologia con Gaston Maspero, che in quegli anni si divide come insegnante a Parigi e come archeologo sul campo in Egitto. Nel momento in cui Maspero avvia la sua prima grande campagna di scavi in Egitto, Schiaparelli rientra in Italia e assume, nel 1881 all'età di soli venticinque anni, la direzione della Sezione Egizia del Museo Archeologico di Firenze. In questo ruolo, durante il suo secondo viaggio in Egitto nel 1892, Schiaparelli partecipa alla scoperta della tomba del dignitario Harkhuf, vissuto durante la VI dinastia. Scavata sul pendio della collina antistante la città di Assuan presso Qubbet el-Hawa, la tomba monumentale di Harkhuf rivela, attraverso una dettagliata biografia incisa sulle pareti di pietra, la vita del suo occupante che fu un viaggiatore e un esploratore. Sarà Ernesto Schiaparelli a studiare e pubblicare questi importanti testi biografici.

Ingresso della tomba di Harkhuf a Qubbet el-Hawa in una stereografia del 1904.
Ingresso della tomba di Harkhuf a Qubbet el-Hawa in una stereografia del 1904.

L'archeologia è cambiata

Dopo dodici anni a Firenze, nel 1894, Schiaparelli diventa direttore del Museo Egizio di Torino. Qui avvia immediatamente una campagna di acquisizioni per ampliare le collezioni del museo torinese. I tempi tuttavia sono cambiati da quando Carlo Vidua aveva convinto la corona sabauda ad acquistare la Collezione Drovetti: le antichità egizie sono più popolari che mai e questo ha portato allo sviluppo di un fiorente mercato di falsi. Ma, ancora più importante, è l’archeologia stessa ad essere cambiata – non più una semplice raccolta antiquaria di oggetti curiosi, ma uno studio integrato degli oggetti nel loro contesto. Il lavoro sul campo, come Schiaparelli ha imparato da Maspero, è fondamentale.

Per questo motivo, nel 1903, Ernesto Schiaparelli avvia l’attività della Missione Archeologica Italiana (M.A.I.) in Egitto, un progetto coordinato di scavi e ricerche inteso a

contribuire alla storia dell’Egitto e all'incremento del materiale archeologico del Museo Egizio.
(lettera di Ernesto Schiaparelli al ministro della Pubblica Istruzione, 29 aprile 1902)
Gli scavi nell'area del tempio di Eliopoli della Missione Archeologica Italiana tra il 1903 al 1905 (© Museo Egizio di Torino).
Gli scavi nell'area del tempio di Eliopoli della Missione Archeologica Italiana tra il 1903 al 1905 (© Museo Egizio di Torino).

Schiaparelli si impegna in prima persona per curare ogni aspetto della spedizione. È lui a procurare permessi e autorizzazioni dal Service de Conservation des Antiquités de l’Égypte (il cui direttore è il suo vecchio insegnante, Gaston Maspero), è lui a convincere Vittorio Emanuele III a finanziare il progetto, lui a selezionare i collaboratori. La corona sabauda concede 15.000 lire (circa 70.000 euro al cambio attuale) di finanziamento l’anno, per quattro anni, ai quali si sommano altre 5.000 lire (22.000 euro) l’anno dal ministero della Pubblica Istruzione. Schiaparelli intende lavorare con una squadra che deve sempre comprendere un fotografo, un disegnatore e un restauratore. Fra questi collaboratori possiamo ricordare il comasco Francesco Ballerini, che muore giovanissimo nel 1910, a soli 33 anni, e viene rimpiazzato dal pinerolese Virginio Rosa. Saranno questi brillanti giovani ricercatori a creare un corpo di annotazioni, foto e schizzi che è esso stesso un tesoro. Messa insieme la squadra, ed assicurati i fondi, la M.A.I. può mettersi al lavoro.

La tomba di Nefertari

Nei primi anni del Novecento una nuova prepotente ventata di “egittomania” ha riacceso l’interesse popolare per l’antica civiltà della valle del Nilo. A Giza, nel 1902, la concorrenza è molto forte – il Service ha infatti concesso agli italiani il permesso di scavare nella porzione meridionale della necropoli, mentre i settori centrale e settentrionale sono al momento occupati rispettivamente dalle squadre di scavo dell’americano Andrew Reisner e del tedesco Ludwig Borchardt. Lasciate Giza e Eliopoli, nel 1904 gli archeologi della M.A.I. si spostano a Tebe: durante i lavori di scavo nella Valle delle Regine, il duro lavoro di preparazione dà finalmente i suoi frutti ed Ernesto Schiaparelli scopre la tomba di Nefertari (nota anche come QV66).

Nefertari sulla facciata del Tempio minore di Abu Simbel.
Nefertari sulla facciata del Tempio minore di Abu Simbel.

Grande Sposa Reale di Ramsete II (XIX dinastia), che l’aveva sposata prima di salire al trono come faraone, Nefertari Meryetmut era conosciuta con gli appellativi di “la Divina”, “la più amata”, “la Signora del fascino”, “la dolce in amore”, “Madre e Signora del dio in vita”. Il suo nome, significava in effetti “la più bella amata dalla dea Mut”. Una delle regine più famose nella lunga storia dell’Egitto, Nefertari compare in diversi monumenti – primi fra tutti i due templi di Abu Simbel – spesso associata alla dea Hator, divinità solare della bellezza, della gioia e della maternità. È stato ipotizzato che Nefertari fosse in qualche modo legata ai faraoni precedenti della XVIII dinastia, forse figlia di Ay e quindi sorella di Nefertiti e che sposandola Ramsete avesse rafforzato la propria posizione sul trono. Di sicuro dai documenti risulta che Nefertari prese parte attiva nella vita politica del regno – intrattenendo ad esempio contatti epistolari con la casa regnante ittita e partecipando a molti rituali di Stato. Una donna intelligente, determinata e capace nelle faccende politiche. Ma è anche evidente, dai testi e dalle sue rappresentazioni, come la sua bellezza rimanesse insuperata a corte.

La Cappella Sistina dell'Antico Egitto

La scoperta di Schiaparelli ha una grande risonanza non solo nel mondo dell’archeologia, ma anche a livello popolare. Da quando nel 1813 l’archeologo svizzero Jean Louis Burckhardt ha riscoperto il complesso dei templi di Abu Simbel, Nefertari è oggetto di grandi speculazioni e sogni romantici. È infatti estremamente insolito che un tempio venga dedicato ad una regina, e ad Abu Simbel Nefertari viene infatti raffigurata nel Grande Tempio come una maga, al fianco di Ramsete II, intenta a infondere la propria energia nel sovrano, mentre il Piccolo Tempio è interamente dedicato alla regina. Un’iscrizione ci rivela che Ramsete lo ha fatto costruire

come opera eterna, per la grande sposa reale Nefertari, l'amata da Mut, per tutto iI tempo a venire, Nefertari, attraverso il cui splendore brilla il Sole.
Raffigurazione di Nefertari su una parete della sua tomba nella Valle delle Regine.
Raffigurazione di Nefertari su una parete della sua tomba nella Valle delle Regine.

Quando nel 1904 Ernesto Schiaparelli entra per la prima volta nella tomba di Nefertari, "la Signora del Fascino" è da quasi un secolo entrata nell'immaginario popolare come simbolo di tutto ciò che c’è di misterioso ed esotico nell’Antico Egitto. Nefertari e la sua rappresentazione ad Abu Simbel sono stati al centro dell’esplosione di interesse per la magia egiziana nell’Ottocento, un interesse che verrà rivitalizzato dalla scoperta della tomba della regina. L’amore di Ramsete II per Nefertari e l’importanza della Regina nella corte egizia si riflettono nella sua tomba, che viene tutt'ora definita “la Cappella Sistina dell’Antico Egitto”. Se è vero infatti che la tomba QV66 è stata saccheggiata, le pitture sulle pareti rimangono intatte e costituiscono una testimonianza inestimabile della vita quotidiana a corte e una delle migliori rappresentazioni del viaggio che, secondo la religione egizia, l’anima della Regina avrebbe intrapreso verso l’aldilà.

“È uno dei monumenti più insigni della necropoli di Tebe che se non per ampiezza, certo per l’armonia delle sue parti e la squisitezza dell’arte, gareggia pur anco colle più belle tombe della Valle dei Re”.
Ernesto Schiaparelli, “Relazione sui lavori della Missione Archeologica Italiana in Egitto”, 1903-1920

La tomba di Nefertari è diversa rispetto alle tombe di altre regine, che hanno una struttura più semplice e una sola camera funeraria, e richiama invece le sepolture faraoniche della Valle dei Re. Gli scavatori agli ordini del faraone estrassero tonnellate di roccia scendendo fino a una profondità di 812 metri, per creare questa strutture, e i pittori affrescarono una superficie di circa 520 metri quadrati. Sulle pareti della seconda scala discendente, la decorazione è anche a rilievo. I dipinti costituiscono l’apice della qualità nell’arte funeraria egizia, mostrando uno straordinario livello di dettaglio e una paletta di colori molto ampia (verde, blu egiziano, rosso, ocra gialla, bianco e nero).

Gli artisti dell'Antico Egitto hanno raffigurato con dovizia di dettagli il cammino iniziatico della grande Sposa Reale verso il mondo dei morti facendo degli affreschi della tomba QV66 quasi una rappresentazione documentaristica delle pratiche e delle convinzioni religiose nell'Antico Egitto: Nefertari gioca a senet (un gioco di scacchiera, simile al backgammon) con un'entità invisibile, entra nel mondo sotterraneo dove incontra molte divinità tra le quali Osiride (il dio dei morti) e Iside e infine trionfa e si tramuta in Osiride, raggiungendo in questo modo la pace e la vita eterna.

La regina Nefertari al cospetto di Osiride in un affresco della tomba QV66.
La regina Nefertari al cospetto di Osiride in un affresco della tomba QV66.

Le ginocchia della Signora del Fascino

La tomba scoperta da Schiaparelli porta con sé anche un piccolo mistero: è infatti l’unica, nella Valle delle Regine, a non essere stata vandalizzata e deturpata. Questo porta gli studiosi a domandarsi se il corredo e la salma non siano stati trasferiti in un luogo più sicuro e non depredati, un’ipotesi romantica, che viene tuttavia disattesa dai fatti. Dalla tomba abbandonata di Nefertari Schiaparelli recupera un sarcofago spaccato, 34 ushabti (statuette funerarie), un frammento di bracciale d’oro, amuleti, cofanetti di legno dipinti, un paio di sandali in fibra intrecciata e, per finire, un reperto piuttosto macabro: un paio di gambe, tutto ciò che resta di un corpo mummificato. Un segno piuttosto chiaro che la tomba è stata visitata da saccheggiatori e non da sacerdoti devoti impegnati in un trasloco. Trasferiti al Museo Egizio di Torino, i macabri resti mummificati vengono informalmente battezzati “le ginocchia di Nefertari”. Solo nel 2014 uno studio confermerà che lo sono davvero: si tratta delle gambe di una donna alta un metro e 65, come Nefertari, morta a circa 40 anni di età.

Ernesto Schiaparelli, la M.A.I e il Partage.

Gli italiani torneranno a occuparsi della Tomba di Nefertari nel 1987, quando le autorità egiziane approveranno il progetto di restauro della struttura, affidandola al Getty Conservation Institute, che a sua volta incaricherà del lavoro un team italiano che farà capo all’Istituto Italiano del Restauro. Lo stesso Schiaparelli aveva osservato come il processo di deterioramento fosse in atto da tempi antichi, e il progressivo degrado dei dipinti ha subito un’accelerazione drammatica dopo l’apertura della tomba da parte dell’archeologo italiano.

Si rende perciò necessario correre ai ripari. Il lavoro di consolidamento degli affreschi porterà alla scoperta di un aspetto finora trascurato della tomba: i segni lasciati dalle squadre di artigiani che crearono le camere funerarie e le affrescarono. Nuove tecnologie e un paziente lavoro rivelano i segni lasciati sulla roccia dai capimastri per indicare agli scavatori fino a dove spingersi, e le tracce delle cordicelle intrise di colore con le quali i pittori tracciavano delle linee di riferimento per eseguire i propri disegni; schizzi di colore permettono di scoprire che i soffitti vennero dipinti dopo che gli affreschi delle pareti erano stati completati (probabilmente per sfruttare al meglio le luci delle lampade). Un patrimonio diversissimo per natura ma paragonabile per importanza ai sarcofagi e alle statue ritrovate da Schiaparelli.

I successi della M.A.I.

Ma gli anni Ottanta sono ancora lontani quando nel 1906, continuando i lavori della Missione Italiana in Egitto, Schiaparelli scopre, nella necropoli di Deir el-Medina, la tomba di Kha, architetto reale, e di sua moglie Merit. Questa volta gli archeologi arrivano prima dei saccheggiatori – la tomba di Kha è intatta e ancora sigillata e il suo ricco corredo funebre diventerà uno dei molti tesori esposti al Museo Egizio di Torino.

Oggetti di Merit esposti al Museo Egizio di Torino (©Jean-Pierre Dalbéra)
Oggetti di Merit esposti al Museo Egizio di Torino (©Jean-Pierre Dalbéra)

Grazie ai risultati ottenuti nei primi anni la Missione Archeologica Italiana ottiene nuovi fondi ministeriali e può proseguire i lavori. Schiaparelli cessa di partecipare attivamente alle campagne di scavo nel 1914, con la missione alla necropoli rupestre dei principi di Elefantina ad Assuan e lascia il campo ai suoi assistenti. Durante gli scavi a Gebelein gli archeologi Virginio Rosa e Bolos Ghattas rinvengono la tomba di Iti e Neferu e una nuova serie di dipinti che ritraggono altri aspetti della vita quotidiana nell'Antico Egitto. Iti e Neferu hanno infatti deciso di immortalare sulle pareti della loro tomba alcuni dei momenti più felici della loro vita insieme. Quando, nel 1920, i lavori si chiudono con un’ultima campagna di scavi ad Assiut, la M.A.I. ha portato alla luce oltre 30.000 reperti archeologici che contribuiscono a fare del Museo Egizio di Torino la seconda maggiore collezione di antichità egizie al mondo.

Frattanto, nel 1907 Ernesto Schiaparelli è stato nominato Soprintendente alle Antichità del Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria e, dal 1910 al 1927, sarà professore di Egittologia presso l'Università di Torino.

La mummia da Gebelein nell’allestimento al Museo Egizio di Torino (© Museo Egizio di Torino).
La mummia da Gebelein nell’allestimento al Museo Egizio di Torino (© Museo Egizio di Torino).

Egittologo e filantropo

Schiaparelli è anche coinvolto in opere d'interesse sociale e filantropico. Nel 1884 è ospite di missionari francescani in Egitto durante una campagna di scavo a Luxor. Colpito dallo stato di povertà estrema in cui versano i monaci, una volta tornato in patria Schiaparelli fonda, nel 1886, l'Associazione Nazionale per Soccorrere i Missionari Italiani della quale assume il ruolo di segretario lasciando ad altri la presidenza. L’associazione si occupa di raccogliere fondi per le missioni italiane e, in capo a due anni, finanzia la creazione di una scuola professionale e un asilo ad Assab, in Eritrea, e di tre scuole in Egitto, fornendo intanto supporto economico ai missionari italiani in Libano, Siria, Armenia, Turchia, Tunisia, Cirenaica e Albania.

Per motivi che paiono inspiegabili, Schiaparelli deve affrontare una feroce campagna denigratoria per il suo coinvolgimento in questa iniziativa. L’archeologo non si lascia intimidire, e anzi prosegue nella sua attività. Nel 1900, Schiaparelli è fra i promotori dell’Opera Bonomelli, “opera di assistenza degli operai emigranti in Europa e nel Levante”, intitolata al vescovo di Cremona, monsignor Geremia Bonomelli, e l’analoga Federazione dell’Italica gens; fondata nel 1908 come emanazione dell’ASMI, Italica Gens si dedica alla tutela dei lavoratori italiani oltre-oceano.

Con lo scoppio della Grande Guerra, il personale laico e religioso dell’ASMI viene rimpatriato, ma l’associazione riprende le sue attività alla fine del conflitto. A distanza di oltre cento anni, l’ANSMI è ancora operativa con una ventina di installazioni assistenziali. Per permettere a Schiaparelli di seguire sia il suo lavoro come direttore del Museo Egizio di Torino che le sue opere benefiche, ASMI e Italica Gens trasferiscono i propri uffici proprio all’interno del Museo, in via Accademia delle Scienze.

Di ritorno dalla sua ultima campagna egiziana, nel 1920 Schiaparelli affitta tutta la proprietà del vecchio castello di Occhieppo, sua città natale, e la concede gratuitamente alla parrocchia. Cinque anni dopo, la parrocchia di Occhieppo acquisisce i pieni diritti sulla proprietà dell'immobile.

Busto di Ernesto Schiaparelli al Museo Egizio di Torino.
Busto di Ernesto Schiaparelli al Museo Egizio di Torino.

Ma se le campagne di scavo sono finite, c’è un ultimo viaggio in Egitto per l’ormai anziano direttore del Museo Egizio: nell'inverno del 1923, poco prima che una nuova normativa limiti severamente l’esportazione di artefatti egizi, Schiaparelli torna a visitare i frati di Luxor con lo scopo di recuperare del materiale archeologico che i religiosi da tempo hanno nei loro magazzini.

Per i suoi meriti accademici e sociali nel 1924 Ernesto Schiaparelli viene nominato senatore del Regno d’Italia. Continua a insegnare Egittologia e a dirigere il museo di Torino fino alla sua morte avvenuta il 14 febbraio 1928. Rimane famoso, oltre che per le sue scoperte e le sue opere sociali, per il carattere schivo e per la sua innata "piemontesità":

è di una cortesia rara e squisita, e di una chiarezza assoluta; padrone del suo campo come pochi. Non c’è ombra di pedanteria nelle sue parole, piene di amabilità mondana. Il modo con cui usa e sottolinea certi aggettivi: "curiosissimo, interessantissimo", dimostra il compiacimento del dotto, e il piacere di potervi presentare mille oggetti preziosi, che non trovereste altrove. Il prof. Schiaparelli è veramente l’anima del "suo" Museo. ("Nella polvere dei secoli: le nuove sale del Museo egiziano", in "La Stampa", 17 ottobre 1924)

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Bibliografia

  • Greco C., Schiaparelli Ernesto in Dizionario Biografico degli Italiani, 91, 2018.

  • Guida U., Le associazioni e opere cristiane in Italia per l'assistenza degli emigranti, in Rivista Internazionale di Scienze Sociali e Discipline Ausiliarie, vol. 97, fasc. 369, settembre 1923, pp. 34-47.

  • Parlamento E., Ernesto Schiaparelli: insigne uomo di scienza e di fede dalle origini occhieppesi, Comune di Occhieppo Inferiore, 2007.

  • Schiaparelli E., Relazione sui lavori della Missione archeologica italiana in Egitto (anni 1903-1920), Torino, Regio Museo di Antichità, 1924-1927?.

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